NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

L’omaggio a Coleman e al jazz di Rosario e Fabrizio

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

L’omaggio a Coleman e al jazz di Rosario e Fabrizi

Nel jazz anche l’influenza folklorica dei vari paesi è molto forte, penso alla musica dell’Est. In Italia, al Sud, forse in Sicilia si fa più jazz o a Napoli un po’ più blues. Quali sono gli elementi musicali o anche storici e sociali che permettono a un determinato genere di jazz di attecchire rispetto ad un altro?

L’omaggio a Coleman e al jazz di Rosario e Fabrizi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)F.B.: “In Italia non trovo che ci sia questa differenza: in Sicilia ci sono musicisti che fanno blues o be bop o jazz più moderno poi magari per caso può essere che a Salerno ci sono più musicisti di jazz e meno di blues ma non mi sembra che ci sia una corrente per cui uno va a vivere in Sicilia perché si suona più blues. Questa cosa la puoi vedere, come dicevi tu, in paesi dell’Est Europa in cui si suona un certo tipo di jazz ma lì è veramente influenzato dalla loro musica popolare. A me non sembra che il nostro jazz possa essere influenzato più di tanto dalla musica tradizionale delle proprie regioni ma dalla nostra musica in generale. La nostra tradizione è bandistica e lirica, ci sono dei casi tipo Pino Minafra che hanno fatto molte cose con le bande proponendo un tipo di jazz influenzato molto da quelle atmosfere”.

R.G.: “Questa cosa viene vista in maniera errata perché viene chiamato jazz quello che non lo è. Il jazz ha un tipo di linguaggio e di forma ed è ramificato: appunto possiamo parlare di cool jazz, free jazz, hard bop o be bop, sono stili di jazz ma il jazz è uno e ha quel suono lì, per cui tutti quelli che suonano jazz devono stare in quella “zona” lì. Poi sicuramente nella nostra musica ci può essere un approccio diverso rispetto a un tedesco o a uno svedese, magari il loro è un po’ più distante e il nostro un po’ più coinvolto perché noi veniamo da una tradizione più melodica e viviamo in un paese dove ci sta il sole: è normale che in un paese dove è sempre buio e sempre freddo hanno proprio un approccio alla vita diverso e di conseguenza alla loro forma di arte. Secondo me è quello che viene un po’confuso, non è vero che a Milano ci sta un tipo di jazz e in Sicilia un altro”.

Dicevamo che il jazz è partito come musica di protesta, almeno agli inizi. Poi nei periodo storici è stato soppiantato dal rock e adesso un genere che va tantissimo è l’hip hop. Questi generi musicali tendono a rappresentare delle classi sociali ben distinte: il jazz musica nera, il rock è più una musica dei bianchi e l’hip hop ritorna a essere una musica nera. Se prendiamo l’hip hop e il jazz, che sono figli della stessa cultura nera, sono diventati generi lontanissimi tra loro al punto che, a paragonarli, l’hop hop è il nuovo popolare e il jazz è musica d’elite. Come è avvenuto questo processo?

R.G.: “Io non penso che il jazz sia una musica di neri: da sempre in tutta la storia del jazz ci sono stati i neri e i bianchi, semplicemente facevano stili diversi. Se poi diciamo che nasce dagli spiritual e dai gospel ma poi quando è diventato jazz…E l’hip hop non è altro che jazz con un ritmo più funky che nasce dopo. Per questo dico che il jazz ha influenzato tutti i generi di musica, poi si può dire invece che il jazz è stato molto influenzato dalla musica classica…”.

F.B.: “L’improvvisazione è partita da lì, pensa alle fughe di Bach”.

R.G.: “Però l’hip hop è assolutamente jazz, se tu pensi alla musica di Coltrane, Miles Davis, o lo stesso be bop suonato da Charlie Parker, ci metti il ritmo funky e diventa hip hop: perché si mettono i pantaloni bassi e ci fanno sopra il rap pensano di avere inventato qualcosa ma non è assolutamente così”.

Il “grande pubblico” quando pensa a jazz e musica classica pensa a Gershwin. L’idea che si ha dell’esecuzione jazz è con piccoli ensemble di musicisti. Esiste un jazz sinfonico per grandi orchestre, a parte Gershwin che è quello più conosciuto?

L’omaggio a Coleman e al jazz di Rosario e Fabrizi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)F.B.: “Esistono delle cose sia contemporanee che vecchie, i concerti sacri di Ellington che sono per orchestra sinfonica e big band quindi 100 elementi perché 60-70 di orchestra sinfonica più 20 della big band. A livello contemporaneo anche Wynton Marsalis ha scritto una sinfonia. Si conosce meno perché sono più difficili da portare in giro, però ci sono dei casi di orchestra più allargata”.

R.G.: “Non le fanno vedere in tv: noi ci siamo messi a vedere un concerto in diretta streaming di Wynton Marsalis dal Lincoln Center con una big band e un coro di 100 e passa persone. Il problema è sempre quello: le cose ci stanno ma bisognerebbe farle arrivare alla gente, per questo la gente non le conosce, se continuiamo a mettere il Grande Fratello non si può fare niente. Sonny Rollins ha detto una cosa che mi è piaciuta molto: “Il jazz non puoi ucciderlo perché non è un corpo, è uno spirito”.



nr. 19 anno XIX del 17 maggio 2014

 



 

 



« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar