NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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“Zio Vanja”, il dramma di Cechov al Comunale

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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“Zio Vanja”

Sembra che in questa pièce il personaggio passivo principale sia la tenuta. Anche ne “Il giardino dei ciliegi” è un po’ così. Perché è così importante la proprietà terriera per questa cultura pre rivoluzionaria? Anche dopo, con l’avvento del socialismo reale, sarà uno dei punti centrali. Sembra che il vero perno di tutto siano i luoghi e l’influenza che hanno sulle persone.

rubini (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)S.R.: “Arrivano i comunisti ed espropriano la terra, e infatti è il dramma di questa società contadina che viene travolta dalla quella industriale, soprattutto da questo spauracchio all’orizzonte, che è una crisi che arriverà, che Cechov non conosce, scrive 20 anni prima: lui presagisce l’arrivo di qualcosa che porterà via tutto. Hanno tutti paura, per cui queste terre vanno vendute, si chiude baracca perché sta succedendo qualcosa. Ciò nonostante le radici di quella cultura sono sempre lì, nella terra: chiudere e vendere in qualche modo significa sbaraccare il cuore, significa perdere l’Heimat, il luogo natio, ed è questo che rende vivi i drammi di questi personaggi. Se questo lo applichi a noi oggi, noi siamo esuli: io, Placido, siamo andati anche noi via dalle nostre terre però ce le portiamo nel cuore e questo ci fa vivere in una condizione un po’di esuli, di chi non ha un luogo in cui stare veramente”.

Voi avete spesso interpretato personaggi ispirati alla cronaca o anche commedie in cui tutti, bene o male, riusciamo a riconoscerci. Questi di “Zio Vanja” sono abbastanza simbionti con l’ambiente in cui vivono: a guardarli e ascoltarli sembrano una specie di microsocietà-ecostistema autonomo tagliato fuori dal mondo concreto. In cosa assomigliano ai personaggi reali che avete interpretato?
M.P.: “lo vedo che nella nostra società ce ne sono tanti di Serebrjakov: non sto pensando che sto interpretando un vecchio professore di 100 anni fa, penso ai grandi intellettuali ma anche a chi intellettualmente detiene il potere, ai grandi manager âgé che vanno verso il fallimento e la decadenza psicofisica. Non faccio altri calcoli, questo lo lasciamo sempre agli esegeti, ai critici: noi siamo attori, registi o realizzatori ma dobbiamo sempre ragionare sull’onda delle emozioni, della qualità umana di questi personaggi. L’anno scorso ho fatto “Re Lear”: sono i barboni che vediamo alla Stazione Termini e ovunque, che hanno il loro piccolo regno in una casa e che lo hanno perso perché le figlie li hanno cacciati fuori e quelli, i drammi, si ripetono a seconda dell’epicità o meno nel corso dei secoli. Questi personaggi li sento molto vicini e tutto il pubblico che viene a vedere questo spettacolo, lo sente quotidianamente odierno: questo vuol dire che Cechov ha colpito, che la sua classicità ha attraversato questo secolo indenne”.

nuovomondo_emanuele_crialese (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Placido, lei è pronipote di Carmine Crocco. Stanno creandosi molte associazioni cuturali che si impegnano nella diffusione delle notizie riguardo alla storia non raccontata ma documentata del Sud nel periodo pre-unitario e di come questi popoli siano stati letteralmente martoriati dopo il 1861, dando il via all’emigrazione di massa verso altri paesi, Stati Uniti in primis. È stata fatta una fiction, fu fatto anche un film con Enrico Lo Verso nella parte di suo nonno, “Li chiamarono… briganti” di Pasquale Squitieri, e sull’emigrazione post-unitaria “Nuovomondo” di Emanuele Crialese. Il teatro potrebbe essere pronto per affrontare questi argomenti con delle pièce che non siano il reading o la lettura scenica?

carmine_crocco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)M.P.: “Non so se questi personaggi possano uscire fuori dal loro aspetto epico da un punto di vista dei momenti profondamente drammatici che hanno vissuto quando sono stati cacciati, catturati, uccisi e massacrati, perché lì c’è stata una vera e propria pulizia etnica. Forse si è ancora all’inizio, ci vorrà qualche decennio per incominciare a capire veramente individuo per individuo: bisognerebbe incominciare a costruire degli identikit, parlo delle brigantesse, per capire chi erano, da dove venivano, cos’hanno passato, fare delle indagini vere e proprie per poi de_cesare03 (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)tirare fuori delle storie potentissime e fortissime. Sì, teatralmente potrebbero venire dei testi interessanti. Però, a distanza di qualche secolo, dato che si è perso tanto tempo, è dura ricostruire questo aspetto, gli studiosi sono solo di carattere storico, non hanno mai approfondito l’aspetto umano; la stessa biografia di Carmine Crocco è un po’ di parte perché era sotto controllo della polizia del carcere in cui lui veniva tenuto, non so se lui ha scritto quella che è stata la sua vera storia, la sua verità. Si può approfondire, magari i giovani, soprattutto, che hanno voglia di riscoprire a distanza di anni secoli di menzogne, perché poi certe storie sono rimaste all’interno delle famiglie e sul passaparola, almeno a me è successo: storie che mi raccontavano i miei nonni. Ci vorrebbe qualche scrittore nuovo”.

Beh c’è stato il libro di Pino Aprile che ha avuto molto successo.

M.P.: “Si ma quella è più informazione, voglia di riscatto sociale e storico. Senza nulla togliere, non è letteratura, non ha la capacità di un Verga o di questi scrittori”.

 

nr. 05 anno XIX dell'8 febbraio 2014

“Zio Vanja” (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

 



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