Il rapporto tra tecnologia e musica con strumenti acustici: se la tecnologia serve a ricreare forme archetipiche, verrebbe da pensare che la strumentazione incide in maniera relativa sulla tecnica di scrittura e che invece parte tutto dalla forma e dalla struttura musicale che si creano nella mente del compositore.
“Beh indubbiamente sì, se pensiamo che Beethoven scriveva musica anche da sordo, in qualche maniera è la forza del pensiero che genera la musica; dopo, la reazione all’ascolto è anche un grande veicolo, però nel pensiero occidentale, forse, l’elemento dominante è stato proprio quello della struttura del pensiero”.
Visto che qualsiasi suono è modificabile, ci si potrebbe chiedere quale sia il suono reale degli strumenti: una domanda che spesso il pubblico si pone è se ciò che si sente sia uno strumento vero, un’orchestra vera o computer. Anche nell’arte figurativa succede. Non c’è il rischio che la gente percepisca come più “puro”, più autentico, il suono digitale? Parlo di supporti, cioè di quello che sentiamo su disco.
“Per me è un po’ un falso problema, cioè un problema del momento: in fondo, sempre, la musica ha cercato di stupire anche con il pianoforte, far uscire dei suoni “acquei” è stata una sfida che è riuscita a dare anche degli ottimi risultati. Si è sempre cercato, con la musica, se vogliamo di imitare la natura nelle cose oppure inventarsi delle strutture, quindi è normale che anche oggi, col computer, si vada in queste direzioni e che ci si avvicini ai suoni degli strumenti tradizionali ma si portino gli strumenti tradizionali anche verso altre sonorità, perché questi sono i giochi della musica, in qualche maniera”.
Oggi c’è moltissima gente che fa musica senza saper suonare nessuno strumento e anche tra chi suona c’è chi non sa leggere la musica. Però molti sono bravi e padroneggiano con disinvoltura i mezzi tecnologici, le app eccetera. Possono essere definiti musicisti anche questi che magari sono dei grandi creativi che però non conoscono gli strumenti tradizionali?
“Beh direi di sì, devo dire, poi c’è sempre il mondo accademico che ha bisogno di giustificazioni e validazioni però fino a non molto tempo fa anche per entrare in conservatorio bastava essere un bravo musicista, un bravo esecutore, indipendentemente dal percorso di studi che uno aveva fatto, mentre in qualche maniera nei curricula universitari uno doveva avere una serie di lauree; nel mondo della musica uno veniva scelto proprio per le capacità reali, indipendentemente dal suo percorso. Quindi anche queste nuove generazioni se hanno veramente una mentalità innovativa, anche al punto di vista musicale, non necessariamente devono aver fatto il percorso secolare, anche se la vedo difficile riuscire a inventare cose nuove senza tener conto del passato”.
La manualità artigianale nei confronti dello strumento quanto incide sulla eventuale creatività del musicista che comunque suona quello strumento, rispetto alla alfabetizzazione tecnologica?
“Bisogna distinguere i ragazzini che diventano bravi a utilizzare applicazioni inventate da altri e che restano un po’ chiuse nell’ambito per cui sono state create (è un po’ come dire andare al supermercato e comprare il cibo precotto) da coloro che invece riescono a farsi il programma e in qualche maniera inventarsi la app, allora questo lo vedo molto più legato all’idea di sviluppo musicale che la storia della musica ci ha insegnato. Quelli che usano i prodotti confezionati dall’industria, per me, inevitabilmente riescono a fare ciò che l‘industria gli ha dato in mano, non sono loro ad inventarsi idee nuove”.
nr. 21 anno XIX del 31 maggio 2014