NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il sindaco d’Italia?

Titola il Giornale di Vicenza “Bagno di folla per Renzi - Legge elettorale? Quella dei sindaci”

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Il sindaco d’Italia?

Sembra una grande novità, in realtà è esattamente quanto per il passato sostenevano altri leader, ad esempio Silvio Berlusconi, ma non il solo, quando si parlava di eleggere direttamente il premier. Ma al di la di chi ha lanciato per primo questa idea, che comunque è presente e funzionante in altri Paesi democratici, va anche considerata nella sua giusta dimensione e, considerato il fatto che Renzi abbia in qualche modo reso visibile questo processo elettorale, va annotato cosa è successo, di positivo e di meno positivo, proprio là dove pone l’accento il sin daco di Firenze.

Un sindaco, vecchia maniera, pre anni “90 del secolo scorso, veniva votato, e con lui la sua giunta, dal Consiglio Comunale che per tutta la durata della legislatura manteneva la titolarità del diritto di nomina e di sfiducia. La giunta era pressoché composta da persone che anzitutto erano consiglieri comunali e che quindi partecipavano al voto dell’assemblea sulle diverse proposte. Anche le loro. Solo attorno ai primi anni del 1990, se ben ricordo, venne introdotta la figura dell’assessore esterno. Questo sistema venne definito poco pratico, causa di incertezze nel governo comunale, e nella sua stabilità, campo di gioco delle varie correnti di partito e terreno di costante guerra tra i partiti. Nel contempo sede di dibattito politico, luogo di confronto, strumento con il quale la comunità esercitava, tramite i suoi “delegati” forme di controllo sulla amministrazione. Il sindaco, detto primo cittadino, era un primus inter pares, sia nella sua giunta che in sede di assemblea consigliare. Verso gli anni ‘80,sempre del secolo scorso, si fece avanti una concezione nuova del rapporto di delega tra elettori- partiti-eletti. Questi ultimi, forti di una filosofia che stava facendosi strada e che definiva necessaria la professionalità e managerialità degli eletti, cosa interessante ma non molto presente nella realtà, iniziarono a sostenere che essendo delegati del popolo non dovevano essere ritenuti secondi rispetto ai partiti da cui provenivano, e reclamarono almeno, all’inizio, la parità di peso nelle decisioni. Più avanti pretesero anche di essere i soggetti più importanti, quindi coloro ai quali spettava la decisione. Questo avvenne a livello nazionale e anche sul territorio, negli enti locali ai diversi livelli. A poco a poco si giunse a definire il concetto di “comune-azienda”, e questo si trasferì anche ai livelli superiori. Ne discese una legge elettorale che, appunto, trasformò il sistema amministrativo comunale in un sistema abbastanza vicino a quello aziendalistico. Un sindaco, nominato direttamente dalla gente, che si sceglieva i propri collaboratori-assessori, questi senza più titolo di consiglieri, quindi assolutamente sganciati dalla assemblea, ma totalmente dipendenti dal sindaco e un consiglio comunale privo in realtà di un qualche significativo potere, in difficoltà, spesso, anche di esercitare il ruolo di controllori, e questo vale sia per le “minoranze-apposizioni” sia per le “maggioranze di governo”. Due brevi considerazioni da assegnare al carattere negativo di questa formula. Dopo aver detto che il positivo risiede nella maggior possibilità di rapidità di intervento e di far sintesi attorno ai problemi. Almeno in teoria. Il negativo sta nel considerare il concetto di comune- azienda, e questo vale a tutti livelli superiori, perché la differenza è assolutamente sostanziale: Una azienda ha il dovere di fare utili, e se non lo ci riesce non ha titolo per rimanere sul mercato. Un ente pubblico ha il dovere di dare i migliori servizi possibili alla gente al minor costo possibile. Tutta un’altra cosa. E, come già detto, lo svuotamento di funzioni reali e indipendenti, da parte della assemblea. La realizzazione quindi di una democrazia formale e scarsamente reale. Renzi rilancia un messaggio importante, non privo di fascino, che non può essere riposto ancora una volta nel cassetto dei ricordi, ma però necessita di essere ben valutato considerando che lo Stato-Azienda se nel contempo non possiede strumenti di controllo assolutamente indipendenti, rischia di scivolare in formule che poco hanno a che vedere con la democrazia reale.



Mario Giulianati

 

nr. 38 anno XVIII del 2 novembre 2013

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