Mariella, lei scrive che in quegli anni la solidarietà tra poveri era un principio di vita. Oggi cos'è cambiato?
"Era proprio così, tanto che anch’io sono cresciuta con lo stesso principio di vita. È la forza dell’esempio, al di là delle parole, che si tramanda di generazione in generazione. Ricordo i poveri che venivano a casa nostra all’inizio degli anni cinquanta, quando il boom economico era di là da venire, e in un angolo della credenza c’era uno spazio riservato per loro, dove i miei genitori mettevano due lire (all’epoca c’era anche una lira) con cui accompagnavano la scodella di farina o altro. Era la mamma che spingeva noi bambini a chiamare i poveri per lo più anziani in casa, per farli riposare un po’. Oggi non so. I ritmi sono diversi, proprio il valore del tempo è cambiato: il mondo gira intorno a noi e solo a noi. Anche i figli ricoprono un ruolo che oscilla verso estremi opposti: da una parte sono iperprotetti, dall’altra devono capire, perché sono 'grandi' - magari hanno solo dieci o dodici anni - che mamma e papà si separano, con tutte le drammatiche conseguenze.
Ma non è tutto così, per fortuna...
"C’è il rovescio della medaglia: il mondo del volontariato di cui faccio parte che cresce. Ci sono giovani che s’impegnano in progetti e questo significa che non è questione di tempo, lo si trova. Sono le proposte che devono essere ricche di valori alti. La mediocrità avvilisce e allontana i giovani. E gli adulti, impegnati nel volontariato, sono sempre di più. Segno evidente che al di là della facciata dominante, la solidarietà è un valore insopprimibile che non può non emergere, anche oggi, magari in forme diverse, perché sono convinta che oltre a far parte del nostro dna più profondo, quando in famiglia si semina in un certo modo, prima o poi il germoglio cresce e dà frutto. Le due facce, quindi, coesistono, anche se è la prima che s’impone, che fa più notizia".
Racconta anche come in quell'ambiente si respirava il "senso palpabile dell'essenzialità della vita".
"L’essenzialità era parte integrante del concetto stesso di vita. Non di sopravvivenza. Il senso della Provvidenza che permeava ogni azione quotidiana, il lavoro duro che impegnava grandi e piccoli, la necessità di unire le forze, guardare verso un obiettivo comune… davano una tensione fortissima verso ciò che era importante, vitale. Era il senso della vita (nella famiglia della protagonista era così) e in questo contesto, ogni azione acquistava un suo valore. E in questa opera spirituale, era la donna il cuore pulsante, che imprimeva la “rotta” a tutta la famiglia, anche se formalmente era il maschio il capo. Non per niente i nostri nonni avevano forgiato il proverbio: La donna tien su tre pilastri dea casa".
Nella trama c'è il filo costante della guerra e delle sofferenze e ferite profonde che causò: oggi ce ne siamo dimenticati?
"La memoria segue sempre un percorso che può sembrare bizzarro: resta viva nei protagonisti e solo in loro. I ricordi delle privazioni perdurano e solcano l’esistenza soltanto se li hai vissuti quei momenti, quelle sofferenze, quelle privazioni. La guerra continua a parlare alla mente di chi l’ha fatta, di chi l’ha subita, poi si trasforma in racconto, commemorazione ufficiale, monumento. Dopo c’è la ricerca, c’è il recupero di qualcosa che si è perso, forse irrimediabilmente, c’è la memorialistica. Nei protagonisti c’è indubbiamente un desiderio inconscio di cancellare, di rimuovere la parte negativa dell’esistenza. Ma far memoria di ciò che è stato è per me sacrosanto, deve durare oltre il tempo. E anche se le nuove generazioni non potranno mai entrare “nell’anima” di quei ‘vissuti’, è giusto che a livello di conoscenza “respirino” le loro radici, perché appartengono anche a loro. È l’eterno discorso della storia (soprattutto quella del ‘900), che deve essere insegnata oggi più ieri, con una didattica aderente alla realtà dell’alunno. Oggi i mezzi ci sono: filmati, interviste storiche con i protagonisti, spezzoni di film… Insomma far toccare con mano la realtà, anche valorizzando la figura, la vita e la memoria dei nonni, chiamandoli in classe, a raccontare, come facevo anch’io. Prima che sia troppo tardi".
Uno dei pilastri di quel mondo era il filò: che ricordo ne ha?
"Il filò rappresentava il momento sociale, comunitario, in cui decantavano le fatiche quotidiane per lasciare spazio alla comunicazione, ai racconti, ai ricordi, alle riflessioni. Ho fatto in tempo anch’io a vivere questi momenti, ed erano attesi, partecipati, condivisi con gioia, perché i vicini di casa arrivavano alla spicciolata; panche e sedie non mancavano, anche un tronco tagliato poteva servire da sgabello, soprattutto per noi piccoli, e il cortile si riempiva a poco a poco, o la grande cucina d’inverno. I racconti s’intrecciavano, gli argomenti erano i più diversi: il tempo che nascondeva sempre la paura ancestrale della tempesta, le notizie del giornale che papà leggeva tutti i giorni, le considerazioni sulla vita quotidiana, i ricordi di guerra che non mancavano mai, per concludere con la recita del rosario, in un latino personalizzato. Erano, per noi piccoli, momenti magici, soprattutto quando i grandi parlavano della guerra, dei bombardamenti, delle fughe nei rifugi, dei giovani nascosti nei pagliai e scovati per qualche delazione".
Lei scrive dell'esempio "che si tramanda come eredità spirituale": Maria, così come i suoi antenati, viveva di valori veri e profondi. C'è un messaggio da capire per noi oggi?
"I valori si tramandano sempre se si vivono, al di là delle parole. Il rispetto dell’anziano, ad esempio, depositario della saggezza antica, era spontaneo perché naturale: era un valore assoluto. La solidarietà diventava fatto educativo quando ad esempio c’era la vicina di casa che stava per partorire e magari aveva bambini piccoli. Le altre donne si davano da fare: chi prendeva un bambino, chi portava il brodo di gallina, chi lavava i panni. Oggi altri valori si sono sostituiti, perché altre agenzie educative affiancano o meglio concorrono a scardinare i pilastri su cui poggia la famiglia prima cellula educativa, altri modelli più accattivanti, portatori di una forza persuasiva che si insinua nella mente soprattutto dei giovani, si impongono in maniera totalizzante. Comunque, come abbiamo detto prima, se in famiglia si sono respirati i valori del rispetto, della solidarietà, dell’onestà si tende a riproporli quando si diventa genitori".
Qual è il ricordo più bello che conserva di sua madre Maria?
"Inutile dire che sono tanti, anche se lei se ne è andata presto. Ma tutti sono nitidi e per ciò stesso indelebili. Ecco, i racconti, come quello della traversata del Brenta che scorre nella mia mente fotogramma per fotogramma come la sequenza di un film, o le risposte calme, profonde, misurate che dava a papà, per spegnere le sue reazioni che, come fuochi d’artificio s’accendevano all’improvviso magari di fronte ai problemi immancabili in una famiglia. Ma il ricordo più incisivo della mamma, ultimo in ordine di tempo, riguarda il modo di affrontare e vivere la sua malattia, il suo calvario durato anni, prima del declino finale. Cercava di dare coraggio a papà, così forte, ma così indifeso di fronte alla malattia della mamma; mai una parola di lamento, ma solo di speranza a noi figli (tutti minorenni), di invito a continuare e perseverare nella nostra strada; la sua fede incrollabile si trasformava in coraggio, forza che, nonostante tutto, si comunicava alla famiglia. Ecco, questo è senz’altro il ricordo più grande perché è il suo testamento spirituale, l’esempio della sua vita".
nr. 24 anno XIX del 21 giugno 2014