NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La Protezione civile e il cerino del sindaco

L’esercitazione simulata a Vicenza ha coinvolto lo scorso week anche i Comuni, prova generale con tema a sorpresa per le circostanze, i tempi e le modalità – Tra le pieghe di questa operatività l’incidenza del volontariato, ma anche il nervo scoperto di una legge che risale al 1984: come convincere tutti che la rete ha bisogno del contributo non egoistico di tutti?

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La Protezione civile e il cerino del sindaco

(g. ar.)- È una macchina che si muove a comando, ma sarebbe comunque pronta per vocazione spontanea. Magari si tratta di una vocazione perfino eccessiva, nel senso che per carenza di regole ciascuno si sente in dovere di fare il suo alla sua maniera: dai mega-suv acquistati qua e là fino alle ruspe, dalle idrovore che ci sono ma sono sparse disordinatamente, alle squadre di addestrati ad utilizzarle. Visto che l’ultima legge regionale che regolamenta il settore risale al 1984, la lacuna vera di questa rete che è fatta soprattutto di generosità personali è rappresentata dall’assenza della consapevolezza di mettere a punto un vero e proprio sistema integrato di servizio utilizzabile con una regìa unica ed un unico centro di coordinamento. L’esercitazione di protezione civile dell’ultimo week-end ha messo in evidenza che le potenzialità sono forti, che le capacità di intervento sono rispettabili, ma anche che un’ambulanza richiesta due giorni prima alla CRI dal Comune di Caldogno e che doveva soccorrere i figuranti dell’esercitazione oggi come oggi non è ancora arrivata a destinazione. Forse è il caso che la Regione studi una strategia un po’ più moderna, più adeguata alle necessità di oggi che non sono più quelle di 31 anni fa, anche perché alle amministrazioni provinciali, chiamate a fare da coordinatrici “per conto di”, non si possono chiedere imprese impossibili: o hanno regole certe, non trascurando la loro stessa natura in trasformazione proprio in questi mesi, oppure la speranza che riescano a tirare i fili veri del problema resta infondata. La soluzione complessivamente territoriale è tra l’altro dettata dalle norme europee, tanto per cambiare in fortissimo anticipo su quelle nazionali italiane. Chi soccorre chi e in quali tempi: questo dovrà essere l’articolo numero uno di quella che deve diventare la nuova legge regionale in sostituzione di quella dell’84. Ma presto, molto presto. Altrimenti la Provincia rimarrà un’incompiuta, i volontari continueranno ad operare nell’improvvisazione pure tanto preziosa ed alla fine il cerino proverbiale rimarrà dove si trova oggi: tra le dita della mano del sindaco di turno…

La Protezione civile e il cerino del sindaco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)VOLONTARIATO E BUROCRAZIA- I volontari in provincia di Vicenza sono qualcosa come duecentomila raccolti in oltre trecento associazioni. Quelli che fanno parte effettivamente della Protezione civile sono oltre tremila e di diverso dagli altri hanno semplicemente un’autorizzazione ad agire in squadra che ottengono dopo corsi e procedimenti di formazione. È così che scatta l’operatività nel momento in cui si verificano le condizioni inequivocabili di una condizione di emergenza di qualsiasi natura, dal terremoto alle alluvioni, dai grandi incendi alle operazioni di soccorso. C’è sempre un centro di controllo e coordinamento di cui si deve occupare la Provincia, ma è chiaro che senza i volontari non si farebbe proprio niente. A partire dai cinquecento alpini dell’ANA che rappresentano il gruppo più omogeneo per appartenenza e che sono reclutati oltre che in questa provincia anche nel trevigiano e nel padovano, l’esercito dei soccorritori per scelta si muove secondo progetti ed esigenze che variano naturalmente al variare della specificità dell’evento, ma che comunque mantengono sempre la caratteristica principale di un lavoro corale che viene eseguito per la pubblica utilità ed a vantaggio di chi ha bisogno di aiuto in caso di emergenza. Non sempre i rapporti con la burocrazia sono ideali: vedremo lungo il discorso che nel caso di lavoratori dipendenti prestati secondo la legge alle operazioni della protezione civile, è assicurato il mantenimento del posto di lavoro e la relativa retribuzione, ma il datore di lavoro che non si può sottrarre a concedere il permesso e che ha il diritto per legge ad aspettarsi il rimborso in denaro per quanto ha pagato senza prestazioni del dipendente, il suo rimborso lo ottiene in un periodo tanto lungo da non sembrare neppure credibile: da tre a quattro anni. È il vezzo di una burocrazia senza scrupoli che riserva alle prestazioni per la pubblica utilità un trattamento particolarmente irritante; basti dire che un sindacato come la CISL per le sue attività di patronato sindacale nel settore dell’assistenza sociale aspetta il dovuto più o meno tre anni: a fine anno, tra poco, si spera arrivino i rimborsi per le attività svolte nel 2012. Tanto per dire come stanno le cose, al di là delle parole e delle dichiarazioni dei politici che a livello regionale e nazionale dovrebbero porre riparo a questa situazione ed evidentemente ancora non lo hanno fatto.

“MAI ARRIVATA L’AMBULANZA DELLA CRI”- A proposito di chi prima o poi tiene in mano il cerino ancora acceso e cerca di evitare di scottarsi: Marcello Vezzaro, sindaco di Caldogno, prospetta con una certa chiarezza quali sono in realtà i temi da mettere in campo per una protezione civile che sia davvero finalizzata al risultato di raggiungere il risultato che si cerca; “Cominciamo col dire che ciascuna amministrazione comunale deve collaborare come può e come sa, ma riferendosi ad un centro di coordinamento unico, ad esempio la Provincia, a cui mettere a disposizione i mezzi in suo possesso. Credo sia una cosa poco intelligente agire da isolati, ciascuno per proprio conto, acquistando fuoristrada e mezzi meccanici senza che ci sia un quadro complessivo delle necessità del territorio. È il territorio che deve fare i suoi conti e sapere di fronte ad una emergenza come muoversi e secondo quali direttive. Da soli non si va da nessuna parte. Il secondo punto riguarda il ruolo della scuola a cui bisogna far capire che i ragazzi debbono essere coinvolti; non dico alle elementari dove peraltro si può andare a spiegare bene e chiaramente in che cosa consiste il lavoro del difendersi dalle calamità naturali, ma sicuramente alle medie perché i ragazzi possono partecipare attivamente anche ad una esercitazione e sono sicuro che lo farebbero con grande entusiasmo. L’ultimo week-end abbiamo avuto qui quattro osservatori della Regione che hanno preso nota di tutto e ci faranno poi sapere se quel che hanno registrato è soddisfacente o se ci sono lacune da correggere. Certo è che ad esempio nel nostro programma di collaborazione avevamo il salvataggio di due persone che hanno aspettato inutilmente l’arrivo di un’ambulanza della Croce Rossa. L’avevamo chiesta due giorni prima dell’esercitazione. Occorre una svolta tecnica ed organizzativa. C’è chi ci è riuscito, come il Friuli o il Trentino: li ho visti in altre occasioni qui da noi, mi hanno dato l’impressione di essere ottimamente allenati, di disporre di tecnologia interessante a partire dai computer con i programmi adeguati e soprattutto ho potuto capire che sanno che cosa fare e come farlo in qualsiasi momento. Serve questa svolta anche perché si lavorerà bene e si sprecherà praticamente niente”.

La Protezione civile e il cerino del sindaco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)DALLE INFORMAZIONI ALL’OPERATIVITÀ- È chiaro per tutti che la situazione così come si presenta oggi è da una parte carica di ottime intenzioni, ma dall’altra denuncia punti di vuoto sconcertanti proprio perché il tentativo peraltro irrinunciabile di rendere tutto organicamente accentrato in una vera e proprio sala operativa almeno per ora è un risultato da raggiungere. Da una parte quella legge che regolamenta la realtà del 1984 e non tiene conto che siamo già ad oltre tre decenni di distanza, dall’altra i vizi congeniti che tormentano normalmente le associazioni di volontariato quando si tratta di uscire dall’orticello privato per mettere a disposizione della collettività, cioè del mondo del volontariato nel suo complesso. Le esitazioni e le gelosie sono praticamente scontate, normali, ma sono proprio quelle che bisogna superare una volta per tutte. Ne sa qualcosa chiunque faccia parte di una amministrazione pubblica: le associazioni chiedono e l’amministrazione (più o meno) dà, ma in cambio non ottiene mai quel che cerca e cioè almeno la presentazione a orizzonte completo di tutte le potenzialità disponibili, ma celate sempre dietro il velo del sospetto o della più retriva riservatezza. In questo momento c’è un ufficio di coordinamento a cui è affidato il lavoro di raccolta e distribuzione dei dati e degli incarichi in caso di emergenza per fatti naturali. Il coordinamento è in Provincia e lo gestisce Chiara Garbin. Ogni esercitazione è un ripetere le esperienze di quelle precedenti, dice, se non altro col vantaggio che di volta in volta si arriva a fare qualcosa di meglio: “Le gelosie di campanile purtroppo sono sempre presenti e bisognerà superarle perché il famoso cerino acceso alla fine resta nelle mani del sindaco di turno o dell’amministrazione di turno. E poi c’è il mezzo normativo che non ci aiuta per niente: la legge del 1984 è ovviamente superata nei fatti e ne serve un’altra che cambi i criteri di organizzazione. Chi coordina deve sapere di che cosa dispone complessivamente e come rispondere alle richieste di aiuto in caso di emergenza. Bisogna cioè aver chiaro che si agisce per la collettività e che bisogna rispondere alla domanda “chi salva chi e con che cosa”; il che non toglie che bisogna avere una grande considerazione per le potenzialità che possiamo mettere in campo perché il nostro volontariato è forte, dispone di numeri importanti, quasi senza confronti, ed ha bisogno soltanto di lavorare potendo contare su un quadro organizzativo e operativo ben definito”.



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