NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Quando in Corso non si girava e c’era il filobus

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Quando in Corso non si girava e c’era il filobus

IL FILOBUS E LE SUE “TIRACCHE”- Diciamo pure che il centro storico era abitato, appartamenti e famiglie, a nessuno, a parte i ricconi, veniva in mente di farsi una casa in campagna e di andare ad abitarci. Alberto Cerioni, ad esempio, ricorda che abitando sopra Bruschi, proprio di fronte al Municipio, era particolarmente rapido nell’inserirsi nella coda di gente, in genere studenti, che facevano la vasche: da Porta Castello al Chiodo e dietro front fino al punto di partenza. Qualcuno Quando in Corso non si girava e c’era il filobus (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)arrivava fino a Remor perché quello era il punto di ritrovo per quelli che avevano un’auto, gioiello rarissimo all’epoca, eppure non così infrequente. Da Remor, pochi metri prima di passare la Porta Castello, si metteva la macchina con due ruote sul marciapiedi e ci si sedeva a parlare del più e del meno sempre con l’occhio incollato al tesoro da tenere sotto controllo: “Mi bastava uscire dal portone per ritrovarmi nel pieno del passeggio serale dove ritrovavo tanti amici e compagni di scuola, non si falliva un colpo, eravamo tutti lì, anche senza darci appuntamento. L’unico vero problema per chi camminava al lato della strada erano i filobus che ti sfioravano e mi parevano enormi. Quando si incrociavano tra Corso Fogazzaro e Corso Palladio si dovevano fermare e i due autisti scendevano per spostare verso i fili giusti le cosiddette tiracche, come le chiamavamo. Erano i trolley: contemporaneamente non potevano passare. Debbo anche dire che il momento peggiore nella vita attorno a casa mia l’ho passato quella volta che dopo una partita di calcio al Menti tra Vicenza e Verona i tifosi veronesi invece di andarsene in stazione come era stato pattuito con Polizia e Carabinieri vennero verso Piazza Matteotti e percorsero tutto il Corso fino a uscire da Porta Castello diretti finalmente al treno. Furono alcuni minuti di grossa tensione perché avevamo tutti paura che ci andassero di mezzo le trine o la gente che si fermava per vedere questo strano e chiassoso corteo. Invece non successe niente.. I cortei spesso li facevano per la verità anche i ragazzi del Rossi: quelli che avevano il treno per tornare a casa passavano proprio da Corso Palladio…”.

Quando in Corso non si girava e c’era il filobus (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)IL CONFRONTO CON OGGI? “DA VERO PANICO”- È un fatto che quell’andirivieni a far vasche, a vedere o a guidare auto che se ne restavano per delle mezze ore ferme e in bella mostra per suscitare sostegni o al contrario invidie dei coetanei che giravano perlopiù in bicicletta, rappresenta una realtà fatta soprattutto di cose materiali, cose che si vedevano e si toccavano. Quanto siamo distanti da quella realtà, da quei certi momenti in cui un incidente della strada, anche minimo, era una specie di avvenimento perché in effetti anche sotto la spinta del boom economico di auto e di moto non ce n’erano poi tantissime; c’era curiosità, era qualcosa da vedere e poi raccontare, anche se ad andarci di mezzo erano stati un paio di paraurti. Toni Stefani è buon testimone che il distacco da quegli anni si disegna proprio anche nello scandire le differenze di sostanza che sono molte e molto importanti, paradossalmente ingigantite materialmente dal fatto che oggi si vive per impulsi elettronici, per raggi invisibili, con a disposizione una tecnologia in quell’epoca neppure sospettabile: “La verità è che davvero non ci raccapezziamo più in mezzo a questo mare informatico che ha frantumato di fatto tutte le nostre esperienze di vita: ci mancavano soltanto i social network per metterci ancora più in difficoltà. Parlo per me e per la mia generazione, perché i nostri figli in questa realtà nuotano come papere nel lago. Allora c’era gli oggetti, li potevi toccare, annusare e utilizzare, era molto più facile farne un racconto agli amici perché le tue parole erano solide e materiali come quel che avevi visto. Per contrasto totale, oggi è tutto completamente immateriale, se vuoi raccontare la tua auto o la tua torta di compleanno non fai altro che entrare nei social e infilarci una fotografia del soggetto/oggetto. Magari è tutto falso, ma l’immagine fa comunque testo. A chi importa se quella macchina o quella torta non ti appartengono e sono invece il risultato di qualche esplorazione in rete? A nessuno. Per questo mi ricordo con una certa nostalgia quelle passeggiate nella vasca del Corso, quelle soste da Remor dove si parlava e si guardava, dove qualche tuo amico con il papà coi soldi posteggiava la sua auto: fosse una 500 o una spider poco importava, era un’auto, ci si poteva salire e via. Non era un impulso elettronico. E in aggiunta c’era la ragazzina, eravamo tutti lì, tutti con materiale vero a disposizione, nessuna distrazione verso un orizzonte che neppure esisteva nei sogni dei più immaginosi di noi. Pensate che a un certo punto la ragazza si esibiva esattamente come l’auto e ci era venuta l’abitudine di chiamarla “scimmia”: se c’era lei, la scimmia, era un elemento in più su cui passare delle ore a discutere. Ecco, la cosa senza dubbio bella è che si parlava moltissimo, non c’erano difetti di comunicazione e neppure eravamo appesi a qualche elemento estraneo come il telefono; quello era a casa appiccicato al muro o su un tavolino, chi ti cercava doveva chiamare lì e se non ti trovava erano affari suoi perché in genere chi rispondeva non era in grado di dirti il nome di quello che chiamava. Bastava rinviare alla prossima, sicuramente avrebbero richiamato…”.

Quando in Corso non si girava e c’era il filobus (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Il dramma della telefonata non assistita dai mezzi di oggi ricorre di frequente nei racconti di chi era costretto ad usare gettoni e cabine pubbliche sperando che a rispondere fosse la ragazza e non i genitori. L’architetto Sergio Carta, vicesindaco di Vicenza con l’amministrazione Corazzin, dice di sentire ancora una certa angoscia nel rievocare quella particolare situazione: “Se rispondevano i genitori mettevi giù, oppure prendevi il coraggio a due mani e fornivi nome e cognome nonché la ragione della telefonata. Lei combinazione non c’era, era uscita, a studiare da un’amica, ti dicevano, ma mettevi giù il telefono dopo aver ringraziato e te la trovavi qualche metro più in là, anche lei impegnata ad andare su e giù per il Corso. La cerimonia delle vasche era immancabile, non se ne poteva fare a meno. Ogni tanto il filobus urtava qualcuno ed era davvero pericoloso, ma te ne dimenticavi subito anche se qualche volta ci abbiamo pensato seriamente: quei due bus che incrociavano, il n. 1 e il n. 5, così pesanti e ingombranti, non creavano danni alla strada e alle case? Qualcuno ci pensò anche più quando cadde quel terrazzino in strada di fronte alla Triestina. Ma non se ne fece niente, non allora. Ero nell’amministrazione di Corazzin quando il sindaco aspettò agosto e firmò una delibera nella quale si bandiva il traffico privato da Corso Palladio. Non è che non ci furono reazioni, tutti più o meno espressero grandi perplessità, però il provvedimento rimase esattamente dov’era e divenne legge del Comune facendo poi da base a tutti gli altri provvedimenti che sono venuti negli anni successivi. La pedonalizzazione alla fine è stata quasi completata e certo almeno il problema del traffico nel cuore della città, quello almeno, è stato risolto. Di incidenti gravi non ne ho mai sentito parlare in centro. Magari me ne sono dimenticato”.

I PINK FLOY A MONTEVIALE- Una delle leggende urbane di inizio anni ‘70 ha per protagonisti perfino i Pink Floyd, quelli di The Other Side Of The Moon e The Brick in A Wall. Uno dei ventenni degli anni 60/70 li aveva invitati nel suo rustico di Monteviale appena rimesso a posto e loro erano arrivati rispondendo subito all’amico vicentino. Che non era un caso strano perché il ragazzo era da anni a Londra; per studiare l’Inglese, ufficialmente, ma nel tempo si era distratto ed aveva partecipato niente meno che ad un paio di tournée dei Rolling Stones ottenendo di lavorare per il gruppo come tecnico dello staff. Il ragazzo, chiamiamolo Sergio (o come volete) aveva ovviamente una mamma, una signora molto preoccupata perché le pareva che il figlio non cavasse niente dalla necessità di trovare una sistemazione e farsi un futuro. Così pensò che un modo per aiutare Sergio poteva essere quello di parlare con questi suoi esotici amici che parevano volergli tanto bene, al punto di muoversi da Londra per raggiungerlo a Monteviale. Parlò con loro, esternò (tramite interprete) tutta la sua preoccupazione, perorò la causa del comportarsi bene e dell’esortazione decisiva che doveva venire proprio da loro, i musicisti. La leggenda ricorda a chi non c’era che l’interlocutore principale della signora -sempre via interprete- fu Syd Barrett, il genio, il vero cuore dei Pink. Gli altri infatti avevano lasciato fare e si erano messi a fumare e a bere. Ora, se qualcuno ha una memoria minima di quegli anni e di quei personaggi vi dirà che forse il valente Sys era bravissimo nel suo mestiere, ma se si trattava di parlare di spezzare una lancia per dire no alla droga e agli alcolici non era propriamente quel che si intende il più corretto e affidabile degli interlocutori. Infatti gli effetti della mediazione non si videro e la settimana dopo se ne andarono tutti, Sergio compreso, con meta Londra. Purtroppo Sergio non tornò mai più e quello fu davvero un doloroso, terribile incidente…

 

nr. 37 anno XX del 17 ottobre 2015

Quando in Corso non si girava e c’era il filobus (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica) 



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