È un dramma in chiave leggera, Occidente Solitario picchia durissimo.

“Sì, sono d’accordo”.

la pièce è andata in scena per la prima volta nel 2008, in quasi tutti i film e telefilm americani, ma anche reality, vediamo queste donne che sono quasi sempre così: esigentissime nei confronti dei loro uomini, li schiacciano e li sovraccaricano di aspettative.

“Sicuramente dagli Stati Uniti partono poi tutte le mode e le tendenze e da quando loro sono l’impero, c’è un’immagine molto più aggressiva: anche questa ossessione della bellezza parte da lì e poi ci coinvolge tutti quanti, questo tema lo senti ovunque e lì c’è questo stereotipo femminile molto aggressivo indipendente e molto forte”.

Non le vedo mica tanto indipendenti queste donne che dicono: “devi fare così, però stiamo insieme, però i soldi, però devi essere così”: si realizzano attraverso l’uomo.

“Si il personaggio di Steph, pure lei, è una che vuole quelle cose lì; alla fine torna per dirgli: “vedi? ti ho amato ma non mi avresti mai dato l’anello”. Parliamo comunque di un contesto particolare, ma è quel “quasi topos” letterario, in cui lei si vuole sposare, è una cosa che riguarda varie classi sociali, non è che appartiene solo a quella”.

In tutto questo rincorrere la bellezza, nessuno di loro si domanda quale sia il motore dello stare insieme, tantomeno cosa voglia dire amare. Sembra che a LaBute interessi indagare la superficie di questi personaggi mostrandola come totalizzante e questa superficialità viene analizzata, paradossalmente, profondamente.

“Si è vero, è giusta questa considerazione: diciamo che il personaggio di Greg e di Steph sono chiaramente un po’ più sviluppati da questo punto di vista e gli atri due sono un po’più tagliati con l’accetta perché sono più delle funzioni, proprio in scrittura, in Steph e Greg ci sono più sfumature. Se consideriamo essere superficiali queste cose qua lo siamo un po’ tutti perché io, è questo condizionamento culturale, conosco persone di una intelligenza, preparazione, di un successo, che non fanno le attrici, che arrivano pure a una certa età con questa ossessione dell’immagine e della bellezza con delle cose che se le senti gli chiedi: “ma che dici? È possibile che sia così superficiale?”. Parlando di filtro culturale, non di chi sbuffa quando sente le parolacce, non solo questo testo di LaBute ma tutti: io ho parlato con una persona che stimo molto e che mi ha detto che LaBute non gli piace, però ho capito che il suo è il punto di vista della persona colta, raffinata …”

...che si aspetta un’indagine più profonda nell’animo del personaggio.

“Esatto, che non ci sta a questo. Però secondo me è sbagliato perché la gente si riconosce e non solo a livello generazionale ma le età più disparate; la cultura ha la funzione di farti rimanere più aperto e farti capire che LaBute comunica e gioca nella melma della superficialità e della chiacchiera, però poi tra le pieghe ci stanno un sacco di cose comuni a tutti noi, dalla persona più semplice a quella più raffinata che ha lo stesso problema e condizionamento culturale”.

Perché la percezione di se stessi, per loro, passa solo attraverso il giudizio degli altri?

“Perché purtroppo spesso è così: anche questo è un discorso in cui ci riconosciamo tutti. Siamo tutti quanti il prodotto di come gli altri ci vedono o, comunque, nel bene e nel male, spesso, è più facile che un altro ci posa descrivere, piuttosto che noi stessi. In questo caso sono persone che si conoscono ma che poi, alla fine, non si conoscono veramente. In questo caso si tratta di quei rapporti in cui uno ha un’immagine dell’altro completamente distorta da quella che dovrebbe essere e da quella che la persona vorrebbe dare”.

nr. 08 anno XIX del 1 marzo 2014



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