NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il Gabbiano volò sul Comunale

Fausto Russo Alesi parla della pièce di Anton Checov portata in scena a Vicenza per la regia di Carmelo Refici

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il Gabbiano

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Prosegue la stagione della prosa del TCVI con uno dei titoli più famosi di Anton Cechov: “Il Gabbiano”. Andato in scena per la prima volta nel 1896 all’Aleksandrinskij Di san Pietroburgo, fu un fiasco totale. Ripreso nel 1898 da Stanislavskij al Teatro d’Arte di Mosca diventò un successo ininterrotto fino ad oggi.

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica) In questa versione del regista Carmelo Rifici l’allestimento è evanescente sul piano temporale, il contesto storico non è definito, forse proprio perché il testo non ha bisogno di essere collocato nel tempo. Abbiamo incontrato Fausto Russo Alesi, che nella pièce interpreta lo scrittore Boris Trigorin, amante dell’attrice decaduta Irina Arkadina.

La storia è ambientata nei pressi di un lago e sfrutta l’espediente del meta teatro: un gruppo di artisti si riunisce per provare una pièce teatrale. Per volere del regista non ci sono riferimenti espliciti al lago ma solo al teatro. Ha debuttato a Lugano nel nuovo centro culturale Lac. Si potrebbe pensare a un allestimento site specific. Nel portarlo lontano dalla sua sede iniziale, lo spettacolo ha perso o guadagnato qualcosa?

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Fausto Russo Alesi: “Rispetto al lago ci sono una serie di elementi evocativi, questo pavimento o le corde dove ci sono questi gabbiani di carta che rimangono impigliati. Col rodaggio (e questo è naturale per qualsiasi spettacolo), sta maturando. È proprio la maturazione della squadra che lavora insieme e quindi le relazioni, che sono quelle cose su cui Carmelo sta lavorando molto: le relazioni sceniche tra questi personaggi. Lo spettacolo è ancora molto fresco".

Nel testo si ribadisce che si ama il teatro ma che c’è bisogno di rinnovamento. Andò in scena alla fine dell’800, di lì a pochi anni sarebbero esplose le avanguardie, di cui i russi furono i maggiori esponenti in tutte le arti. Oggi nel teatro c’è una ricerca continua e alcuni cominciano a dire che forse c’è un po’ troppo contemporaneo e che si dovrebbe riscoprire la tradizione. Sarebbe un regresso o un’ulteriore opportunità di innovazione?

“Quello credo faccia parte un po’ della sensibilità di un artista che incontra i testi. È dalla metabolizzazione della tradizione che si può partire per cercare di raccontare con gli occhi di oggi i testi che decidiamo di fare, perché questo testo ci parla e ci racconta delle cose sull’oggi e sul presente. Poi bisognerebbe capire cos’è contemporaneo e per chi. Al di là di qualsiasi possibile stile, le ragioni universali che fanno parte dei grandi testi e che ci appartengono senz’altro ci fanno venire voglia di raccontare di nuovo ciò che non è stato approfondito, magari perché non c’erano i mezzi o perché non erano i tempi: a volte c’è un germe in un testo che in quel contesto storico non può esplodere. Spesso geni come Cechov sono visionari fuori dal tempo e qualcosa magari si ripropone perché l’uomo tende a ribattere la testa sulle stese problematiche ed errori . il pubblico è nell’oggi e ha bisogno di sentirsi coinvolto ed è importante farlo. Un allestimento può essere ipertradizionale o avanguardia e non arrivarti per niente o coinvolgerti moltissimo. Penso che siano sempre le ragioni che dovrebbero guidarci".

Tu interpreti Trigorin; ad un certo punto dici: “Vedo che la vita va avanti ma io rimango come uno che ha perso il treno". Nei drammi e romanzi russi di quel periodo è abbastanza diffusa questa sensazione di qualcosa di molto sfuggente, della vita stessa che non si riesce a comprendere, sebbene i personaggi abbiano un ruolo abbastanza definito nella società in cui si muovono. Secondo te come mai i grandi autori di quel tempo descrivono spesso questo tipo di malessere, che almeno apparentemente sembrerebbe ingiustificato?

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Vengono descritti come due mondi: la campagna che descrive la precarietà assoluta e chi ci vive lo fa con il mito e la voglia di andare verso la città dove succedono delle cose che si reputa siano la vita. Un grande autore come Cechov si occupa sempre del contesto storico e politico. Sono esseri umani alla ricerca di identità, perché questa è la perenne insoddisfazione dell’uomo. Trigorin è uno scrittore di successo in crisi artistica, di mezza età: scrive ossessivamente perché è la sua passione ma lui la definisce passione malata e non riesce a trovare veramente quello che è vicino a lui e si mette a confronto con Kostantin. C’è questa precarietà dentro di loro, la paura di perdere anche il successo acquisito e la giovinezza. L’uomo, in questo testo (è implacabile come cosa), vuole spesso essere qualcosa di differente da sé, non si accontenta di quello che ha".

Il gabbiano viene ucciso per essere dato a Nina: è un simbolo abbastanza ambiguo, di libertà ma anche di fragilità, una vittima inutile. In più parti di questo testo si trovano dei momenti di crudeltà. Sono le dinamiche affettive che determinano l’insoddisfazione oppure c’è un’incapacità a intercettare qualcosa di positivo e costruttivo e a custodirlo? Oppure è appunto questo fatto di essere tutti innamorati l’uno dell’altro senza essere corrisposti che li inquina in qualche modo?

“Sicuramente fanno fatica a vedere il buono che hanno davanti; questo lo trovo molto contemporaneo. Personaggi poco positivi, si fa fatica ad entrare in empatia con loro perché tutti, tutti sono colpevoli di qualcosa, vogliono o rivendicano profondamente qualcosa di viscerale e per ottenerlo attuano dinamiche distruttive, inseguono qualcosa che non è lì".

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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