NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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L'intelligenza del denaro

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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L'intelligenza del denaro

Mingardi, perché ha iniziato il libro parlando di telefoni cellulari?

«Apro con due immagini: una è quella del dinosauro dei telefonini, il primo cellulare Motorola, quel catafalco che ricordiamo perché lo utilizzava Douglas nel film Wall Street. L'altra è quella di uno smartphone di nuova generazione. Fra l'una e l'altra immagine c'è tutto un processo di innovazione: che ha portato a uno strepitoso miglioramento della tecnologia, ma anche a uno straordinario abbassamento dei prezzi e ad una diffusione capillare di questi strumenti. Un cellulare oggi non è un lusso, non è uno status symbol, ma un oggetto diffuso, che migliora la vita di milioni di persone. Come abbiamo fatto a passare da una immagine all'altra? La risposta sta nell'economia di mercato. Non nel mero lavoro di ingegneri e tecnici, ma nella costante interazione di domanda e offerta, nella costante interrogazione delle domande dei consumatori, nei tentativi delle imprese di anticiparle e di soddisfarle. Parliamo troppo spesso di economia di mercato astrattamente, senza renderci conto di come il miglioramento delle nostre condizioni di vita dipenda proprio da essa».

Si tende a parlare di mercato in modo impersonale. Ma cos'è in fondo il mercato? Un'entità astratta o è fatto dalle persone?

«È molto comune, nel nostro Paese, dare una rappresentazione antropomorfa del mercato. Lo vediamo proprio in queste ore. I mercati reagiscono ai risultati delle elezioni, i mercati temono l’ingovernabilità, i mercati guardano all’Europa...  Ma i mercati non sono enti, non vivono di vita propria. Essi non sono che la risultante delle scelte di noi tutti, nel momento in cui ci troviamo a scambiare con altri. Il mercato è uno straordinario strumento di intelligenza collettiva. Esso consente, a partire dalle preferenze dei singoli individui, di fare un uso delle risorse disponibili che non risulta necessariamente ottimale, ma è tipicamente migliore di quello che si avrebbe se a decidere fosse un solo soggetto. Non c’è un piano, non c’è un ordine predeterminato. Ma c’è invece la continua ridefinizione di obiettivi ed utilizzo delle risorse, sulla base delle esigenze delle persone. Il mercato non è una cosa, e non è neppure uno Stato: è questo processo di continua ridistribuzione delle risorse e ridefinizione degli obiettivi. È un processo naturalmente imperfetto, perché imperfetti sono gli esseri umani, e che ha tempi suoi propri, ogni tanto incoerenti con le nostre aspettative. Ma non lo si può comprendere davvero se si presume che sia altro».

L'intelligenza del denaro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La tesi del libro è che "nelle nostre vite c’è ancora troppo Stato e troppo poca concorrenza”. Ci spiega in parole semplici come questo influenza le nostre vite?

«Il mercato è la libertà di scegliere e la libertà di farsi scegliere. Troppo Stato riduce entrambe: non solo la libertà di scelta dei consumatori, ma anche la libertà di ciascuno di provare a farsi scegliere, di tentare di mettersi a disposizione degli altri offrendo un bene o un servizio. L'elevata fiscalità riduce le risorse a disposizione di tutti: consumatori che vogliono esercitare la loro libertà di scegliere, produttori che vogliono provare a farsi scegliere. E lo stesso fa l'elevata regolamentazione: chiude a singoli e imprese la possibilità di offrire certi servizi, o di innovare nel modo in cui essi vengono offerti. È nostro interesse di persone vivere in un mondo nel quale ciascuno possa provare a farsi scegliere, realizzando se stesso, nel modo che gli appare migliore in un certo momento nel tempo. Ed è nostro interesse vivere in un mondo nel quale, come consumatori, nessuno proibisce ad altri di provare ad offrirci un bene o un servizio a prezzo più basso, o in modo nuovo e diverso, rispetto a chi ce lo ha offerto sino ad oggi».

E cosa significa veramente l'affermazione "Il mercato ha ragione anche quando ha torto"?

«Il mercato non esiste: non è un ente che obbedisca a un progetto, non è un club di banchieri, non si muove secondo una logica autonoma e coerente. È l'insieme delle scelte che tutti assieme compiamo, come attori economici. Il mercato può avere torto quando i suoi esiti non soddisfano i nostri gusti e le nostre aspettative, ma questi esiti hanno necessariamente soddisfatto i gusti e le aspettative di un numero consistente di soggetti, altrimenti non si sarebbero verificati,

Per questo, il mercato ha ragione anche quando ha torto: perché è solo la matrice, per così dire, che ci consente di prendere atto delle scelte autonome delle persone».

Nel libro lei affronta anche il tema delle diseguaglianze sociali: qual è il suo pensiero?

«Mi sembra un tema sul quale c'è molta confusione. E più rilevante la diseguaglianza fra chi può solo andare a piedi e chi può permettersi un calesse, o la diseguaglianza fra chi può comprarsi una Peugeot e chi può acquistare una Ferrari? Non sto dicendo che le diseguaglianze non esistono: sto dicendo che oggi anche le persone con un reddito basso hanno a disposizione condizioni di vita enormemente superiori rispetto ai sovrani di un paio di secoli fa. Viviamo meglio, più a lungo, in condizioni igieniche migliori, facendo meno fatica. Questo è il grande miracolo che si è prodotto nei due secoli seguiti alla rivoluzione industriale, ed è un miracolo che ha a che fare con la straordinaria capacità di creare ricchezza che questa parte di mondo ha dimostrato. In tutte le società umane, ci sono diseguaglianze. Anche nella nostra. Ma guardiamo alla sostanza delle cose: la società di mercato ha prodotto benessere diffuso come mai si era visto prima, nella storia umana».

Tornando alla prima domanda... a proposito di cellulari... lei che rapporto ha coi telefonini?

«Di amore e odio, come credo tutti. La comunicazione istantanea ha tanti pregi. Ha anche molti difetti: finiamo per strizzare messaggi complessi in 140 caratteri di Twitter, o in un sms. Il rischio è la superficialità, la risposta impulsiva, anche la dipendenza da un botta-e-risposta che tende a scambiare la velocità di reazione per consapevolezza dei problemi».

Come vede oggi la congiuntura politico economica italiana? Stiamo uscendo dalla crisi?

«Non capisco bene come e perché staremmo uscendo dalla crisi. Per uscire dalla crisi, c'è bisogno che il nostro Paese torni a creare ricchezza. Perché il nostro Paese torni a creare ricchezza, deve tornare ad essere attrattivo per investimenti e imprese. Cosa avremmo fatto, perché questo possa avvenire? Se si riducesse il peso dello Stato nell'economia, privatizzando e liberalizzando, si creerebbero le condizioni perché si riaprisse il campo di gioco. Ma non ci sono proposte in quel senso e al contrario mi sembra che andiamo verso una fase nella quale le forze politiche promettono di aumentare, non di ridurre, il peso dello Stato. Che significa: aumentare le occasioni per comportamenti impropri, per interventi discrezionali a vantaggio di quei gruppi che possono trarre beneficio. È una fase, questa, nella quale chi ha dei privilegi lotta per preservarli - e quando questo avviene, non si creano più opportunità per tutti. O si riduce, seriamente e con metodo, l'influenza dello Stato sull'economia, o non c'è modo che il settore produttivo riprenda ossigeno».

Un ultimo spunto "locale": Vicenza e il Nordest sono stati a lungo la locomotiva economica italiana. Crede che torneranno ad esserlo oppure gli scenari futuri sono destinati a cambiare?

«Vicenza e il Veneto in generale sono uno straordinario bacino imprenditoriale. C'è tanta voglia di fare, tanta intelligenza, tanta creatività in questa terra. Non è scritto da nessuna parte che l'unica possibilità che abbiamo davanti sia il declino. Ma perché le tendenze negative di oggi possano essere invertite, bisogna liberare questa creatività, queste energie».

 

Alberto Mingardi, milanese, si è laureato in scienze politiche all'Università di Pavia, dove ha anche conseguito un dottorato di ricerca. È Direttore Generale dell'Istituto Bruno Leoni e Amministratore Unico di Ibl Libri, oltre che Adjunct Scholar presso il Cato Institute di Washington Dc. Ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell’Isfol. I suoi interessi sono soprattutto nel campo della filosofia politica. Ha tradotto in inglese La Costituzione secondo la giustizia sociale di Antonio Rosmini per Lexington Books. Ha curato Da liberale a libertario. Cronache di una conversione di Sergio Ricossa e, con Enrico Colombatto, Il coraggio della libertà. Saggi in onore di Sergio Ricossa. Collabora o ha collaborato con svariati quotidiani e riviste, fra cui Wall Street Journal, Washington Post, International Herald Tribune, Financial Times, Il Sole 24 Ore, Il Riformista.



nr. 27 anno XVIII del 13 luglio 2013

L'intelligenza del denaro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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