NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Vicenza quanto conosce le lingue straniere?

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Vicenza quanto conosce le lingue straniere?

Vorrei sapere da Flavio Abanese che cosa significa tutto questo dal punto di vista della cultura vicentina: perché i pittori di Salisburgo in visita vanno alla Casabianca di Malo, vanno da Giobatta Meneguzzo, e non vengono invece a Vicenza che parrebbe essere il centro dei loro stessi interessi culturali?

Vicenza quanto conosce le lingue straniere? (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)FLAVIO ALBANESE- I linguaggi, tutti, compreso quello dell'arte rappresentano quelli che si chiamano i sistemi di inclusione, che vuol dire condividere qualcosa con altri, un segno magari o le parole. Gli artisti vanno da Meneguzzo alla Casabianca perché c'è un patrimonio incredibile di grafica internazionale capace di parlare al mondo, senza dimenticare che da Malo è passato anche Luigi Meneghello il quale con garbo ha messo anche in fila il dialetto insieme con la capacità di dialogare con gli anglosassoni, naturalmente in inglese. Che lingue si parlano qui? Molte lingue, mi piace sentire tanti modi di esprimersi ed è un esercizio molto bello perché una società matura ne ha bisogno ed è appunto questa l'inclusione. In America si parla americano inglese e spagnolo, grandi differenze non si notano a causa dell'abitudine di esserci e di parlarsi. La domanda è invece la seguente: chi parla le lingue diverse qui da noi? A una conferenza a Venezia che ho tenuto il coordinatore ha commentato non quello che dicevo ma come lo dicevo perché osservava che non avevo espresso accenti. Ma io parla in dialetto tutti i giorni, parlo italiano corretto e parlo le lingue che so; mi piace dialogare con tutti gli altri che parlano altre lingue diverse dall'italiano anche se purtroppo non credo di esserne del tutto in grado. Ma la cosa davvero importante è arrivare a quella inclusione di cui parlavo prima.

Un altro aspetto è l'assenza dell'istituzione da tutto questo discorso e cioè di come ci si pone di fronte al tema del rapporto tra le lingue: siamo abbastanza preparati?

FLAVIO ALBANESE- L'ospitalità è il modo migliore a livello individuale, non c'è dubbio, ma certo c'è anche l'altro versante che è quello ufficiale o istituzionale. Quando apro casa e si affaccia l'ospite io so che lo voglio mettere nella condizione di dialogare. Siamo bravi anche nel gesticolare, nel fare segni, nelle espressioni del viso, ci sono tanti modi. Credo che esistano diverse ricchezze di linguaggio, ce n'è una anche nel modo di parlare dei ragazzi di oggi, è una ricchezza sicuramente molto diversa dal linguaggio colto o del cattedratico. Il fatto è che non si perde la lingua del passato e nemmeno la tradizione culturale, è che finalmente stiamo fondendo insieme cioè confondendo linguaggi diversi, stiamo andando verso una lingua che corrisponde alla vita. Nell'ospitare ho fatto anche una grande fatica perché spesso non avevo gli strumenti per dialogare e allora ho chiamato qualcuno che fosse in grado di fare la mediazione. È un fatto che a dialogare con gli altri non ho mai faticato troppo, fossi nel deserto o a New York, probabilmente la fortuna di saper disegnare mi ha aiutato moltissimo perché i segni in effetti parlano un loro linguaggio diretto e una traduzione non è indispensabile.

Vicenza quanto conosce le lingue straniere? (Art. corrente, Pag. 3, Foto generica)MARCO CAVALLI- Non è che l'istituzione non ci sia, è che si tratta invece di un problema di contegno. Sapere la lingua non è un apprendimento di tipo meccanico: Albanese ha imparato facendo le esperienze de veneziani del 500, andando a capire come erano le società che avevano una classe media. Noi non ce l'abbiamo la classe media, una grande aristocrazia questo sì e poi solo... popolo grasso, qui da noi si va dagli iperculturalizzati a quelli che guardano la tv facile perché non hanno viaggiato, non hanno fatto esperienza, non conoscono i costumi di altri, eccetera. Chi rivendica la nobiltà del dialetto non sa niente perché per amarlo, il dialetto, si deve avere una alternativa al dialetto; chi parla... scetto affossa il dialetto. Meneghello è andato in Inghilterra a scrivere due libri in cui dice che l'unica sua lingua è stato il dialetto di Malo perché l'italiano era quello dei libri e tradurlo in inglese significava parlare come nelle romanze di Verdi e Mascagni; a me in Francia hanno detto che parlavo come Prevert e in realtà mi sono accorto che se fossero andati un po' oltre mi avrebbero accusato di parlare come Francesco Maria Piave. Il dialetto contiene più di qualsiasi strofa del rimare italiano, proprio come le lingue diverse dall'italiano. C'è una differenza tra scritto e parlato ma noi italiani per parlare parliamo normale, una lingua viva in cambiamento mentre per scrivere come scriviamo indossiamo giacca e cravatta, andiamo fuori completamente dal vero significato di quello che sarebbe utilizzare la lingua che si parla normalmente tutti i giorni. Manca uno strato social-culturale intermedio in tutto questo, l'istituzione è assente perché non si occupa di aiutare le persone come Albanese: basterebbe censire le persone di Vicenza che sanno una lingua perfettamente, una decina magari si trovano, e a queste basterebbe chiedere se vogliono dare una mano che ovviamente sarebbe ed è una mano qualificatissima. È questo che come cittadino italiano e vicentino mi manca davvero. La nostra tradizione culturale meriterebbe un uso di mondo, come si dice, degno di questo concetto.

FLAVIO ALBANESE- Sono spesso a Berlino dove una signora turca che vende frutta con me parla anche in inglese oltre a sapere la sua lingua ed il tedesco perché ha fatto un esame che le ha permesso di rimanere in Germania. Quando Borges è stato qui e a Venezia abbiamo parlato di tutto confondendo tutto e miscelando tutto: è stato qualcosa di indimenticabile.

MARIA ROSA PULEO- Ascolto con estrema attenzione e condivido le esigenze di comunicazione sia nel parlato che nella tecnicità dello scritto. A me pare che la mia scuola stia facendo molto, questo sì, perché diamo ai ragazzi una chiave per andare fuori al di là del sapere come sopravvivere cosa che più o meno tutti sono in grado di fare con un minimo di conoscenza. Studiare all'estero è altra cosa e quest'anno abbiamo avuto varie dimostrazioni nei contatti internazionali che sono stati molti e hanno coinvolto anche il settore della mediazione internazionale di pace. Facciamo molto insegnando in lingua straniera tutte le materie che si possono insegnare in lingua straniera... È così che mi pare anche di poter chiudere il nostro dialogo qui, con un messaggio di speranza.

 

nr. 26 anno XIX del 5 luglio 2014 

 

 

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