“SIAMO ARMATI DI SOLIDARIETÀ”- È stata contestata da alcuni preti la lettera della nostra preghiera che parla di armi del tutto simboliche: “Siamo armati soltanto di solidarietà e lo dimostrano tutti i momenti che caratterizzano la nostra presenza nella società. Non faccio polemiche e anzi voglio sgombrare il campo da qualsiasi possibile polemica da parte nostra: nel momento in cui entriamo in chiesa siamo obbligati assolutamente al rispetto del luogo e delle persone e non siamo noi a poter contraddire quello che ci viene chiesto dal prete che officia. Secondo me cantare Signore delle Cime è pregare due volte ma si tratta di una mia opinione. Ripeto: ci adeguiamo a quanto dice chi è titolare della chiesa, non c’è dubbio su questo, anche perché tutta la nostra tradizione è fortemente legata al rispetto della religione e non abbiamo alcuna intenzione di cambiare il nostro rispettoso rapporto verso chi sta sull’altare. Sono molto perplesso, questo posso dirlo tranquillamente che una questione così venga fuori proprio durante le celebrazioni del centenario della Grande Guerra che andranno avanti tre anni. Perché ora, mi domando, e perché in questa forma che non capiamo non riuscendo neppure peraltro a trovare una spiegazione per i nostri amici e consociati nelle sezioni. Ho l’impressione che imboccando questo genere di percorso del tutto inaspettato ci sia il rischio di sconfessare tutto quanto, tutta la nostra tradizione di uomini pacifici, tutta la nostra opera di presenza nella società che dura da sempre e che ci vede presenti sempre e comunque dove ci sia necessità di assistere ed aiutare, di lavorare a ripristinare realtà magari sconvolte da eventi catastrofici, o più semplicemente di andare in parrocchia a dare una mano quando serve preparare una festa o aiutare a realizzare una qualunque iniziativa. Noi ci siamo sempre…”.
VALORI LAICI? SI’, MA GRANDI VALORI- Solidarietà e volontariato, dunque, spesi a titolo puramente gratuito, senza contributo regionale, ci viene da dire…La tradizione è quella e non si cambia. Dice ancora Giuseppe Rugolo che questi ultimi avvenimenti possono anche avere una loro utilità perché se ne può discutere e arrivare a capire che cosa la società si aspetta quando ha veramente bisogno di aiuto: “Centinaia di noi organizzano le mense dei poveri e comunque e sempre proponiamo e non ci tiriamo indietro. Chiaro che i nostri messaggi sono laici, ma dentro il contenuto testimonia di valori che coincidono con quelli della religione se è vero come è vero che la religione rappresenta una parte importante della nostra tradizione di fratellanza e vicinanza alla società nella quale ci muoviamo. Credo che sarà necessario parlarne davvero, le nostre porte sono sempre aperte. Nella riforma del volontariato vorrei tanto che qualcuno aggiungesse al testo la parola “alpino” perché noi ci siamo nel volontariato in tutte le sue forme. E sono anche convinto che proprio trovando la giusta misura di una chiarificazione utile a tutti si potrà arrivare a qualcosa che ancora non c’è: la cultura dell’accoglienza c’è ma non è sufficiente, occorre incrementarla e arriva a capire bene quali sono i vari ruoli coinvolti tenendo presente che quando si parla di noi non si parla di una parte che cerca un qualsiasi tipo di potere. Direi che tra le cose da dire da parte dello Stato c’è anche una parola sulla necessità di mantenere la presenza alpina: la soppressione della leva obbligatoria ci ha fatto invecchiare. Stiamo già lavorando in questa direzione, ma occorre aprire iniziative verso i giovani: non c’è bisogno di fare il militare per essere utili alla società, all’ANA ci si può iscrivere anche come semplici volontari e vivere assieme a noi tutte le fasi del lavoro che stiamo già facendo e che continueremo a fare”.
“MEGLIO SE CI CONOSCONO…”- Luciano Cherobin parla della prima reazione a quanto è successo in qualche chiesa e spiega con precisione che prima di esprimere qualsiasi concetto hanno tutti preferito meditare, anche per riuscire a digerire questa sorpresa che francamente non si aspettavano: “Quel che mi sento di dire è che bisognerebbe che ci si conoscesse un po’ meglio. L’ANA ha migliaia di associati che appartengono a qualsiasi settore della società; siamo artigiani, professionisti lavoratori dipendenti, apparteniamo a qualunque mestiere, siamo dappertutto e proprio perché conosciamo tante persone e tanti mestieri siamo così compatti quando si tratta di rimboccarci le maniche e andare ad aiutare chi ne ha bisogno. Credo che se non ci si conosce neppure si possa esprimere qualcosa su di noi e certe decisioni per prenderle occorre che siano sostenute appunto dal sapere di che cosa si sta parlando e a chi. Siamo naturalmente un po’ disorientati perché pensiamo che il nostro lavoro si vede sempre chiaramente e lo possono vedere tutti, al punto da pensare che la società ci possa ritenere davvero affidabili. Debbo dire che da questo punto di vista abbiamo ricevuto molte manifestazioni di vicinanza sia dall’arco politico che dalle amministrazioni pubbliche oltre che dalle associazioni con le quali siamo ovviamente in contatto costante perché per noi il volontariato è qualcosa che sta alla base della nostra presenza. Quando siamo sollecitati ad un intervento, a tutti i livelli e per qualsiasi circostanza si verifichi, ci sono soltanto e sempre dei sì da parte nostra, nessuno dice no, e sappiamo come intervenire perché siamo organizzati in squadre anche tecnicamente preparate. Dopo di che posso soltanto sperare che ci si ritenga affidabili, degni di fiducia. Il fatto della nostra presenza in chiesa per accompagnare un nostro compagno scomparso, “andato avanti” come usiamo dire noi, è davvero una cosa scontata che sia marcata dal nostro cappello che è un segno di identità; così come il canto fa parte del nostro essere. Chiaramente siamo del tutto rispettosi nei rapporti per cui dove ci sia un parroco che ci chieda di cambiare le nostre abitudini non possiamo fare altro che adeguarci e aderire di buon grado alla richiesta. Se il problema è il cappello o il coro faremo tutto dopo, fuori dalla chiesa oppure al cimitero. I nostri sentimenti non cambiano, dico piuttosto che la nostra tradizione è laica ma anche religiosa, da sempre, per cui nessun dubbio sul nostro essere rispettosi verso i valori che ci sono tanto cari. Del resto uno dei nostri motti è “tasi e tira” che ha un grande significato se si pensa a che cosa vuol dire; vuol dire soprattutto che siamo sempre pronti a sacrificarci per dare una mano e se anche il lavoro che ci viene affidato si prospetta particolarmente difficile non sarà questo a fermarci. Tira e tasi, quindi, come abbiamo fatto non so quante volte in non so quante occasioni delicatissime e lo dico pensando alle missioni di soccorso che ci vedono costantemente presenti. Tira e tasi, dunque, ma per favore chi ha dei dubbi su di noi venga a trovarci e parliamone, Le nostre porte sono sempre aperte, non saranno mai chiuse”.
nr. 42 anno XX del 21 novembre 2015