Che messaggio, non necessariamente calcistico, si sente di dare in occasione di questo evento mondiale?
MONS. BENIAMINO PIZZIOL: «Ho sempre pensato che lo stadio e il campo da calcio possano essere un'icona straordinaria di una società in cui i popoli si incontrano in una sana e leale competizione. Senza violenze e prevaricazioni, ma in modo pacifico. Un incontrarsi dove ciascuno mette il meglio di sé, il proprio impegno, le proprie abilità, il rispetto delle regole, la disponibilità al sacrificio. I campionati mondiali di calcio, come le Olimpiadi, possono diventare opportunità di dialogo, di comprensione reciproca, di arricchimento umano anche per popoli molto lontani e diversi tra loro. Spero che questi Mondiali siano davvero un'occasione per fare un passo in più verso la pace autentica tra i popoli. Il timore è che invece la società esterna ai campi di calcio possa influenzare tutto ciò che si svolgerà all'interno degli stadi facendovi entrare violentemente le sue problematicità e i suoi conflitti. Certo, il Brasile per primo ha problemi enormi sui quali è giusto sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica, ma mi auguro che i Mondiali di calcio siano un'autentica esperienza di pace, concordia, lealtà, amicizia tra i giocatori, i tifosi e i popoli che rappresentano».
ATTILIO SCHNECK: «Più che un messaggio è un augurio: che le grandi opere e gli investimenti fatti in occasione del Mondiale rappresentino una reale opportunità di sviluppo e di crescita per il Brasile e non siano legati solamente ad un evento. Un augurio che estendo anche all’Italia per l’Expo».
ACHILLE VARIATI: «I mondiali devono essere una festa dello sport e delle nazioni. Ho trovato molto bello il messaggio di Papa Francesco che ha parlato di rispetto, fraternità e solidarietà e dello sport come “uno strumento per comunicare i valori che promuovono il bene della persona umana e aiutano a costruire una società più pacifica e fraterna”. Mi pare una visione affascinante quella dei mondiali come possibile mezzo per costruire una società migliore, magari a partire dallo stare insieme nelle nostre case e nelle nostre piazze per vivere insieme le emozioni delle partite».
DANIELA SBROLLINI: «Spero che vinca il calcio, quello vero. L'augurio è che sia un bel mondiale, con gare spettacolari e stadi pieni, senza nessun episodio di violenza. Spero infine che questo mondiale possa garantire una spinta anche per la politica italiana: in tal senso è stata una bella idea che il premier Renzi e il c.t. Prandelli abbiano deciso di mangiare assieme la banana come spot contro la razzismo».
MANUELA DAL LAGO: «Il messaggio non può essere che questo: il calcio è uno sport, quindi deve essere vissuto come divertimento e passione. Mi auguro che con questo spirito si possa vivere questo atteso mondiale».
MATTEO MARZOTTO: «Il messaggio più importante che dovrebbero trasmettere manifestazioni come questa si può sintetizzare in una parola: unità. Il calcio è un gioco di squadra, i talenti dei singoli sono sicuramente importanti, ma quel che più conta è la forza e la coesione del gruppo».
GIUSEPPE ZIGLIOTTO: «Più che un messaggio un augurio: che la rivalità rimanga confinata all'ambito del sano tifo sportivo. La vera vittoria, in ogni sport, è quella che crea conoscenza e amicizia tra genti diverse. Questa resta negli animi, le coppe restano nelle vetrine».
ERNESTO BOSCHIERO: «Il senso di appartenenza allo Stato che si riscontra in occasione dei mondiali di calcio, soprattutto quando si vince, sarebbe bello poterlo trasferire nella vita di tutti i giorni. In sostanza se in Italia ci fosse sempre questa unità sono convinto che sarebbe il modo migliore per uscire dalla crisi».
AGOSTINO BONOMO: «Il calcio non è certamente "la vita", e le notizie che giungono proprio dal Brasile sul disagio di una popolazione che pur stravede per il pallone sono lì a ricordarcelo. Ma se una competizione aiuta a ritrovare l'orgoglio d'appartenenza, la voglia e la convinzione di poter superare in un grande gioco di squadra le difficoltà, ben venga il Mondiale. In bocca al lupo».
FLAVIO LORENZIN: «Il ritorno d’immagine ed economico di un Paese che si vuole misurare con il mondo globale è innegabile, ma è paradossale rispetto a ben altre problematiche sociali ed umane che riguardano “minoranze” che tali non sono».
nr. 23 anno XIX del 14 giugno 2014