NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Quando gli ospedali psichiatrici erano manicomi

“Muri, prima e dopo Basaglia”, il monologo che riprende le confessioni di una infermiera che ha visto cambiare la disciplina della “salute mentale” grazie al famoso medico veneziano. Intervista all'interprete Giulia Lazzarini

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Muri- prima e dopo Basaglia

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Muri- prima e dopo Basaglia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Mercoledì sera al Remondini di Bassano del Grappa è andato in scena il monologo di teatro civile “Muri- prima e dopo Basaglia”. Scritto e diretto da Renato Sarti, il testo raccoglie la testimonianza di Mariuccia Giacomini, per 30 anni infermiera all’Ospedale psichiatrico di Trieste diretto dal rivoluzionario dott. Franco Basaglia dal 1971 al ‘79 . Insignito del premio Maschera del teatro come miglior monologo, il testo è interpretato dalla celebre attrice Giulia Lazzarini, vincitrice del David di Donatello per l’interpretazione nel film “Mia madre” di Nanni Moretti.

 

Muri- prima e dopo Basaglia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lei era nel film di Moretti che le è valso il premio…

Giulia Lazzarini: “…È stato un premio farlo!”.

Lì interpreta la parte della paziente, anche se è tutt’altro tipo di situazione, qui dà voce a chi si prende cura dei pazienti. Vedere entrambe le situazioni di curato e curante l’ha aiutata anche nel capire il malato con i suoi limiti?

“Mah, sai, dall’alto della mia “giovane età” ne ho viste parecchie di situazioni, so il dolore che si prova a stare vicino a un malato di fronte al quale non puoi fare più niente. L’uomo deve imparare ad essere paziente, amoroso e tutto con chiunque abbia necessità di essere confortato, parente o anche solo conoscente, il prossimo. Solo che oggi dire chi è il nostro prossimo è un po’difficoltoso perché il prossimo è tutto e anche niente. Io ammiro moltissimo quelli che possono fare volontariato, per me sarebbe complicato; il mio volontariato è fare col mio mestiere, quello che vorrei dire a qualcuno, lasciare un monito, un ricordo. Si può vivere anche così? Si dovrebbe vivere anche così? Questa è la funzione del teatro: accendere determinate cose come soltanto il teatro può fare perché il teatro ha una voce umana che lo stesso cinema non ha, penso, una voce che comunica, che emoziona e che ascolti di più, come consiglio di una persona cara. Sono stata vicino a chi aveva bisogno e io stessa ho avuto bisogno di avere vicino qualcuno. Tutti abbiamo bisogno di questo, la solitudine oggi è tanta, è diventata davvero una malattia: dici una cosa e l’altro manco ti guarda, non ti ascolta, non è con te, non cammina sulla tua stessa strada”.

Muri- prima e dopo Basaglia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il “pre-Basaglia” viene descritto come un vero e proprio lager e viene detto che venivano assunte persone senza famiglia, che sfogavano il loro risentimento su questi pazienti e mi sembra che ci fossero una cattiveria e una discriminazione che si autoalimentavano anche con il pregiudizio nei confronti della donna e del malato: queste infermiere non erano tutelate perché a loro erano riservate delle mansioni che agli infermieri maschi non erano assegnate.

“Certo, infatti le donne erano sole lì, non potevano parlare con nessuno, fare una telefonata, era veramente un lavoro durissimo e queste persone senza famiglia avevano più disponibilità, erano più aride che cattive. In effetti ci sono delle persone cattive come in tutte le professioni che hanno potere sugli altri e che bacchettano approfittando del più debole. Purtroppo non tutti sono umanamente aperti di cuore e di mente. Quello che dice lei è molto importante, spero che venga recepito: pigliamo coscienza di una professione che non deve essere solo pulire il malato ma essere col malato, capirlo, perché è quello che conta”.  

Mi viene in mente un film con Kate Winslet e Ralph Fiennes in cui lei era una kapò nei lager, viene fatto il processo e lei dice: “Erano ordini e dovevo obbedire, cosa avreste fatto al mio posto?”

“È quello che dicono tutti quelli che sono stati in situazioni come i lager, anche lei lo dice: “Io non capivo”. Finché non capisci, bene. Quando invece capisci e continui a farle, le fai per necessità perché magari non hai un altro lavoro oppure perché sei talmente abituato, ormai, al dolore dell’altro che “Che me frega? Gli diamo le medicine” ma non lo capisco come se dovesse capitare a me. Oggi siamo privi di commiserazione però magari non essere contro determinate cose che abbiamo vissuto con l’immigrazione e cercare di capire. Oggi è difficile, Mariuccia dice: “non è più il ’68 o il’70”, adesso altro che cambiamenti epocali, il mondo si sta capovolgendo e sta perdendo l’equilibrio, è come se fossimo tutti su una barca e tutti vengono da una parte, la gente non capisce più niente. Mariuccia non l’ha vissuto questo periodo”.

Oggi si parla poco di malattie mentali anche perché l’opinione pubblica risente dei molti delitti e non si è molto propensi a sentir parlare di una legittimazione o di una dignità del malato mentale anche perché spesso ci si appella all’incapacità di intendere e di volere per avere delle riduzioni delle pene.

“Ah certo, è un escamotage, indubbiamente. Quelli che hanno fatto questa tremenda cosa, per me, sono da mettere a loro volta a patire quello che hanno fatto patire agli altri. Basaglia ha aperto veramente le porte di una segregazione perché lì, chi voleva poteva mettere dentro e c’erano le angherie perché non potevi fare niente, tu dentro eri impotente, nessuno ti veniva più a prendere o a difendere”.

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