Residori, chi erano quelli della Tagliamento?
«La legione era un reparto della Repubblica Sociale italiana che si formò subito dopo l’8 settembre 1943. Quella sera stessa, alla notizia dell’armistizio italiano con gli eserciti Alleati, due gruppi distinti di uomini della divisione corazzata Centauro offrirono i propri servizi ai tedeschi. Mussolini era ancora prigioniero e la Rsi non era ancora nata. Il 13 settembre questi uomini costituirono, per espressa richiesta germanica, la prima legione M (solo l’anno successivo si chiamerà Tagliamento) che giurò fedeltà a Hitler e che, come scrive più volte il suo comandante, fu agli ordini esclusivi dei nazisti. Addestrata fin dall’inizio da istruttori tedeschi alla lotta contro i partigiani, ma anche alla repressione più dura della popolazione, la legione lasciò dietro di sé una scia di sangue e dolore nei territori dove venne mandata. Sevizie e crudeltà di ogni tipo: dall’appendere agli alberi uomini, vecchi e ragazzi all’uso di tagliare a zero i capelli a maschi e femmine, agli stupri anche di branco, alle dosi di olio di ricino somministrate ai sospettati che venivano fermati».
Come si spiegano metodi così feroci e disumani? Solo con il pretesto che "eravamo in guerra"?
«Eravamo in guerra non è un pretesto. La guerra è feroce e disumana. Non esiste una guerra umana. Ed è vero però che per alcuni 'la guerra è bella anche se fa male', la guerra diventa la ragione stessa di vita, un abito mentale dal quale non si riesce a staccarsi. La legione era composta da un nucleo iniziale di vecchi soldati e di giovani e giovanissimi volontari, ai quali si aggiunsero coloro che rispondevano o erano costretti a rispondere ai bandi di arruolamento della Rsi. I vecchi soldati erano Camicie Nere, ma anche soldati del regio Esercito, reduci dai vari fronti, uomini che avevano provato il legame di fratellanza che si forma tra gli uomini in guerra, uomini che amavano troppo la guerra per tornare a casa l’8 settembre. I giovani, invece, erano coloro che appartenevano alla generazione creatura del regime, esposta precocemente a dosi massicce di retorica e ideologia. A fungere da modello di aggregazione e di mobilitazione sia per i vecchi che i giovani, più che gli eroi del Risorgimento nazionale ai quali spesso i legionari fanno riferimento, furono gli Arditi squadristi del primo fascismo dei quali si consideravano gli eredi e dai quali ripresero l’aggressività che sfociava in violenza di guerra, ma anche politica».
Perché l'ostinazione a uccidere anche a guerra finita?
«Il 29 aprile 1945 il corpo di Mussolini giustiziato dai partigiani era stato appeso a piazzale Loreto eppure all’intimazione di resa offertagli dal comando delle Fiamme Verdi, il comandante della Tagliamento rispose che non era possibile accettare nessuna resa e nessun patto. Ancora una volta, l’unica spiegazione data da Zuccari era la stessa di quando offrì i suoi servigi all’esercito tedesco dopo l’8 settembre 1943, la fedeltà all’alleato, alla parola data, in definitiva, al compagno d’armi. Una fedeltà in nome della quale si può anche rinnegare la propria Patria, perché l’unica Patria che conta è quella delle armi».
Chi era il colonnello Merico Zuccari e perché si parla di Comandante Ussari?
«Il colonnello Zuccari è il comandante Ussari, il personaggio romanzato, ma non troppo, che compare nel bellissimo romanzo di Carlo Mazzantini A cercar la bella morte. Zuccari era un soldato nato, aveva sempre amato la vita militare e fin da giovane ne percorse la carriera. I testimoni parlano di lui come di un uomo assolutamente privo di pietà nei confronti delle vittime, un uomo che odiava il genere umano, anzi gli faceva schifo. Aveva una grande passione per gli incendi e amava bastonare la gente».
Entriamo in territorio locale e parliamo delle azioni in ambito vicentino.
«Nelle autobiografie degli ex legionari - tra cui anche il noto attore Giorgio Albertazzi - su quanto accaduto nel territorio vicentino è calato il silenzio, un silenzio che si è trasformato in amnesia, con la cancellazione di luoghi e vittime. La Tagliamento lasciò dalle nostre parti terrore e sgomento: dal rastrellamento della Piana di Valdagno all’operazione Timpano fino al massacro del Grappa, il reparto affiancò le truppe tedesche in modo attivo e solerte. È la prima compagnia che distrugge contrà Battistini dove furono passati per le armi undici partigiani e quattro civili, mentre venivano date alle fiamme le case e le stalle con dentro gli animali. Ed è sempre lo stesso reparto che aiuta il vicebrigadiere delle SS, Karl Franz Tausch, ad impiccare i 31 giovani a Bassano del Grappa mentre altri legionari dentro la caserma Reatto si alternavano ai tedeschi nelle fucilazioni. Nella zona di Schio gli stupri delle ragazze furono così frequenti da causare lo sciopero di un migliaio di operaie e operai mentre il Vescovo di Vicenza Zinato, nella lettera all’ammiraglio Sparzani, denunciava gli stupri e la pratica di appendere agli alberi anche uomini anziani».
Perché non ci fu mai giustizia?
«Finita la guerra, nelle aule giudiziarie italiane i procedimenti penali permisero la ricostruzione di quanto era accaduto durante i venti mesi di occupazione tedesca e di guerra civile. Ne uscì la condanna del fascismo e della Rsi, ma i procedimenti giudiziari portavano a galla la colpa collettiva di un regime che nessuno voleva accettare, chiamavano in causa le responsabilità individuali che troppa gente non voleva vedere. D’altra parte non poteva essere diversamente in quanto l’esperienza partigiana, e ancor più quella antifascista, aveva coinvolto solo una minoranza degli italiani, troppo pochi per rappresentare tutto il Paese. In sostanza una società rimasta in gran parte fascista si trovò a dover giudicare se stessa, impresa davvero troppo difficile per una collettività dalla coscienza ancora fragile. L’attività giudiziaria non consentì l’elaborazione del lutto sociale, che attraverso la condanna dei crimini commessi e la punizione dei colpevoli avrebbe avuto la sua catarsi individuale. Ne derivò una lacerazione nel tessuto sociale e un contributo pesante che coltivava odio, risentimento e desiderio di vendetta».
Sonia Residori, storica e laureata in lettere all’Università di Venezia, è membro del Direttivo dell’Istrevi (Istituto Storico della Resistenza di Vicenza) Ettore Gallo. Si è occupata di storia sociale, di demografia storica e di storia della criminalità. Da alcuni anni si occupa di storia delle donne e di temi legati alle vicende della Seconda Guerra mondiale. Tra le sue pubblicazioni principali: Donne in guerra. La quotidianità femminile nel Polesine del secondo conflitto mondiale; E all’alba venne il gelo. La deportazione di quattro fratelli nei lager nazisti; Il massacro del Grappa. Vittime e carnefici del rastrellamento (21-27 settembre 1944); Il Guerriero giusto e l’Anima bella. L’identità femminile nella Resistenza Vicentina (1943-45); Il coraggio dell’altruismo. Spettatori e atrocità collettive nel Vicentino 1943-1945.
nr. 24 anno XVIII del 22 giugno 2013