NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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I Casoni di Caltrano e Calvene

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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I Casoni di Caltrano e Calvene

Che tipo di esperienza professionale è stata per voi fotografare queste antiche strutture?

I Casoni di Caltrano e Calvene (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Noi siamo solo dei fotoamatori che avendo la passione di fare escursioni sui sentieri delle nostre prealpi ci siamo imbattuti spesso in queste costruzioni che nella nostra zona vengono conosciuti come Casoni. Era il 1996 quando transitando per uno di questi sentieri lo sguardo venne attirato da una costruzione cilindrica che spuntava da un mare di rovi. Si trattava di un pozzo, o meglio di una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana visto che di sorgenti vere e proprie sono in quota molto avare. Osservando meglio sotto i rovi c'erano i ruderi di alcune costruzioni i cosiddetti Casoni. Queste costruzioni servivano agli allevatori della zona quando in primavera salivano con le bestie verso la montagna, in questo modo riuscendo a sfruttare anche questi aridi pendii prima di salire agli alpeggi in quota; così pure in autunno al loro ritorno dalle malghe si soffermavano il tempo necessario per pascolare e risparmiare così il fieno giù nelle stalle della contrada o del paese".

Cosa avete voluto comunicare con il vostro lavoro di reportage fotografico?

"Osservando queste rovine ci venne l'idea di fermare almeno sulla pellicola queste testimonianze consapevoli che i pochi anni la natura si sarebbe ripresa quegli spazi che il lavoro di generazioni era riuscito a trasformare. Gli anni '60 del secolo scorso con la nascente

industrializzazione della pianura richiamò con indubbi vantaggi economici la manodopera che abbandonò la montagna e tutto quel mondo fatto di fatiche e non più remunerativo. Una volta deciso di documentare questo mondo ci siamo dati un limite geografico, abbiamo scelto il comune di Caltrano e una volta terminato il lavoro è stata allestita una mostra fotografica presso il municipio del paese e visto l' interesse dei cittadini è stato dato alle stampe un libro che poi è stato distribuito alle famiglie ed anche ai molti emigranti caltranesi sparsi per il mondo".

Perché preferite la fotografia in bianco e nero?

I Casoni di Caltrano e Calvene (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Abbiamo scelto il bianco e nero perché le foto le stampavamo noi in camera oscura e perciò potevamo intervenire a nostro piacimento, diversamente dai laboratori che stampano in modo standard e anonimo. Quando scatti una foto provi un emozione e poi deve cercare di trasmettere la stessa emozione a chi osserva la fotografia, e quindi intervenendo in fase di stampa per trasmettere la stessa emozione. C'è poi da dire che il bianco e nero è più diretto e meno dispersivo del colore e ti permette di concentrarti sul soggetto".

Qual è il percorso che vi ha portato a questa realizzazione?

"Caltrano confina anche con Calvene e c'è una continuità oltre che geografica anche culturale, ritroviamo infatti le stesse problematiche per cui la montagna è stata interessata dalle stesse tipologie costruttive, abbiamo allargato così il nostro interesse a questo Comune. Nel 2007 con una mostra fotografica in paese avevamo il proposito di fermare sulle pagine di un libro queste testimonianze. Il lavoro fotografico è stato impegnativo dal punto di vista fisico in quanto molti edifici a causa della vegetazione non riuscivamo a vederli e sicuramente ce ne sono sfuggiti e poi una volta individuati bisognava cercare di farsi largo per poterli fotografare. Arriviamo al 2013 e grazie alla Comunità Montana Dall'Astico al Brenta, ai sindaci di Calvene e Caltrano, ad alcuni sponsor e all'amico Renato Angonese riusciamo a dare alle stampe questa nuova testimonianza, in cui i Casoni vengono illustrati anche attraverso i racconti di Firmino Brazzale, noto cantore di quel mondo arcaico che lo ha accompagnato nella sua fanciullezza".

L'emozione più forte che avete provato durante il vostro lavoro sui Casoni?

"La ricerca è stata emozionante pensando che fra quelle mura c'era chi aveva vissuto lavorando tenacemente per strappare quelle risorse necessarie a quella economia di sussistenza. In qualcuno c'era ancora la vecchia "mussa" dove si appendeva la caliera per lavorare il latte, c'era anche qualche attrezzo in legno ridotto quasi in polvere dai tarli. Il latte veniva lavorato sul posto poiché era impensabile trasportarlo in paese ogni giorno, e perciò ci si organizzava per lavorarlo sul posto. Veniva conferito da più proprietari in quel Casone attrezzato allo scopo. Sicuramente anche quell'incontrarsi per pochi minuti aiutava a rendere meno pesante la permanenza in montagna lontani dalle proprie famiglie".

Pensate sia importante per una piccola comunità pedemontana come la vostra pubblicare libri come questo? E per quale motivo?

"Queste costruzioni hanno dato rifugio anche ai giovani durante la Resistenza che per sfuggire alla leva si rifugiarono in montagna, alcuni Casoni sono stati dati alle fiamme dai rastrellatori che erano sulle loro tracce. Nel libro ci sono alcuni esempi di restauro a fini ricreativi sul comune di Caltrano resi possibili da una nuova strada antincendio mentre precedentemente erano raggiungibili solo a piedi. Noi pensiamo che una ricerca su quel mondo contadino che ora non esiste più sia utile a capire anche il presente dove quello che fino a ieri davamo per scontato ora tanto scontato non lo è più. Ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito in vari modi alla ricerca".

Che tipo di esperienza professionale è stata per voi fotografare queste antiche strutture?

"Noi siamo solo dei fotoamatori che avendo la passione di fare escursioni sui sentieri delle nostre prealpi ci siamo imbattuti spesso in queste costruzioni che nella nostra zona vengono conosciuti come Casoni. Era il 1996 quando transitando per uno di questi sentieri lo sguardo venne attirato da una costruzione cilindrica che spuntava da un mare di rovi. Si trattava di un pozzo, o meglio di una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana visto che di sorgenti vere e proprie sono in quota molto avare. Osservando meglio sotto i rovi c'erano i ruderi di alcune costruzioni i cosiddetti Casoni. Queste costruzioni servivano agli allevatori della zona quando in primavera salivano con le bestie verso la montagna, in questo modo riuscendo a sfruttare anche questi aridi pendii prima di salire agli alpeggi in quota; così pure in autunno al loro ritorno dalle malghe si soffermavano il tempo necessario per pascolare e risparmiare così il fieno giù nelle stalle della contrada o del paese".

I Casoni di Caltrano e Calvene (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Cosa avete voluto comunicare con il vostro lavoro di reportage fotografico?

"Osservando queste rovine ci venne l'idea di fermare almeno sulla pellicola queste testimonianze consapevoli che i pochi anni la natura si sarebbe ripresa quegli spazi che il lavoro di generazioni era riuscito a trasformare. Gli anni '60 del secolo scorso con la nascente

industrializzazione della pianura richiamò con indubbi vantaggi economici la manodopera che abbandonò la montagna e tutto quel mondo fatto di fatiche e non più remunerativo. Una volta deciso di documentare questo mondo ci siamo dati un limite geografico, abbiamo scelto il comune di Caltrano e una volta terminato il lavoro è stata allestita una mostra fotografica presso il municipio del paese e visto l' interesse dei cittadini è stato dato alle stampe un libro che poi è stato distribuito alle famiglie ed anche ai molti emigranti caltranesi sparsi per il mondo".

Perché preferite la fotografia in bianco e nero?

"Abbiamo scelto il bianco e nero perché le foto le stampavamo noi in camera oscura e perciò potevamo intervenire a nostro piacimento, diversamente dai laboratori che stampano in modo standard e anonimo. Quando scatti una foto provi un emozione e poi deve cercare di trasmettere la stessa emozione a chi osserva la fotografia, e quindi intervenendo in fase di stampa per trasmettere la stessa emozione. C'è poi da dire che il bianco e nero è più diretto e meno dispersivo del colore e ti permette di concentrarti sul soggetto".

Qual è il percorso che vi ha portato a questa realizzazione?

"Caltrano confina anche con Calvene e c'è una continuità oltre che geografica anche culturale, ritroviamo infatti le stesse problematiche per cui la montagna è stata interessata dalle stesse tipologie costruttive, abbiamo allargato così il nostro interesse a questo Comune. Nel 2007 con una mostra fotografica in paese avevamo il proposito di fermare sulle pagine di un libro queste testimonianze. Il lavoro fotografico è stato impegnativo dal punto di vista fisico in quanto molti edifici a causa della vegetazione non riuscivamo a vederli e sicuramente ce ne sono sfuggiti e poi una volta individuati bisognava cercare di farsi largo per poterli fotografare. Arriviamo al 2013 e grazie alla Comunità Montana Dall'Astico al Brenta, ai sindaci di Calvene e Caltrano, ad alcuni sponsor e all'amico Renato Angonese riusciamo a dare alle stampe questa nuova testimonianza, in cui i Casoni vengono illustrati anche attraverso i racconti di Firmino Brazzale, noto cantore di quel mondo arcaico che lo ha accompagnato nella sua fanciullezza".

L'emozione più forte che avete provato durante il vostro lavoro sui Casoni?

"La ricerca è stata emozionante pensando che fra quelle mura c'era chi aveva vissuto lavorando tenacemente per strappare quelle risorse necessarie a quella economia di sussistenza. In qualcuno c'era ancora la vecchia "mussa" dove si appendeva la caliera per lavorare il latte, c'era anche qualche attrezzo in legno ridotto quasi in polvere dai tarli. Il latte veniva lavorato sul posto poiché era impensabile trasportarlo in paese ogni giorno, e perciò ci si organizzava per lavorarlo sul posto. Veniva conferito da più proprietari in quel Casone attrezzato allo scopo. Sicuramente anche quell'incontrarsi per pochi minuti aiutava a rendere meno pesante la permanenza in montagna lontani dalle proprie famiglie".

Pensate sia importante per una piccola comunità pedemontana come la vostra pubblicare libri come questo? E per quale motivo?

"Queste costruzioni hanno dato rifugio anche ai giovani durante la Resistenza che per sfuggire alla leva si rifugiarono in montagna, alcuni Casoni sono stati dati alle fiamme dai rastrellatori che erano sulle loro tracce. Nel libro ci sono alcuni esempi di restauro a fini ricreativi sul comune di Caltrano resi possibili da una nuova strada antincendio mentre precedentemente erano raggiungibili solo a piedi. Noi pensiamo che una ricerca su quel mondo contadino che ora non esiste più sia utile a capire anche il presente dove quello che fino a ieri davamo per scontato ora tanto scontato non lo è più. Ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito in vari modi alla ricerca".



nr. 06 anno XIX del 15 febbraio 2014

I Casoni di Caltrano e Calvene (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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