La dottrina sociale della chiesa in un’epoca di crisi…di coscienza
La crisi economica che attualmente tutto il mondo, nessuno escluso, sta affrontando, trova moltissimi “medici”, che illustrano questa o quella ricetta per risolverla. Tutte soluzioni fondate solo ed unicamente sul terreno economico, quasi a sostenere, come affermava K. Marx nell’Introduzione a Per la critica dell’economica politica (tr. it. E. Cantimori Mezzomonti, Introduzione M. Dobb, Roma, Editori Riuniti, 1969, p.5): “L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale” […]. Il punto principale però è nelle frasi successive del testo citato, ossia: “ Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.” (ibidem).
Il ruolo della coscienza e della libertà d’ogni persona è certamente ridotto a questione sociale e solo mutate situazioni economiche possono determinare cambiamenti anche della coscienza, solo sociale chiaramente. Non c’è di che stupirsi se la crisi attuale nel mondo capitalistico, Cina compresa, è considerata in questa direzione. In fondo il capitalismo e il marxismo altro non sono che le due facce della stessa moneta, dato che è il denaro il centro fondamentale e strutturale di ambedue le visioni del mondo. A questo modo di intendere la vita dell’uomo sempre ha risposta la chiesa cristiana che ha costantemente negato che il denaro possa essere in sé la dimensione dell’uomo. Lo attesta il divieto di prestito ad usura, ossia ad interesse, si ricorda che nel 1361 il vescovo di Londra Michael Northburgh, donava 1000 marchi d'argento per la fondazione di un banco che avrebbe dovuto prestare soldi senza interesse. Seguirono la nascita dei Monti di pietà ad opera dei francescani ed il particolare del veneto Bernardino da Feltre (1439.1494). Purtroppo dobbiamo ricordare che qualche Monte, ieri e anche oggi, non fu certamente onesto. A tale proposito, si ricorda il Monte di Perugia avviato nel 1462 che entrò in crisi già nel 1481 (contabilità disordinata) e poi anche nel 1503 (truffe dei funzionari).
(Chiesa di San Vincenzo e loggia del Palazzo del Monte di Pietà a Vicenza in Piazza dei Signori, fondato nell’anno 1486 per iniziativa del beato Marco da Montegallo)
Sull’impegno della chiesa contro l’uso negativo del denaro si espresse Benedetto XIV con l’enciclica Vix pervenit del 1745, denunciando il guadagno disonesto, il capitale, l’usura, ecc.). Sarà l’Ottocento che porrà in modo decisivo la questione sociale, politica ed economica del denaro sia per lo sviluppo dell’industria, ossia del capitalismo e sia della sua avversione ovvero il socialismo/comunismo.
Il primo ad affrontare la questione del socialismo e del comunismo fu Pio IX con la sua prima enciclica Qui pluribus, pubblicata il 9 novembre 1846. In questa si espresse chiaramente contro il comunismo: “A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti d’agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dall’osservanza d’ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore.” Antonio Rosmini nel 1847 compose un Ragionamento sul comunismo e il socialismo (Padova, Cedam, 1948) e ben indicò che non si può ridurre la vita sociale a fatto economico e che negano il diritto alla proprietà e alla libera iniziativa. Queste non sono di per sé capitalismo, come invece sostiene il mondo del socialismo in genere, ma libertà individuali (ivi, p.36) e come tutte le libertà il fine deve essere, chiarisce il filosofo, quello del bene. Le azioni umane, individuali, politiche e dello Stato, hanno come fine la dimensione etica e in questa si esercita la libertà anche della proprietà (cfr. il mio La proprietà non è un furto, Roma, Luiss, 1998).
In questa direzione tutti i successivi pronunciamenti dei pontefici e dei Concili e a loro ci si riferisce, per conoscere la dottrina sociale della Chiesa ed in particolare le lettera encicliche Rerum novarum e Graves de communi re di Leone XIII, pubblicate rispettivamente nel 1891e nel 1901.
Paolo Vi tra gli operai
La dottrina sociale della Chiesa Cattolica affonda le proprie radici nella prospettiva che il cristianesimo ha avuto fin dalla predicazione del Fondatore, Gesù Cristo, intorno all’impegno che ogni cristiano deve avere nei confronti di chi manifesta necessità d’aiuto e le poche parole intorno al problema del lavoro dipendente sono chiare e precise: la remunerazione deve essere giusta. Si afferma in questo modo che la dimensione economica del lavoro non possa mai essere disgiunta dalla dimensione morale. Ogni azione dell’uomo è diretta ad un fine ed il fine è Dio, pertanto non vi possono essere elementi solo politici, giuridici ed economici, che risolvono in se stessi il problema del lavoro e dei beni. La proprietà, in altre parole il possesso di beni ed il loro utilizzo, già lo sosteneva San Tommaso, è in vista del fine morale (cfr. A. M. ORLICH, L’uso dei beni nella morale di San Tommaso, Tip. Artigianelli, Monza, 1913) e non può esaurirsi nell’orizzonte della terra.
Dove il problema dei beni materiali ha la sua considerazione più ampia, è però nei documenti ufficiali dei Papi, che più volte nel corso di due secoli e mezzo hanno proposto la riflessione morale su questi temi. A partire dalla Rerum novarum citata, alla Quadragesimo Anno di S.S. Pio XI del 1931, e fino alla Centesimus Annus di S.S. Giovanni Paolo II nel 1991, sempre vi è stata identità di pronunciamento. Il punto di partenza è il comandamento della carità che lega non solo i cristiani tra loro, ma li invita a tale prospettiva con qualsiasi uomo. Questa si realizza nella prospettiva della Chiesa, che non è solo un’architettura; infatti, essa pone in evidenza il tema dell’aiuto, cioè con termini riferiti al sociale la sussidiarietà, come affermò Pio XI. La dottrina sociale della chiesa cattolica si pone sempre nella prospettiva complessiva del servizio all’uomo. Non può prevalere un aspetto, un’attività, ma tutte concorrono al medesimo fine, cioè la dimensione della fede come annuncio e realizzazione della Parola. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes lo afferma esplicitamente: lo sviluppo economico è al servizio dell’uomo e deve essere posto sotto il suo controllo: “Non deve essere abbandonato all’arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in man o un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né d’alcune nazioni più potenti.” Il consorzio umano è retto dalla tensione al bene e questa può trovare nell’organizzazione dello Stato un bene civile, che deve organizzare, mai imporre, la prospettiva di una mutualità autentica anche nella prospettiva dei beni materiali. In questa direzione la dottrina sociale della chiesa, come avverte nella Sollecitudo rei socialis S.S. Giovanni Paolo II: “ non è una terza via tra capitalismo liberista e collettivismo marxista e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé.” Infatti, lo scopo principale degli interventi della chiesa nell’ambito della società è la sua vocazione al bene per l’uomo, per il quale e con il quale si può, anzi si deve moralmente, trovare una via per l’autentico benessere, che non è quello, gioca sempre ricordarlo, dei soli beni materiali. L’autentica libertà, come scelta del dovere, la responsabilità che ne consegue, sono di ogni uomo e a questa visione umana, terrena è chiamato ogni uomo e particolarmente chi afferma anche la sua scelta cristiana. Anche l’attuale pontefice Francesco non manca occasione per ribadire quanto la chiesa ha più volte ribadito, perché l’uomo non è mai al servizio del denaro e non è l’economia la struttura alla quale riferire tutta la complessità umana. È la coscienza che dirige l’uomo, quando questa è ottenebrata, soprattutto dall’interesse e dalla falsa libertà, ossia “faccio quello che voglio”, allora emerge il riduzionismo economico.
Lo sviluppo ed il benessere del consorzio umano non può essere valutato solo attraverso i parametri dell’economia, ma soprattutto con l’attenzione alla sua globalità, cioè al fondamento interiore e spirituale dell’azione, che è, come sosteneva san Tommaso d’Aquino la possibilità stessa dell’agire in ordine al fine, cioè con la consapevolezza dei mezzi e del loro valore morale. Proprio per ciò ogni azione è immagine dell’interiorità di chi la compie. (cfr. G. GRILLO, Itinerario di Luce. Un secolo di dottrina sociale della chiesa, Marietti 1820, Genova 2001)
La necessità quindi e l’urgenza, direi, di ripensare all’economia in termini non riduttivi e ponendo al centro l’uomo, la sua coscienza e libertà, e ciò soprattutto in modo indipendente dagli schieramenti partitici, è un compito importante oggi in quest’epoca di crisi che è, prima di tutto, crisi della coscienza di fronte al mondo e al modo con cui affrontare i problemi che si pongono anche quotidianamente. La dottrina sociale della chiesa invita a considerare la dimensione sociale dal lato della coscienza degli uomini, di ciascun uomo che è quella che, ripetiamo, determina il loro essere. Ciò perché non si spiega la crisi della coscienza, quando vi sia, con la conoscenza delle contraddizioni della vita materiale. Non la quantità di beni terreni è il fondamento del benessere dell’uomo che va ricercato in una prospettiva più ampia, quella della persona umana che nel soddisfacimento delle necessità naturali trova anche la tranquillità della coscienza per pensare a più alte vette e per la chiesa “La carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all'economia, alla famiglia, perché dappertutto siano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell'essere umano e il futuro della civiltà.” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte)
Italo Francesco Baldo
nr. 26 anno XIX del 5 luglio 2014