NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Stadio Heysel, una tragedia anche vicentina

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Stadio Heysel, una tragedia anche vicentina

Giovanni Costacurta, primario di ortopedia dell'ospedale di Asiago: «Stavo morendo asfissiato, mi salvai per miracolo. E in ambulanza soccorsi una ragazza che era cianotica»

Tra le testimonianze più agghiaccianti dei vicentini rimasti feriti c'è quella del dottor Giovanni Costacurta, classe 1952, marosticense, personaggio molto noto per essere primario di ortopedia dell'ospedale di Asiago, già medico dell’Asiago e della nazionale di hockey ghiaccio. Ferito in varie parti del corpo, durante il trasporto in ambulanza in uno degli ospedali di Bruxelles, Costacurta soccorse una ragazza in condizioni molto più gravi delle sue prima di svenire.

Stadio Heysel, una tragedia anche vicentina (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)«Era solamente la seconda partita di calcio a cui assistevo in vita mia - il suo racconto, riportato nel libro "1985 Heysel - 2015 Per non dimenticare..." - la prima era stata Juventus-Amburgo ad Atene, altra finale di Coppa dei Campioni, disputata due anni prima. Fatto sta che mi sono aggregato al solito gruppo di amici di Marostica che frequentavo extracalcio più che altro per fare una gita. Alla fine mi salvai per miracolo: la mia fortuna è stata quella che sopra di me, in quella catasta umana di morti e feriti, c’era una ragazza di Vercelli i cui genitori, illesi, cercavano disperatamente di estrarre dal mucchio. Ad ogni loro tentativo di alzarla, io che ero imprigionato sotto decine di corpi, a contatto con il cemento, in quegli attimi riuscivo, anche se a fatica, a respirare. Quella fu la mia salvezza altrimenti sarei morto asfissiato. Come sono riuscito a reagire? Mi è passato per la mente il mio bimbo, di soli 10 mesi, rimasto a casa con la mamma, che invece in un primo momento doveva partire con me: lui mi ha dato la forza per reagire e lottare per non morire. Solo per quello sono ancora qui».

In quella baraonda scoppiata in curva "Z" il dottor Costacurta rimase ferito in maniera seria: «Riportai la "paralisi dello spe" a causa dello schiacciamento della gamba destra, che non rispondeva più ai comandi. Una volta liberatomi, camminando sul tallone, mi trascinai verso l’uscita: qui caddi dove erano adagiati i primi morti e da dove partivano le ambulanze che facevano la spola con gli ospedali di Bruxelles e dintorni. Fui fatto salire assieme ad altri feriti in ambulanza. Vicino a me era distesa una ragazza: era cianotica per l’asfissia. Non ci ho pensato due volte: gli praticai la respirazione bocca a bocca sinché iniziò a vomitare ed a quel punto anche a respirare. Nemmeno il tempo per gioire che, in preda al dolore lancinante, persi i sensi: mi svegliai più tardi all’ospedale, dove potei telefonare a casa per tranquillizzare mia moglie».

Le "conseguenze" sono proseguite per anni. «Per almeno tre mesi di notte mi svegliavo di soprassalto in preda agli incubi di quelle scene indescrivibili. Ci volle parecchio tempo per ritornare alla normalità. L’anno successivo da medico sportivo dell’Hockey Asiago mi trovai sul ghiaccio di Varese quando il pubblico altopianese al seguito della squadra invase festosamente il campo per festeggiare la raggiunta finale-scudetto dei propri beniamini. Mi sono rivisto all’Heysel e preso dal panico dovetti uscire dal palaghiaccio. Per quanto riguarda uno stadio di calcio non ci sono più entrato per un quarto di secolo, poi qualche anno fa, sono andato al Bentegodi per un Verona-Juventus, ma ho resistito solo un tempo. Ora seguo il calcio solo in tv, forse è anche troppo».

 

Massimo Briaschi, vicentino, attaccante Juventus: «Noi giocatori tenuti all'oscuro e obbligati a scendere in campo: la verità sui tanti morti ci fu detta solo in hotel»

Stadio Heysel, una tragedia anche vicentina (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Massimo Briaschi, classe 1958, nativo di Lugo Vicentino e residente a Vicenza, rappresenta uno dei testimoni diretti della tragica notte del 29 maggio 1985, di cui visse il dramma, prima, durante e dopo la gara. Con la maglia n° 7 giocò la finale contro il Liverpool, restando in campo sino all'85', quando venne sostituito da Cesare Prandelli, successivamente c.t. azzurro. Ruolo attaccante, è cresciuto nelle giovanili del Lanerossi, approdando molto presto in prima squadra, in quel Vicenza guidato da un giovanissimo Paolo Rossi, poi suo compagno nella Juventus, altro protagonista della finale dell'Heysel. Dopo l'attività agonistica è rimasto nel mondo del pallone: è attualmente un apprezzato procuratore, che tutela (o ha tutelato) giocatori del calibro di Cristian Maggio, Lazarevic, Salifu, Jeda e i fratelli Rigoni.

Anche a Massimo Briaschi, fratello maggiore di Alberto (che a sua volta ha giocato nel Vicenza), gli autori del volume hanno fatto una lunga intervista in cui l'attaccante vicentino ripercorre quanto successo, sin dall'arrivo in pullman allo stadio Heysel. «Eravamo tutti tesi e concentrati - il racconto di Briaschi - perché sapevamo di poter sfatare il tabù e regalare alla Juventus la prima Coppa dei Campioni della sua storia. Dei tumulti scoppiati circa un'ora prima dell'inizio del match negli spogliatoi non arrivò nessun rumore, il silenzio più totale. La prima avvisaglia fu un delegato Uefa, che ci dice di aspettare, perché c'erano scontri tra tifosi. Poi alla spicciolata altri delegati Uefa, che via via hanno iniziato con qualche ammissione, ma senza mai dirci la verità. Che invece abbiamo appreso, nella sua drammaticità, solamente una volta tornati in hotel, a cena. Solo in quel momento ci fu detto che il bilancio degli scontri era di quasi 40 morti. Noi non ci credevamo perché, ribadisco, dal campo non era possibile avere i contorni della tragedia. In realtà chi era uscito dall'impianto, mi riferisco a giornalisti e forze dell'ordine, ebbe più chiara la tragedia. Cercarono di tenere noi calciatori all'oscuro, fu una decisione comprensibile e anche logica. Noi giocatori fummo obbligati a scendere in campo, ma noi stessi ci rendemmo conto di una situazione senza alternative. Nel senso che non giocare quella partita avrebbe potuto creare un panico impensabile. A distanza di 30 anni sono convinto che si sarebbe potuto scatenare un altro inferno. Alla fine i morti potevano essere cento o duecento, addirittura mille».

A Briaschi è stato chiesta la verità sul match tra Juventus e Liverpool, poi vinto dai bianconeri. «Pur in un clima non ideale, fu partita vera. Gli inglesi non regalarono nulla, i giocatori inglesi erano scatenati, anche perché spinti dal tifo dei loro supporter. Anche noi abbiamo giocato al massimo, anche se non era stato facile ritrovare la concentrazione. Il rigore che decise la sfida? Quando Platini lanciò in profondità Boniek, io corsi in avanti con a fianco l'arbitro (lo svizzero Andrè Daina, ndr): posso assicurare che dalla mia posizione ero strasicuro si trattasse di un fallo commesso in area».



nr. 22 anno XX del 6 giugno 2015

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