NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ricordi di un numero “uno”

L'ultimo spogliatoio è il tiolo del libro scritto dall’ex portiere del Vicenza Adriano Bardin. Un diario nel quale ripercorre la sua vita da quando prendeva a pallonate la staccionate del campo da bocce a Schio fino a quando è finito in nazionale ad allenare Buffon passando per la parte sotto la sud del Menti

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Ricordi di un numero “uno”

Quando il Vicenza Calcio si chiamava ancora Lanerossi Vicenza, lui, per i tifosi biancorossi, era semplicemente "Bardo", o anche "Baffo", come lo chiamava qualcuno. Adriano Bardin, portiere del Vicenza anni '60 e successivamente "emigrato" in altre squadre in giro per l'Italia prima di diventare allenatore dei portieri della nazionale, leggi Toldo e Buffon, al fianco di Trapattoni, ha riassunto il suo glorioso passato di calciatore con la valigia in mano nel bel libro pubblicato da Iper Edizioni col titolo L'ultimo spogliatoio e presentato qualche giorno fa anche in Municipio a Valli del Pasubio.

Ricordi di un numero “uno” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il diario autobiografico di un grande giocatore e di un grande allenatore racconta i segreti dello spogliatoio, in cui vi erano anche personaggi esemplari all’ombra dei quali maturavano i desideri e si formavano le personalità dei "boce". A suo modo, nel rapportarsi con i giovani, il brasiliano Luis Vinicio, soprannominato O Lione fin dal periodo di militanza napoletana, costituiva allora una rara eccezione. ‘O Lione era un vero professionista, di quelli che in campo conducono la squadra con severità e correttezza, e fuori si prendono cura del proprio corpo come di una macchina che deve essere sempre tenuta sotto controllo per offrire la migliore prestazione.

"Le ore trascorse a tirare pallonate contro la staccionata della corte di bocce si erano rapidamente trasformate nella mia professione - scive Bardin - con tutta la soddisfazione che dava allora a quelli della mia generazione l’accesso ad un mondo così lungamente immaginato. Lo stipendio assumeva un contraddittorio valore simbolico: la sensazione di un riscatto sociale, ma anche il definitivo accesso a una vita da adulti senza tempo da perdere. Il primo premio partita lo ebbi dall’Avvocato Dal Lago, presidente dell’A.C. Schio negli anni ’60. Avevo sedici anni e giocai un incontro del campionato riserve contro il Taurus Cogollo. Ricordo che ci cambiammo nella stanza di un ristorante, c’erano anche Nico e Antonio De Giovannini, e con noi giocava anche Ariola, bomber della prima squadra squalificato per alcune giornate, che in quell’occasione siglò un paio di goal. Nel campionato riserve i premi venivano assegnati in base ai goal realizzati e, di prassi, il martedì seguente l’incontro si passava dall’ufficio di Dal Lago per riscuotere il premio che in quell’occasione consistette in 500 lire, il che, per divertirsi a giocare al calcio, mi sembrò davvero una gran bella somma".

Ricordi di un numero “uno” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Così l'autore ricorda gli anni mitici dello stadio Menti di Vicenza. "Al Romeo Menti, oltre allo spogliatoio per gli ospiti, ce n’erano altri due: uno per i titolari della prima squadra e uno per le riserve. Entrati nello stadio dall’ingresso principale, un lungo corridoio costeggiava la rete di recinzione del campo d’allenamento, alla cui sinistra due porte si aprivano su altrettante stanze insinuate sotto la tribuna: la prima, attraverso lo stanzino dei massaggiatori Schlamer e Formichetti, detto Formica, immetteva nello spogliatoio dei 'veci' della prima squadra, mentre la seconda porta, situata in fondo al corridoio, dava direttamente sul magazzino. Noi 'boce' per entrare nel nostro spogliatoio dovevamo svoltare a sinistra già all’imbocco del corridoio, verso il sottopassaggio, ed infilarci così dal lato opposto nella piccola stanza adiacente a quella della prima squadra, dalla quale ci separava una porta invalicabile. In questo modo, soltanto i titolari accedevano direttamente alle cure e al lettino di Formica, il cui stanzino si trovava di fatto all’interno del loro spogliatoio, mentre a noi riserve toccava uscire dal nostro, ritornare sul corridoio principale e percorrerlo nuovamente tutto fino in fondo. La porta chiusa che dal nostro spogliatoio dava direttamente su quello dei veci era senz’altro la via più breve, ma se qualcuno si fosse azzardato ad aprirla, il capitano Giulio Savoini lo avrebbe richiamato con fermezza - Ehi, bocia! Prima di passare da questa parte devi aver giocato in Serie A".

E Bardin ha anche un affettuoso ricordo di un ragazzino, tale Roberto Baggio, che sarebbe presto diventato un grande campione. "Nei primi anni ’70 Baggio viaggiava da Caldogno a Vicenza sul palo della bici di suo padre e vedeva le partite del Lanerossi da dietro la porta: non ricordava la mia faccia, ma la maglia nera del portiere con il numero 1. Sapevo che quel ragazzino era ormai un grande giocatore, ma solamente nel tardo pomeriggio di un giovedì, quando arbitravo la partitella di fine allenamento, me ne resi davvero conto. Mentre una palla gli giungeva sul sinistro, ebbi appena il tempo di immaginare la giocata successiva e, senza l’ombra di un pensiero, senza sforzo, con un rapido sguardo e una giocata d’esterno sinistro naturale e perfetta, lui aveva già fatto tutto."

Ecco uno stralcio delle parole di Gianluigi Buffon che parla di Bardin: "Questo è stato il mio allenatore dei portieri in nazionale nell’era Trapattoni... grande professionista, persona d’altri tempi…. la sua voce un po’ roca con l’accento veneto, quella faccia scavata dai sacrifici per ritagliarsi uno spazio importante nel mondo del calcio (prima da portiere e poi d’allenatore) e quei baffi che caratterizzavano gli adulti del suo tempo, lo rendevano estremamente civile e cordiale, con una smisurata dignità [...] ogni tanto lo guardavo e sorridevo [...] erano sorrisi di stima che equivalevano a mille applausi di tifosi deliranti….. questi piccoli pensieri sono un atto dovuto perché la gente deve sapere... deve sapere che il calcio non è fatto solo di personaggi squallidi e ignoranti, ma anche da persone oneste, raziocinanti e che purtroppo non hanno avuto la celebrità che meritavano solo perché sapevano stare al proprio posto".

E queste quelle di Francesco Toldo: "Nel corso della mia vita lo spogliatoio è stato un rifugio che mi proteggeva dalle parole di giornali e tifosi, dalle interminabili discussioni su risultato e classifica, dalle occasioni mancate, ma anche dai festeggiamenti eccessivi, dalle gioie premature e avventate".

Abbiamo incontrato Adriano Bardin a Valli del Pasubio.

Ricordi di un numero “uno” (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

 



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