NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Dalla tv al teatro, sperimentando

di Elena De Dominicis

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Dalla tv al teatro, sperimentando

Voi appunto proponete il linguaggio televisivo con dei segni che possono essere gli “urlettini” o certe “mossettine” della Milo, oppure certe cose che dice la De Filippi: io l’ho vista come una sorta di sovraesposizione del segno che porta anche ad una snaturalizzazione del significato e a una penetrazione nella percezione collettiva facendo diventare il segno parte della cultura (o di una sottocultura) di quel determinato periodo storico. Tutti diciamo: “o così o Pomì”, ma chi è che se la ricorda quella pubblicità? È una parola, è un segno, è una moda, quello che vuoi.

“Certo, sicuramente c’è un gioco alla stilizzazione e alla reiterazione, anche come emblema; è ipnotica questa questione, c’è un qualche cosa. Tu nella spirale tossica di questo medium entri per ipnosi, l’ipnosi è fatta di ripetizioni, di questioni che girano intorno a se stesse e frammentandole, riproponendole e rimontandole in una partitura compulsiva, forse si ricrea proprio questo tipo di ipnotica spirale in cui, a un certo punto, provi questo senso di angoscia ipnotica rispetto a un magma che si sta dipanando sulla scena”.

Dalla tv al teatro, sperimentando (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Però parliamo comunque di una tv generalista di pochi canali: fino a pochi anni fa abbiamo 7-8 canali (per chi non ha Sky), ti entra un mondo in casa, puoi scegliere tra quelli e questo condiziona perché crea una cultura in cui si viene bombardati sempre dagli stessi segni che sono caratterizzati da un linguaggio che è sempre quello e che viene codificato sempre nello stesso modo. Arriva il digitale terrestre, si moltiplicano a dismisura i canali, magari l’offerta è sempre quella per tante cose, però c’è la possibilità di tornare a vedere il teatro in tv, la danza in tv, i documentari. Il fatto che si frastaglia la platea e che si differenzia sempre di più, che non c’è più il “grande pubblico” televisivo ma c’è un pubblico consapevole che sceglie quello che gli piace, cambia secondo te?

“Non so se sia consapevole, non so se avere più offerta significhi veramente avere coscienza di una scelta; semplicemente secondo me si parcellizza e si frammenta lo stesso tipo di meccanismo. Non so se cambi avere 7 canali o averne mille, il meccanismo è sempre quello, cioè quest’insoddisfazione perenne che ci spinge a cambiare, cambiare, cambiare, ma non credo che ci sia più coscienza perché abbiamo più possibilità di scelta”.

Tutto questo studio sulla televisione, le scienze delle comunicazioni, i critici televisivi: non ti sembra che lo studio sula televisione sia più alto, articolato e profondo dei contenuti studiati?

 “Può essere, però è tutt’uno, cioè forma e contenuto, domande e referenti, sono sempre legati tra di loro. Non credo si possa dire se ci sono dei linguaggi che rasentano la banalità allora le teorie che si possono fare sulla banalità sono ovviamente più evolute e più raffinate di quella banalità. Se nascondo di lì, è la vita: è fatta di cose semplici e cose complesse; la complessità è fatta di pieghe e ogni piega può essere anche banale, semplice. Credo che sia tutt’uno”.

Web e tv: secondo te il web ha un pubblico che non coincide per niente con quello della tv?

“No, secondo me il web ripropone lo stesso modello culturale della tv”.

Perché?

“Perché è un’illusione dire chela televisione è morta e che verrà soppiantata dalla rete, è esattamente lo stesso meccanismo, con altre forme, altre modalità, un’altra velocità, altre dinamiche, un ritmo diverso, possibilità più facili e più estese, più disponibilità appunto a tutti a fasce di età diverse, e anche più giovani, però il meccanismo è quello. Ci sono molti che pensano che la tv sia morta e adesso c’è la rete: no, è la stessa cosa, continua lì”.

La fruizione si avvale di un estetica e di un linguaggio completamente diversi.

“Però il modello culturale è identico, è quello secondo me”.

 

nr. 45 anno XVIII del 21 dicembre 2013



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