NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce

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Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce

Il tema carcere è indigesto: nonostante le dichiarazioni del presidente della Repubblica che invocava la "impellente urgenza" di provvedimenti da adottare come ad esempio l'amnistia, il sovraffollamento è sempre lì e l'Italia è accusata di non rispettare i diritti umani dalla UE. Perché il CSI ha pensato ad un progetto che aiuti a vedere qualche spiraglio?

ENRICO MASTELLA- Nel '99 abbiamo iniziato con i nostri diplomati Isef alcune attività motorie, poi siamo entrati con una squadra una volta al mese, infine abbiamo adottato la stessa iniziativa di Verona coinvolgendo la scuola e andando a giocare le partite di calcio durante l'ora d'aria. C'era una scuola solo all'inizio, poi sono aumentate, come è aumentato l'impegno: ora gli studenti entrano alle 9,30 hanno contatto con l'interno (aree sicurezza, sanitaria, biblioteca) hanno colloqui con un paio di loro coetanei detenuti. Ora la scuola sono 24 e da quattro anni a questa parte il percorso è così educativo che abbiamo avuto tanta disponibilità da parte della Polizia penitenziaria che opra entrano anche le ragazze. Questa è una grossa novità. Poi ci sono corsi nelle scuole sulla legalità (tra primarie, medie e superiori).

Come è coinvolta la Polizia Penitenziaria che denuncia spesso in tutta Italia gradi disagi al punto che gli agenti suicidi non sono pochi...

Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ANDREA NICOLIN- Siamo come le altre polizie, fino a qualche anno fa eravamo poco conosciuti in quanto lavoravamo solo all'interno. Ora siamo più all'esterno perché facciamo le traduzioni verso i tribunali, accompagniamo in ospedale i detenuti per le visite, apriamo il carcere alla società esterna che ha imparato a voler conoscere in qualche modo una realtà che prima vedeva comunque senza interesse a parte i timori le cose legali, ecc. Non c'era verso di trovare qualcuno che volesse avvicinarsi, ora invece a poco a poco le cose sono cambiate. Quando mi sono arruolato oltre vent'anni fa ero come una mosca bianca per la gente non del mestiere: volevano sapere come era la vita all'interno, se vedevo i detenuti, se c'erano pericoli ad avvicinarli e comunque la preoccupazione era che stessero ben chiusi in cella e che non ci fossero possibilità di equivoci. La società vede ancora il carcere come una discarica in cui convogliare chi dà fastidio fuori e vede i detenuti come bestie feroci. La realtà è che si tratta di persone che debbono scontare una pena che non è fine a se stessa ma a norma costituzionale utile al rientro e al reintegro nella società.

Se il carcere di San Pio X sparisse se ne accorgerebbe qualcuno a parte voi?

ANDREA NICOLIN- Oggi credo di sì, le informazioni sono maggiori, la sensibilizzazione verso le scuole e quindi verso la società è cresciuta enormemente. Certo che in questo periodo storico siamo tutti sotto i riflettori per il sovrannumero, gli spazi ridotti, ecc. Ma l'amministrazione ha preso alcuni provvedimenti che hanno migliorato la condizione dei detenuti che dall'anno scorso sono a regime più aperto partito da Milano Bollate e trasferito piano piano a tutti gli istituti di pena. Sono convinto che sono ancora molte le persone che mantengono le distanze, ma ce ne sono molte altre che chiedono ad esempio di fare volontariato in carcere.

Come se la cava la scuola in questo rapporto di crescente collaborazione e che effetto le fa personalmente?

Tra scuola e carcere una collaborazione che cresce (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)GIORGIA CALEARI- La novità è che ora ci sono anche le ragazze, ma io partecipo dal 2008. Lavorare in classe e poi fare esperienza in carcere per qualche ora è quanto basta assieme agli incontri per capire molte cose. Al di là dei muri e delle sbarre si percepiscono cose che mutano l'atteggiamento pregiudiziale e così arriva l'attenzione, arriva la sensibilità. Il che fa bene a tutti. La prima volta che sono entrata ho sentito una grande oppressione e un forte senso di solitudine, ho avuto netta la consapevolezza che lì ci si può perdere se non c'è qualcuno che ti dia una mano, dover chiedere ogni cosa, immersi nell'anonimato, i rumori secchi e forti dei cancelli che si aprono e si chiudono, l'isolamento totale... Pensate ai ragazzi che la prima volta lasciano fuori i cellulari: è stato come togliergli qualcosa di dosso e fargli capire subito in che cosa consiste questo vero isolamento dal mondo. Abbiamo organizzato un momento di riflessione con le ragazze che non partecipando ovviamente alla partita di calcio hanno scritto tutto e quel che ne è uscito è la descrizione di una tensione da oppressione che si capisce benissimo. Poi però tutto si scioglie e arriva il rispetto, la considerazione dell'umanità dei rapporti tra le persone. Importante è che alla fine questa realtà non viene più vista come diversa, altra, ma come qualcosa che riguarda tutti perché si capisce che tutti possono sbagliare e che si tratta di come ciascuno di noi si gioca le proprie possibilità sempre a stretto contatto con gli altri.



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