NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Atena e il tribunale degli uomini

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Eumenidi

Alcune parti sono nella lingua siciliana di Alcamo, dove è nato il volgare siciliano, prima lingua poetica italiana, amatissima da Dante. Che cosa conserva la lingua siciliana di oggi rispetto a quella studiata e amata dagli stilnovisti?

Eumenidi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Niente! Sta prendendo sempre più una deriva di assuefazione a certe forme, resiste ancora un po’ in certi paesi dell’entroterra e certi quartieri del palermitano ma si stanno perdendo parole assolutamente bellissime anche come forza teatrale: se dico “abbrumato” significa incrostato, adesso tutti dicono “lordo”, ma io lo uso per dire “incrostato di sangue”, lo dice Oreste sia ad Atena che ad Apollo. Questa lingua stupenda che cambia di zona in zona e ha diverse cadenze e forme si sta perdendo: i giovani non parlano più il siciliano perché per loro non è bello, non fa società”.

Ci sono chitarre elettriche che molto dark, poi quei tre ragazzi messi di lato, allo scuro, mi sono sembrati i Cure, “Three imaginary boys”!

“Ahah! Qui li ho dovuti spostare di lato, in realtà saranno sempre dietro al cubo, quasi ad essere una propagazione musicale icastica. C’è anche jazz. Quando dico jazz e blues mi riferisco alle cose recitate, sono partito dallo studio delle voci dei carrettieri a quello impostato in certe sonorità blues dei raccoglitori di cotone. La Pitia parla con una cadenza blues e il secondo coro è un jazz, non sul battere ma sul levare, l’accento”.

La Sicilia è al centro del mediterraneo, conserva le tradizioni di tutte le popolazioni, però è anche normanna, Federico II è sepolto a Palermo e i tedeschi ancora oggi portano i fiori. Come mai nelle arti performative non ci sono mai o quasi mai riferimenti ad elementi normanni? L’influenza araba, greca e spagnola è evidentissima, quella teutonica no, perché?

“Forse perché è ancora distante da noi che viviamo la modernità. Effettivamente hai ragione tu: non c’è rimasto niente degli svevi e dei normanni”.

Ma nemmeno dei prestiti linguistici?

“Niente. Molte cose che sono rimaste degli arabi e dei greci chiaramente erano talmente forti che hanno resistito. I normanni arrivano subito dopo gli arabi ed è stato difficile estirpare. Noi mangiamo ancora cose che ci hanno insegnato gli arabi, le nostre cassate e i nostri dolci di ricotta…”

Eumenidi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lo spettacolo è potentissimo, già dall’inizio quando vai dentro alla prospettiva e parli da lì, la gente applaude ma poi non gli viene più data possibilità di farlo.

“Non me lo aspettavo. In genere non applaudono mai perché io continuo proprio perché vorrei che fosse una lava che scende sugli spettatori”.

Sia testo che regia sono strettissimi, anche quando ci sono dei momenti ironici in cui la gente ride o in cui descrivete la disperazione: non c’è un momento in cui viene permesso allo spettatore di distendersi davvero, il picco è sempre altissimo. Perché?

“Perché voglio violentare gli spettatori, è uno “stupro”, questa cosa parte da questo: la tragedia della vendetta del sangue che rincorre il sangue. Come dicevo vorrei che questa ossessione arrivasse al pubblico e per farlo non posso dare spazio al respiro e al rilassamento”.

Eumenidi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La scena è semplicissima: un cubo trasparente con la luce di Wood e Clitennestra illuminata di rosso. Lo spettacolo è stato presentato in Biennale nel 2004. Come si è evoluto e come lo hai pensato per l’Olimpico?

“Il cambiamento è stato nelle forme ritmiche dove sono confluite la mia ricerca sul jazz e il blues. I riferimenti alla politica servono per portare lo spettatore al discorso del compromesso. Le scene scamozziate è come se rappresentassero una lingua, una propagazione verso un destino ineffabile e le coloro di volta in volta con le stessa luce del cubo tranne nel punto di Clitennestra, dove spengo tutto dietro ed è come se uscisse da questa caverna, da questa bocca”.

Tu sei uno degli artisti in prima linea nella denuncia contro la mafia. A Napoli c’è molta polemica sul fatto che Saviano si sia arricchito con “Gomorra” e per molti non si tratta più di denuncia ma di sfruttamento di un fenomeno che non risolve il problema anzi lo trasforma in qualcosa di folklorico che rovina irrimediabilmente l’immagine della città.

“Io ho fatto quelle denuncie sulla mafia rischiando, minacce eccetera, però l’ho fatto perché per me era un cancro che ho vissuto nel mio paese, Partinico, dove veramente ho vissuto fianco a fianco di mafiosi. I miei compagni di classe sono tutti o morti di morte violenta o in galera all’ergastolo, quindi era una cosa che dovevo fare. Questa polemica lascia il tempo che trova, è come quando hanno fatto la polemica su Angelica Liddell senza manco vedere che aveva fatto. C’è gente che certe volte parla per invidia perché non sopporta il successo degli altri”.

 

nr. 37 anno XX del 17 ottobre 2015



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