NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il girone “olimpico” di Dante

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Io, Nessuno e Polifemo-intervista impossibile

Polifemo e Ulisse sono napoletani, Napoli città greca con una tradizione tutt’ora viva poiché i prestiti linguistici sono forse più numerosi dal greco antico che non dal latino stesso. È un po’ una provocazione questa di scegliere Napoli piuttosto che enfatizzare la tradizione greca della Sicilia che forse è ben più esplicita che non nell’area partenopea. O forse semplicemente più pubblicizzata.

“Più pubblicizzata. È più ufficiale, diciamo, invece quella partenopea è più nascosta ma ci sono comunque degli elementi che ci potrebbero far pensare che effettivamente la collocazione potrebbe essere davanti ai campi flegrei, questa terra dei ciclopi, anche se noi ormai ci siamo abituati ad immaginare la storia: Polifemo in Acitrezza davanti ai faraglioni e a provare e un brivido alla schiena mentre ci pensiamo. Io quando ero bambina mi immaginavo questo Polifemo, c’avevo una paura….perchè in effetti il modo in cui è descritto da Euripide, da Omero, da Teocrito, Ovidio e da altri poeti, la descrizione fa paura. Veramente quando ero bambina era il mostro che mi faceva più paura tra tutti, perché questo occhio al centro della fronte: questa storia dello sguardo unico, che poi forse lo sguardo è la luce dell’uomo. Secondo me la tragedia più grande è diventare cieco, è quella secondo me la cosa che fa più paura: mutila. Polifemo non ha la visione periferica, mi ha sempre inquietata da morire”.

Anche nella Medea che abbiamo visto due anni fa c’era una coperta che aveva un forte simbolo, che veniva usata per il parto, per simboleggiare il bambino nato e poi rifiutato. Questa volta c’è la tela di Penelope, che diventa un velo nuziale ma che sembra anche un sudario che le tre danzatrici dipanano e disfano fino a farlo diventare un filo a cui aggrapparsi, una cima. Sembrano un po’ le 3 parche ma anche un rito dionisiaco, visto che c’è un grande crescendo. Anche qui però, come in Medea, ho trovato un’altra congiuntura con Roberto De Simone e “La gatta cenerentola”, qui nel “Secondo coro delle lavandaie”.

Io, Nessuno e Polifemo-intervista impossibile (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Bello! Quella scena è bellissima”.

Anche qua non è voluto immagino.

“No no, assolutamente. Qui appunto, come dici tu, c’è questa idea del velo nuziale, di questa tela infinita, ma anche della tempesta, delle vele e delle cime della nave. Questa tela racchiude tutta la simbologia che lega questa famiglia, questa lontananza di lui e questa attesa di lei e c’è sempre in mezzo il mare”.

Ogni parola di questo spettacolo ha un peso culturale e storico notevole, espresso attraverso varie forme, passando dalla tradizione ai nuovi linguaggi e fenomeni di costume come l’hip hop e l’immaginario legato a Gomorra trasformando l’Olimpico in una disco. Usi una spettacolarizzazione molto raffinata e articolata però citando Carmelo Bene hai detto che il teatro che non fa “morti” è solo spettacolo. Tu dimostri che si può creare benissimo qualcosa di emozionante e godibile, di altissima qualità e ricerca che però fa riflettere. Che c’è di male nello spettacolo?

“Ma infatti questo spettacolo su Polifemo è molto diverso dai miei soliti perché è più di intrattenimento ma non è mai ruffiano e quindi si può far partecipare il pubblico in maniera ironica anche rivisitando il mito e quindi spolverandolo di quella pesantezza che può avere in maniera ironica senza essere ruffiani. È chiaro che quando cito Carmelo Bene mi riferisco soprattutto a un altro tipo di teatro che io faccio con la mia compagnia. Questo spettacolo è un po’ anomalo: ci sono io in scena e quando ci sono io ha un altro senso l’operazione perché io faccio me stessa, sono la voce narrante e mi piaceva che questo spettacolo, rispetto agli altri, fosse più col pubblico, che fosse una sorta di riflessione insieme agli spettatori, che secondo me ci stanno, su questo tentativo di portare il mito al di qua del confine, dove siamo noi. Quindi appunto la musica pop con Odisseo che fa il balletto alla Michael Jackson con Serena Ganci che parla di dottori e ospedali mentre canta di Penelope: creare una sorta di corto circuito per stare insieme in questo presente”.

Parliamo del laboratorio. In conferenza stampa hai detto che in questo caso sei contraria alla forma spettacolarizzata perché non sarebbe rispettoso nei confronti degli attori e degli spettatori creare uno spettacolo in 6 giorni senza concentrarsi sullo studio e sui linguaggi. Cosa vuol dire per te spettacolarizzare? Già lo stare su un palcoscenico o almeno avere davanti un pubblico che è consapevole che si sta assistendo a una messa in scena, è spettacolo.

“Certo. Spettacolarizzare vuol dire invitare il pubblico a guardare una cosa che in questo caso non sarebbe ancora finita perché stiamo lavorando su qualcosa che non è da guardare, ma su qualcosa che sta cercando qualcos’altro e non mi sembrava giusto invitare il pubblico –e mettere anche gli attori- in una condizione di disagio perché non sarebbero pronti in 6 giorni a restituire un qualcosa. È un momento di studio in cui con questi ragazzi io cerco di comunicargli qualcosa e prendo da loro qualcos’altro e questa cosa è una prima tappa perché se finisce qui non ha senso; poi io spero l’anno prossimo di riprendere questo studio e a quel punto essere più forte rispetto anche al gruppo che ho scelto e magari invitare il pubblico a vedere qualcosa di un po’ più di concreto”.



nr. 31 anno XIX del 21 settembre 2014

Io, Nessuno e Polifemo-intervista impossibile (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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