NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Quando anche la proprietà è… nuda

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Nuda proprietà

Il contenuto di questa pièce è sulle persone sole che devono sopravvivere, la casa, i conti della valutazione di questa casa, quindi attualità e intrattenimento. Il lavoro che fa Calabresi a “Le Iene” è di informazione e denuncia con un’altra forma di intrattenimento. Gomorra, attualità, addirittura presa da atti giudiziari, un’altra forma di intrattenimento. Stasera teatro pieno, la pièce ha molto successo, Le Iene sono ormai anni che vanno avanti con questo format, Gomorra e il successo pazzesco. Sono le forme di intrattenimento che attirano il pubblico o il contenuto?

M.P.: “Credo che siano i contenuti, le esigenze che si portano in scena davanti alla macchina da presa oppure o in tv rispetto a quello che è il lavoro che fanno Le Iene e quant’altro, però bisogna scappare dall’intrattenimento quasi come offesa al pubblico: nel senso che il pubblico intrattenuto, senza contenuti è un pubblico che in fondo è triste, che non vede la responsabilità di quello che viene fatto, è un pubblico che inconsciamente non accetta quello che vede, magari può applaudire, stare lì e farsi accompagnare mentre cucina o mentre mangia però è un pubblico assuefatto. Quindi intrattenimento secondo me non è la parola giusta, dobbiamo un attimo rivalutare tutto per poter definire questo intrattenimento. Hai nominato 3 prodotti di qualità in maniera molto diversa che hanno dei contenuti importanti, è questo quello di cui abbiamo bisogno oggi, soprattutto per prenderci la responsabilità nei confronti dei giovani che non sanno più che cos’è questo lavoro".

Nuda proprietà (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Ecco: trentennale di Eduardo, è andato in scena “Le voci di dentro” con i Servillo, in diretta, la regia (televisiva ndr) di Sorrentino. Il giornale Fanpage sono andati per strada a Napoli chiedendo se ci si ricordava del trentennale. Hanno mostrato 4 o 5 giovani però questi non sapevano chi fosse Eduardo, il giornalista li imbeccava un po’ e dicevano “Eduardo De Filippi parente di Maria De Filippi”. Se in una città etnoriferita, autoreferenziale culturalmente, in cui sono ancora vivissimi non solo i miti ma proprio le figure culturali molto forti, una radice così forte e viva perché c’è documentazione disponibile, allora nel resto d’Italia che cosa succede? Perché si creano questi vuoti culturali per cui i giovani pur avendo sotto il naso non sono interessati? Quali sono gli elementi che si perdono? Perché poi il cronista diceva: “adesso chiedi scusa ai lettori di Fanpage perché non sai chi è Eduardo". e poi: “vien’t a piglià o’ perdono"., e tutti sapevano che cos’era anche se magari non avevano visto la serie, perché magari hanno visto la parodia.

M.P.: “Va bene che ci sia un’evoluzione dei linguaggi e di quello che noi vediamo, quindi “vien’t a piglià o’ perdono” come una qualità che porta Gomorra, può essere qualcosa che viene innestato nel sistema, della parodia non ne parlo neanche perché proprio assolutamente non mi va. Il problema è che c’è un buco generazionale che può essere colmato e può diventare la forza. Mi spiego meglio: davanti a me ci sono delle generazioni, parliamo di 50enni, 60enni che magari hanno vissuto delle epoche importanti, piene e pregne e tutto quanto appresso, però cosa succede poi? Che per sostenere un certo tenore di vita sono costretti quasi a fare questo lavoro così tanto per farlo. Esempi non ne faccio perché poi ognuno ci mette il cuore in quello che fa. Il problema è la responsabilità. Purtroppo, e per fortuna, il nostro lavoro ha insita dentro la responsabilità: siamo sotto i fari, la gente ci guarda e ci ascolta, paga un biglietto a volte anche caro per entrare. Dietro ci sono ragazzi che magari non sanno chi è De Filippo e mille altre cose e noi, io ho 26 anni, insieme ad altre generazioni, possiamo essere il ponte per portare delle cose ai giovani che poi chiaramente si evolvono e diventano dell’altro. Oppure fregarcene. Però siamo coscienti che poi sempre noi, quando arriveremo a 60-70 anni ci giriamo indietro e la mia paura, la responsabilità più grande che sento, non vorrei mai vedere che magari il mio lavoro non esiste, magari io ho passato una vita intera a fare qualcosa con tutto quanto il mio cuore però poi non c’è più. Questo mi mette un po’ di tristezza, che però trasformo in una rabbia costruttiva. Il confronto coi giovani deve avvenire".

Ma può essere che magari nella realtà che loro vivono qualcosa di Eduardo diventa non più leggibile?

M.P.: “No, Eduardo è sempre leggibile. Credo che ancora oggi sia il più grande drammaturgo italiano a mio avviso, l’anno sorso o due anni fa era l’anniversario di Viviani".

Si però se ne parla ancora poco.

“Se ne parla magari meno però è la storia. Bisogna prendersi la responsabilità di questo lavoro, impugnarla, e soprattutto, questa è la cosa importante, cercare di fare fuori chi non ha amore per questo lavoro, senza mezzi termini, scansarli via perché il nostro è un ambiente abbastanza imprendibile dove se qualcuno che sta su decide che le cose devono andare così allora vanno così, poi il pubblico si abitua e si mette avanti la quantità e l’immagine alla qualità. Dobbiamo essere noi portatori di quella qualità e mettere il pubblico in condizione di non poterne fare più a meno".

Senti il problema di un pubblico che potrebbe non capire o da educare o di un qualche equivoco tra l’attore e il pubblico? Il fatto che la gente ti veda come Conte?

M.P.: “ Il pubblico già mi conosce, cioè, mi vedi: io non sono così. Quindi significa che lì c’è un lavoro.

Nella serie siete fotografati in un modo per cui siete completamente diversi da come siete in realtà, nella serie sembrate tutti dei “mostri”, con questa fotografia plumbea.

M.P.: “Questa dovrebbe essere la normalità, il prodotto importante, uno non si dovrebbe spaventare ma dire: “oh finalmente!” Bisogna abituarlo il pubblico, chi fa questo lavoro in maniera onesta si vede e il lavoro paga, e la fortuna aiuta gli audaci se gli audaci sono quelli che lavorano, la fortuna paga".

 

nr. 42 anno XIX del 29 novembre 2014

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