NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Da Righetti o Ristorante Italia?

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Da Righetti o Ristorante Italia?

Alcuni degli episodi che racconta vengono dalla cronaca vera, quella che leggiamo sui giornali. È una fonte di ispirazione per i suoi libri?

«Sì. Mi piace molto prendere spunto dalla realtà. Perché è piena di fatti e fatterelli che possono ispirare storie bellissime, divertenti o serie che siano. La realtà è un serbatoio infinito di possibili romanzi. L'ho fatto quando ho ricostruito gli anni Sessanta, i mitici Sessanta, nella mia città, Schio, nel libro I dieci anni che cambiarono Schio. In quel caso ho sfogliato giorno dopo giorno dieci anni di cronaca locale, potendo raccontare in questo modo non soltanto le grandi scelte politiche di quel decennio, ma anche i piccoli cambiamenti, i fatti minori, gli umori della gente. I giornali, presi in esame a tappeto per un buon periodo di tempo, ti spiegano la piccola e la grande storia di un territorio e di una comunità».

Il suo libro precedente - Avevo un cuore che ti amava tanto - (ispirato ad un fatto di cronaca) è stato un buon successo. Crede che la formula a metà tra cronaca e fiction sia quella giusta?

«Non credo ci sia una formula giusta a priori. Ognuno trova la sua. Per me sì, partire dalla realtà per lavorare di fantasia è una cosa che mi diverte molto. In Avevo un cuore ho preso dei fatti di cronaca, veramente accaduti sempre negli anni Sessanta e ritrovati appunto nei giornali dell'epoca, e li ho mescolati con la fantasia. Non funziona sempre, naturalmente: può succedere di trovare uno spunto di cronaca potenzialmente da romanzo, ma di scoprire che poi non decolla, non riesci a costruirci una trama. Però quando riesce è una soddisfazione incredibile. È come partire dal bastoncino dello zucchero filato, ossia la realtà, e con un po' di zucchero, la fantasia, costruire la storia».  

Da Righetti o Ristorante Italia? (Art. corrente, Pag. 3, Foto generica)Divertente il riferimento ai neologismi "tipo" e "cia-ciao"... cosa ne pensa realmente?

«Che sono un obbrobrio. Parole-virus che ci contagiano tutti. I giovani ormai mettono un 'tipo' ogni tre parole, mentre tutti noi, anche se non ce ne accorgiamo, salutiamo al telefono in automatico con un treno di ciao: ciao-ciao-ciaciao... Ma anche questi tormentoni sono un piccolo specchio dei tempi. Lo scrivo, nel capitolo dedicato: dentro il 'tipo' dei ragazzi c'è il senso della loro incertezza, di qualcosa di poco definito, c'è la condizione della loro età, in un periodo in cui il futuro dei giovani sembra così incerto. Dentro il 'ciaciao' del nostro intercalare telefonico, o anche per strada, c'è invece la tipica fretta del nostro vivere quotidiano, la frenesia di tutti i giorni: facciamo troppe cose e già pensando all'impegno successivo. Perciò salutiamo veloci, ciaciao...»

Da osservatore della realtà, come vede oggi Vicenza, sospesa tra antiche tradizioni e modernità?

«Sospesa tra tradizioni e modernità è una buona definizione. Direi che c'è già dentro molto. Non è un male, intendiamoci: forse siamo tutti sospesi tra questi due poli, perché abbiamo tutti un passato al quale siamo legati, e un presente/futuro con cui fare i conti. E siccome le città sono fatte da chi ci abita, finisce inevitabilmente che il carattere di una città sia un po' la somma dei caratteri dei suoi cittadini. All'inizio degli anni Duemila scrissi un libro, Cuore di Nordest, un viaggio nel Vicentino per provare a capire lo spirito di una provincia dalle tante facce e dai tanti mini-capoluoghi. Il capitolo su Vicenza lo intitolai La città dei sogni nel cassetto. Perché per molto tempo, in passato, Vicenza non ha mai chiaramente deciso cosa essere, non ha valorizzato il suo ruolo naturale di capoarea, non ha deciso cosa essere. Ha temporeggiato, perdendo molte buone occasioni. Da un po' di tempo pare finalmente aver preso coscienza di questo limite ed essersi data una mossa. Si tratta di farlo capire ai “parenti” vicini, agli altri capoluoghi veneti, che forse hanno ancora l'immagine di una Vicenza che si accontenta.  

Nato a Dolo nel 1961 ma residente da quasi sempre nell'Alto Vicentino, Tomasoni si occupa di giornalismo da trent'anni. Dopo una decina d'anni di attività come free lance sulla stampa locale, ha preso la via degli uffici stampa e oggi è responsabile dell'ufficio stampa di Confindustria Vicenza. Negli ultimi 15 anni ha pubblicato alcuni libri a metà tra il costume e l'attualità locale con case editrici vicentine. Nel 2009 è uscito La Coca-Cola di Boninsegna (Limina), un libro a metà tra narrativa e saggistica: la storia della sfida calcistica più lunga della storia, nel 1971 in Coppa dei Campioni tra Inter e Borussia Moenchengladbach. Avevo un cuore che ti amava tanto (Kellermann) è il suo primo romanzo: pubblicato nel 2011 ha vinto il Premio Microeditoria di Qualità a Chiari (Bs).

 

nr. 28 anno XVIII del 20 luglio 2013



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