NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il Gabbiano volò sul Comunale

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il Gabbiano

Un testo viene considerato potente e importante quando presenta delle domande; nella nostra cultura c’è un po’ questa certezza che siano più importanti le domande delle risposte. Nella mancanza di risposte non c’è il rischio che si crei un vuoto che può essere riempito da qualcosa che non ci appartiene? Noi ci facciamo domande e domande, risposte non ce ne diamo e arriva qualcuno che dice che la risposta la dà lui mettendo una bomba o una dittatura.

“Certo, la risposte bisogna provare a cercarle, voler indottrinare può essere molto pericoloso. Chi si prende la responsabilità di mettere in scena un testo sa cosa vuole raccontare, con che occhi guardare qualcosa e comunicarla, ma amo più quegli spettacoli dove il pubblico può lavorare, che non sia spettatore passivo. Una risposta la puoi cestinare in un secondo perché può essere riduttiva e assolutamente soggettiva. Una domanda può innescare molte più cose in campo e più durata di queste cose. Sicuramente ci sono degli spettacoli più aperti che suggeriscono delle cose ma poi è il pubblico che deve farle proprie e altri che magari vogliono dirti una verità che resta quella che è".

Fino ad alcuni decenni fa un romanzo celebre come questo sarebbe stato preso in considerazione per una produzione cinematografica, come è effettivamente avvenuto con la regia di Sidney Lumet o Bellocchio . Oggi il cinema preferisce orientarsi verso le true stories e i romanzi vengono considerati come fonti per serie tv, anche se si prediligono le saghe, non è che si approfondisce un testo, di solito. Come mai secondo te non c’è più interesse per i grandi classici al cinema?

“Forse c’è la paura che il pubblico non possa accettare volentieri reputando un romanzo classico pesante. Non penso mai che il problema sia il pubblico: se una cosa è fatta bene si può appassionare tranquillamente, anzi. Questo non significa che non bisogna sperimentare nuove storie che parlano dell’oggi o nuove drammaturgie, il cinema lo fa sempre ed è meraviglioso. Penso che investire sui classici possa essere soltanto una ricchezza".

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Tu hai portato “Natale in casa Cupiello” da solo, fai tutti i personaggi, ed è stata una concessione che ti ha fatto Luca De Filippo. Secondo te siamo pronti per una reinterpretazione di testi così radicati nella nostra tradizione teatrale? Anche perché abbiamo la fortuna di poter vedere Eduardo che interpreta il suo stesso testo.

Il Gabbiano (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Certo che siamo pronti: purtroppo, avendoci lasciato anche Luca de Filippo si chiude veramente un’epoca. I testi di Eduardo sono meravigliosi ed universali: era un visionario, ha scritto delle cose incredibili negli anni ’30 e ’40, certe cose assolutamente non le poteva dire e le metteva sotto censura anche nell’interpretazione a volte. I suoi testi erano SEMPRE politici: riscoprirli oggi e vedere quanto ci sono vicini e quanto ci parlano è assolutamente fondamentale, nessuno può mettere in discussione i monumenti che ci ha lasciato. C’è proprio la necessità di farli vivere nel tempo e questo credo sia il miglior servizio ai testi di un grande autore".

Accoglienza di un pubblico iperprotezionista come quello napoletano?

“Fantastica. L’ho portato nei Quartieri al Teatro Nuovo, si sono riconosciuti e non c’è parola del testo che non conoscano: io non ho tolto quasi niente ma qualcuno è venuto a dirmi come mai avessi tolto quella parola. Questo è meraviglioso. Ho pensato molto a questo quando ho deciso di fare “Natale in casa Cupiello”, che è un testo intoccabile".

Te lo chiedo perché tu sei siciliano, di fuori Napoli, quando Massimo Ranieri fece la “Filomena Marturano” in italiano, ci fu una polemica feroce.

“Io ho lavorato sulla lingua, non ho tradotto, certo non potevo essere un purista, perché sono palermitano".

Però devo dire che te la sei cavata bene!

“Ho studiato la lingua, credo anche per poi dimenticarla in qualche modo, per salvaguardarla sempre perché penso che le cose che Eduardo dice in quel testo sicuramente non possono fare a meno di quella musica: bisogna conoscerla, provarla e suonarla. Però poi sono i rapporti umani, questa incomunicabilità di cui parla nel testo, questa solitudine".

C’è proprio un ritmo della lingua che determina anche certi andamenti emotivi.

“Certo. Però questo può passare anche attraverso il lavoro sull’intenzione attorale. E poi c’è comunque una fraternità ASSOLUTA tra Palermo e Napoli!”.



nr. 04 anno XX del 6 febbraio 2016

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