NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce

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Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce

Il valore del volontariato è anche qui alto: qual è il meccanismo per cui voi lavorate nel carcere riuscendo alla fine a capire che cosa?

Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)JIMMY PAYA- Si scopre una realtà e si dà una speranza in mezzo al buio totale. Il carcere è una realtà triste, una società esclusa all'esterno. La Caritas c'è e con il Lembo del Mantello ha contattato 150 persone facendo nascere per Vicenza Verona e Belluno anche un altro progetto che si chiama Esoso. Diamo la possibilità di uscire in misura alternativa per scontare l'ultima parte della pena fuori. C'è sostegno morale, colloquio semplice, qualche capo di vestiario, l'assistenza religiosa per tutti e per la varie religioni, la cura di voler cambiare la mentalità corrente: davanti a San Pio X passiamo tutti e tutti i giorni, come facciamo a non vederlo? Il nostro lavoro consiste nell'essere dentro a lavorare dopo aver ottenuto un permesso da assistente volontario. Accetta la domanda entriamo e andiamo a contatto con i detenuti. Ora c'è una grande collaborazione da parte di tutti, l'area pedagogica del carcere ma anche gli agenti. Entrati passiamo otto porte che si chiudono, abbiamo libertà anche di andare nelle sezioni pur di fare sostegno. Tutte le dinamiche della sorveglianza vanno rispettate, la sicurezza è importante, le condizioni sono difficili per le persone che invece di una per cella sono sempre di più: 250 detenuti su una capienza di 150. Si creano problemi da oppressione e riguarda i detenuti gli agenti, ma riguarda tutti noi. Chi sconta un reato senza la possibilità di una vera e progressiva revisione critica di quel che ha fatto alla fine esce più arrabbiato di prima.

ANDREA NICOLIN- L'impegno dell'amministrazione c'è e ci sono misure alternative che ora si praticano di più, con più attenzione per far scendere il numero della popolazione detenuta e migliorarne le condizioni. Assieme vengono offerte possibilità nuove di trattamento. Il progetto di una riabilitazione deve nascere già dentro, una persona non può essere tenuta dentro fino all'ultimo giorno per poi proiettarla all'esterno: a quel punto non ha più riferimenti, né di lavoro, né di affetti, né di rapporti interpersonali. Ora si favoriscono la misure alternative favorendo la possibilità di scontare la pena al di fuori del carcere grazie anche al volontariato, alle cooperative, che si assumono la responsabilità di far lavorare il detenuto nel modo più agevole. la buona condotta è preferenziale ovviamente e c'è una equipe di osservazione e trattamento che variamente composta ha la possibilità di esaminare i casi uno per uno e di esprimersi a tutti i livelli fornendo un parere. Chiaro che è il detenuto a voler fare tutto questo, non si tratta di un obbligo. le statistiche dicono ce chi esce dopo aver scontato in carcere tutta la pena delinque per il 70 per cento mentre chi viene accompagnato gradualmente verso la libertà non arriva in percentuale al 10 per cento. La conclusione è anche troppo chiara.

Cosa fanno gli altri paesi in Europa?

ENRICO MASTELLA- La differenza la fanno i paesi scandinavi, ma penso che il nostro problema è soprattutto culturale, quando si sente parlare di un ex detenuto c'è sempre diffidenza e si crede davvero che chiudendo uno in gabbia si trovi alla fine la soluzione, C'è un grande lavoro da fare, ci piaccia o no tutti quanti dobbiamo farcene carico: c'è chi lo fa quotidianamente come i volontari e chi lo fa più saltuariamente. L'operazione verso la scuola è indispensabile, i ragazzi sono cittadini di domani e avendo conosciuto il carcere mi auguro facciano scelte giuste tenendo conto di tutto È sicuramente cultura ed è in quella direzione che bisogna lavorare. I meccanismi per i vari paesi sono diversi, altrove si punta molto sul lavoro, certo che comunque si agisce in modo da alleggerire con l'impegno lavorativo o di studio la pesantezza della vita del carcere. Di programmi come i nostri ce ne vorrebbero molti di più.

Una insegnante abituata al rapporto faccia a faccia con gli studenti che sensazioni ha in questo caso, di fronte ad altri giovani che magari vogliono tornare a studiare...

GIORGIA CALEARI- Chi viene messo nella possibilità di scegliere lo fa coerentemente per investire bene il suo tempo. Ma alcuni non hanno mai avuto un progetto di vita e lì invece piano piano possono farlo. La sensazione quando entriamo con le nostre classi è che la formazione sia davvero importante: serve a quei ragazzi e serve ai nostri che dopo queste esperienze non banalizzano più niente. La scuola la cultura e la possibilità di riscatto sono valorizzate al massimo. Che il luogo resti oppressivo è un fatto, ma se puoi immaginarti un futuro diverso questo è già un assaggio di libertà perché si prende per mano un essere umano e lo si aiuta a trovare una nuova possibilità o magari la prima possibilità in assoluto. Perché molti sono anche in questa condizione di non aver mai avuto una reale possibilità.

JIMMY PAYA- Importante anche il lavoro anche se siamo a 30/40 che lavorano su 250 persone il che non basta ovviamente. Nel nostro progetto tutto si fonda sul lavoro perché senza non ci può essere né revisione critica né recupero.

ANDREA NICOLIN- C'è anche da dire che esiste una grande fetta di persone in attesa di giudizio. Erano di più e ora sono di meno, ma certo che essere in carcerazione preventiva per tanto tempo non aiuta a rasserenarsi. Sono per la legge non colpevoli, ma soffrono comunque una carcerazione: a loro viene offerto qualcosa, c'è una analisi in modo che in qualsiasi modo vada a finire in tribunale sempre sarà stato praticato un percorso utile alla persona, dal corso scolastico o professionale a un corso per imparare l'italiano nel caso di stranieri incarcerati. la scuola interviene con gli stessi programmi e gli stessi insegnanti dell'istituto comprensivo più vicino come è il caso di San Pio X. Circa il 40 per cento di soggetti detenuti soffre inoltre di varie dipendenze, come la droga, l'alcol, il gioco, ecc. Da tre anni la sanità viene seguita tutta dalla Ulss con tutta la sua organizzazione per cui la competenza in materia non è più del carcere. Il che vuol dire che per le dipendenze interviene ad esempio il Sert. Anche in questo caso ci sono misure alternative previste, per cui si può scontare la pena in una comunità terapeutica.

Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ENRICO MASTELLA- Siamo anche noi su questa linea perché disponibili a contattare chi ci viene proposto dopo la necessaria analisi. Purtroppo però il carcere continua ad essere considerato una discarica, dove non si fa raccolta differenziata dell'uomo, perché si confonde tutto assieme, senza differenziare niente. tante patologie e problematiche che rappresentano in gran parte la società così com'è e dove pagano molto duramente i più poveri, quelli che davvero non hanno niente e che non avranno niente. Le misure alternative bisognerebbe studiarle e applicarle bene attribuendo la giusta importanza alla possibilità di creare alternative alla detenzione.

Il volontario che affronta faccia a faccia queste persone come se la cava? È evidente che c'è una sofferenza sulla quale intervenire, ma in che modo?

JIMMY PAYA- Con alcune persone in attesa di giudizio non occorrono permessi speciali, ma la Caritas va in cerca degli ultimi degli ultimi, senza sostituirsi ai servizi che ci sono già. Ogni persona ha una sua storia e un suo perché e quanto ci colpisce di più è la mancanza di fiducia della società esterna verso queste persone. Diamo sostegno psico-morale, il più delle volte basta sentirsi avvicinati e appoggiati, basta poco, anche se poi il meccanismo di appoggio è lungo e deve essere misurato sull'individuo.

È vero che questi uomini e donne vivono come non avessero più identità e nemmeno più una propria ombra?

GIORGIA CALEARI- Rischiano di perderla l'ombra proprio perché rischiano di non sentirsi più esistenti. Quanto più si escludono da fuori, tanto più da dentro ci si sente esclusi e dimenticati. Quel che bisogna far capire e cerchiamo di farlo capire è che dentro non cessano di estere i diritti di ciascuna persona, bisogna far capire che l'ombra c'è ancora, che niente è perduto finché c'è ancora qualcuno che ti resta vicino. I nostri ragazzi certe cose le hanno capite benissimo e forse ora vedono questa realtà con occhi più maturi, sapendo di poter fare qualcosa e di averne realmente la possibilità. È una lunga e interessante elaborazione personale grazie alla quale alla fine si vive meglio tutti: loro e anche noi che siamo fuori dal carcere. Questo è quanto i nostri ragazzi hanno compreso bene ed è un lavoro che occorre continuare a fare.

 

nr. 22 anno XIX del 7 giugno 2014 

 

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