NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ritornare a Socrate: contro gli intellettuali di Italo Francesco Baldo; Il sindaco d’Italia? di Mario Giulianati

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Ritornare a Socrate: contro gli intellettuali di I

Ritornare a Socrate: contro gli intellettuali

 

L’appellativo di “intellettuale” è ancor oggi in grande auge. Infatti, è quasi un titolo onorifico con il quale vengono definiti, filosofi, ì, politologi, sociologi, letterati, scrittori e perfino scienziati che, travalicando i confini assegnati alle scienze, si occupano di questione ”di pensiero”, abilmente utilizzando come paravento la scienza per argomentare su questioni di cui non hanno in realtà vera competenza, se non quella del fatto che “pensano qualche cosa”.Con difficoltà però l’appellativo si attribuisce, ad esempio, ad un uomo che si occupa solo di scienze o di tecnica, come, ad esempio, un medico, un astronomo, ad un geologo o un farmacista.

Il termine è molto è diffuso; ma la sua nascita e soprattutto il suo utilizzo, esteso anche a “personaggi” dell’antichità è abbastanza recente. L’origine è certa e precisa, risale all’Affaire Dreyfus che coinvolse in polemiche senza fine molti esponenti della cultura francese. Il 14 gennaio 1898 sul giornale “L’Aurore”, che aveva pubblicato il giorno prima il celebre testo d’E. Zola J’accuse, compare un Manifesto degli intellettuali. È l’atto di nascita del nome e soprattutto fin da allora ne viene definita la funzione. Intellettuale è colui che si occupa di una questione civile e politica, mettendo al suo servizio le proprie conoscenze e capacità, ma soprattutto la disponibilità della propria persona. Il termine non ebbe immediatamente un rapido successo, anzi per quasi venticinque anni non fu quasi più usato, nemmeno dai Futuristi che nel Manifesto di P. Martinetti, avrebbero dovuto magari identificarsi, considerato che in quegli anni si faceva strada la professione di “intellettuale”. Nel resto dell’Europa non ci furono adesioni al nuovo termine.

Ritornare a Socrate: contro gli intellettuali di I (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

Giovanni Gentile

 

Il termine ebbe nuova vita nei giorni 29 e 30 marzo 1925 a Bologna. In quella città il filosofo Giovanni Gentile, che rivestì della sua elaborazione proprio il fascismo, convocò un Convegno al quale aderirono molti esponenti delle scienze, lettere ed arti. Bologna, che era la prima città ad avere un’Università fascista, fondata da Leandro Arpinati, era la sede ideale. Il convegno aveva lo scopo dichiarato di radunare coloro che potevano porre la loro intelligenza al servizio del fascismo.

L’esigenza di poter contare sugli esponenti dell’intelligenza italiana, venne considerato prioritario. Ne nacque, al termine dei lavori, un Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le Nazioni, che difendeva, affermandone la bontà, il fascismo stesso. Il Manifesto, pubblicato il 21 aprile, Natale di Roma, ebbe gran diffusione. Tutti i convenuti e altri furono invitati dallo stesso Giovanni Gentile ad apporre la loro firma. Molti condivisero l’appello del filosofo siciliano, circa 500, e tra questi vi erano già nomi di spicco; Non potendoli ricordare tutti, n’elenchiamo qualcuno: Fernando Agnolotti, Luigi Barbini, Emilio Bodrero, Ernesto Codignola, Salvatore di Giacomo, Filippo Tommaso Martinetti, Angelo Oliviero Olivetti, S. Pincherle, Luigi Pirandello, Ildebrando Pizzetti, Rubens Santoro. Ferdinando Russo, Giuseppe Saitta, Malaparte, Ugo Spirito, Ardengo Soffici, Giovanni Treccani, Augusto Turati, Giuseppe Ungaretti, Lionello Venturi, Gioacchino Volpe e molti altri.

 L’intellettuale prese da questo momento il via, anche se il maggior esponente culturale d’opposizione alla filosofia di Gentile e del fascismo Benedetto Croce non amò il termine. Commentando, infatti, il Convegno Croce, scriveva che alcuni regimi si circondano di “ letterati o, come ora si dice, d’intellettuali”. Il termine al padre del pensiero liberale laico italiano del Novecento, non poteva certo piacere che l’intelligenza fosse posta al servizio di qualcuno o di qualche ideologia. Egli nella sua elaborazione filosofica sosteneva che la libertà è la vera espressione che si deve manifestare anche nella storia. Il filosofo abruzzese, napoletano d’adozione, pubblicò il 1° maggio 1925 su “ Il Mondo” un Contromanifesto. Il sottotitolo del Contromanifesto è indicativo, “Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani al manifesto degli intellettuali fascisti”. È evidente che Croce adotta una contrapposizione forte, e a lui si deve la nuova definizione: “ …gl’intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell’arte, se, come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l’ascriversi ad un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno il solo dovere di attendere, con l’opera dell’indagine e della critica e le creazioni dell’arte, ad innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale.” (Contromanifesto) L’intellettuale è il cittadino che è iscritto al partito, ma ciò non lo riduce a “servo” di un’ideologia. Quaranta persone sottoscrissero il Manifesto crociano, ma alcuni, dopo poco tempo, aderirono al fascismo. Lo stesso Croce nel 1937 utilizzerà ancora il termine per indicare coloro “ la cui forza si fonda sul culto del vero” e che rifiutano di appoggiare colpevolmente il fascismo ed il nazionalsocialismo. Il filosofo, in questo significato lo usa Croce, cerca il vero e non è servo di nessun regime o ideologia politica. Le vicende del termine non terminano con la caduta del fascismo a causa degli Alleati, anzi esso ebbe lunga vita. Ha però sempre più assunto il significato che Giovanni Gentile intendeva, cioè di coloro che appoggiano una determinata visione politica, se poi riflettiamo bene, Gentile considerava il fascismo la visione per eccellenza e quindi l’unica. Così gli intellettuali del dopoguerra si misero al servizio soprattutto delle ideologie totalitarie e dimenticarono quella visione, tanto cara a Benedetto Croce, che coloro che si occupano di scienze, lettere ed arti, sempre devono aver presente il gran valore della libertà e della capacità critica, che rende il filosofo, il politologo, il letterato, capace di essere al servizio di tutta l’umanità, piuttosto che di un regime o di una parte.

 Ritornare a Socrate: contro gli intellettuali di I (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Antonio Gramsci

 

Accanto all’elaborazione di G. Gentile compare a proposito del termine intellettuale, quella di Antonio Gramsci, il fondatore, insieme a P. Togliatti e altri a Livorno nel 1921 del partito Comunista d’Italia, una scissione dal Partito Socialista Italiano. Il nuovo partito che così indeboliva l’opposizione al nascente fascismo intendeva adottare i contenuti e la prassi quale aveva elaborato in Russia V. Lenin, che aveva promosso e realizzato una rivoluzione che intendeva, allora, espandersi in tutto il mondo: ci pensò poi Stalin a ridurre l’internazionalismo.

Gramsci intendeva la figura dell’uomo di cultura come un militante della visione politica da lui propugnata e doveva essere costantemente “organico” alle prospettive e decisioni, che doveva giustificare sempre e in ogni modo. Nasce con l’esponente comunista la figura dell’intellettuale organico che troverà nel periodo del carcere trascorso da Gramsci dopo la condanna del tribunale Speciale, una precisa elaborazione, che è contenuta negli scritti di quel periodo e noti come Quaderni dal carcere.

Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, poiché “non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens” (Quaderni del carcere, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, p.6). Infatti, in modo indipendente dall’attività che un uomo svolge, ognuno è a suo modo “un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale”. Quindi tutti hanno nella società una funzione intellettuale. Certo Gramsci dimentica la lezione di K. Marx, che invece sosteneva che ogni prodotto della coscienza deriva dalle condizioni materiali ossia dalla struttura produttiva. La cultura, la stessa coscienza morale altro non sono che l’espressione della struttura e da essa traggono la loro consistenza (K. Marx, Introduzione a ID, Per la critica dell’economia politica). Certo il politico sardo in qualche modo intendeva la politica e quindi il ruolo di ogni uomo, ossia di ogni intellettuale, in senso morale, ma per morale intendeva più il comportamento e le azioni affini alla determinazione politica che non la morale intesa come la intendono, a d esempio i cristiani, come azioni volte al Bene e al Bene Supremo, ossia Dio.

 L’uomo è un intellettuale, ciò sostituisce la classica nozione dell’uomo come essere dotato di anima razionale (cfr. Aristotele) e soprattutto il vero ed unico intellettuale è colui che in connessione alla classe operaia elabora in suo favore teoria e prassi, mettendosi al suo servizio dipendendo dalla struttura organizzativa, ossia il Partito. Il Partito che organizza la coscienza degli intellettuali operai si serve di altri intellettuali, che, avendo già maturato come verità quella di dover essere al servizio della classe operaia, esprimono le visioni del Partito e difendono in ogni modo le deliberazioni assunte dalla dirigenza. Ne segue che ogni intellettuale è sempre il migliore, avendo compiuto, con coscienza di classe, la scelta della classe operaia. Pertanto egli esprime una verità e un vantaggio assoluti ai quali non è possibile derogare. Tutta l’elaborazione in ogni settore deve tendere a ciò. Non è ammessa deviazione. Un esempio. Ne fece le spese il prof. Armando Plebe, che teneva cattedra di filosofia antica all’Università di Palermo, traduttore di Aristotele, esperto nella logica e nell’estetica e filosofo italiano che scriveva sulla rivista "Vosproy filosofii", di Mosca. Negli anni settanta del secolo scorso, “osò” distaccarsi dalla sinistra; scrisse un testo, Filosofia della reazione, pubblicato, orrore, da Rusconi. Immediatamente altrui “intellettuali” partirono all’attacco del “ traditore”. Carlo Augusto Viano, docente di filosofia antica all’Università di Torino, negò al prof. Plebe la capacità di tradurre, lui che aveva pubblicato le traduzioni di Aristotele per l’Editore Laterza e in definitiva gli negò la capacità di essere storico della filosofia.

 Così è un po’ in tutti i campi, solo coloro che sono intellettuali al servizio della visione politica di sinistra sono veri uomini di cultura i soli capaci di intendere e di operare bene.

 Vien da ricordare che questa è spesso “spocchia”, e che non vi è sempre corrispondenza tra grandi capacità intellettuali e appartenenza politica. Per nostra fortuna l’intelligenza alberga ubiquitariamente e non necessita di una parte politica. La capacità conoscitiva dell’uomo è servizio all’uomo non è né deve essere mai “al servizio”. Franz Joseph Haydn, il grande musicista indossava la livrea degli Esterházy, ma lui stesso la dimise e dopo di lui tutti gli artisti e con loro tutti gli uomini di cultura, storici, filosofi, tecnici, astronomi, medici o entomologi se veri uomini liberi nella ricerca sanno dei propri limiti e dei propri confini e non si etichettano, pur avendo certamente le loro visioni e opinioni politiche, ma non sono queste a determinare il loro ruolo nella società e nella ricerca.

 L’intellettuale sia come lo desiderava Giovanni Gentile sia come lo voleva Antonio Gramsci ha fatto il suo tempo. Oggi è la ricerca con l’antica prospettiva socratica” So di non sapere” che deve dirigere gli uomini di cultura, nei più diversi settori e abbandonare proprio il pomposo termine di “intellettuali” che non ha certo contribuito al vero progresso della ricerca scientifica e della riflessione sul bene comune.

 

Italo Francesco Baldo

 

 



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