Una monografia dedicata all'abbazia di Sant’Agostino a Vicenza, uno degli edifici storici più antichi della città, è il risultato che il vicentino Gilberto Dal Cengio, docente di Storia dell'Arte, ha dato alle stampe da poco per i tipi dell'Editrice Veneta di Vicenza.
L'analisi dell'autore parte dalla considerazione che la città berica tra il 1311 e il 1312 passò sotto l’egemonia veronese che influì sensibilmente e direttamente anche sul controllo patrimoniale delle istituzioni ecclesiastiche urbane. Questo dato di fatto è essenziale per comprendere le circostanze che permisero la fondazione dell’abbazia suburbana di Sant’Agostino, realizzata anche grazie a doni concessi dai signori scaligeri. La costruzione e la decorazione della chiesa si pone in un contesto che, dal XIII secolo, aveva visto l’insediamento e la fondazione delle chiese e dei conventi dei più importanti ordini mendicanti: San Lorenzo per i frati Minori, Santa Corona per i frati Predicatori e San Michele per gli Eremitani. Questo scenario religioso contribuì a rendere più aperto e vivace il clima artistico cittadino. Tra le testimonianze artistiche più interessanti del XIV secolo risalta la decorazione ad affresco che interessa la zona presbiteriale di Sant’Agostino, ciclo pittorico oggetto principale del libro, trascurato e ricoperto d’intonaco che cominciò ad essere esplorato a partire dagli anni del secondo dopoguerra, quando monsignor Federico Mistrorigo, nominato parroco della chiesa, ne sostenne il ripristino e la valorizzazione. Non fu naturalmente egli il primo a soffermare la propria attenzione e il proprio interesse su questa chiesa e sulle sue pitture. Il richiamo che questo edificio sacro esercitò sugli studiosi fu motivato più che dall’essenzialità della forma architettonica, dalle importanti testimonianze pittoriche al suo interno. La singolarità stilistica di tali opere destò opinioni non sempre concordi e alimentò quesiti relativi principalmente alla cultura delle maestranze coinvolte e alla datazione. L'autore si è mosso vagliando in modo approfondito le molteplici e spesso discordanti opinioni emerse dagli studi passati. Fra questi, in primo luogo, ha affrontato la dibattuta questione cronologica, risolta con esiti spesso contraddittori. A seguire, ha considerato i problemi legati alla valutazione stilistica e iconografica delle pitture. Un nodo importante affrontato è stato quello dell’identificazione delle otto virtù poste alla base dei pennacchi sulla volta. Data la singolarità del ciclo, privo di riferimenti, è stato più difficile ricostruirne le possibili coordinate culturali, allargando lo sguardo oltre l’ambito vicentino. Sulle tracce delle indicazioni avanzate dalla critica, si sono presi in esame per raffronto dipinti murali nella chiesa di San Fermo a Verona, nella Cappella di San Giovanni ai Domenicani di Bolzano, nell’abbazia di Pomposa, in Sant’Agostino a Rimini e in Santa Maria in Porto Fuori a Ravenna.
Secondo Mario Bagnara, presidente dell’associazione Amici dei Monumenti, dei Musei e del Paesaggio per la Città e la Provincia di Vicenza e autore della prefazione del volume, gli studiosi locali sembravano aver dimenticato da tempo il patrimonio architettonico e artistico dell’antica abbazia, quasi ignorata anche negli itinerari turistici cittadini. Il ciclo di affreschi nell’area presbiteriale: iconografia, contesto storico, attenzione critica, merita tutto il nostro plauso, anche perché questo lavoro può favorire il risveglio d’interesse dei vicentini e dei turisti su un tesoro che nel secolo scorso, in piena seconda guerra mondiale, è stato oggetto di studio e di importanti interventi di restauro ad opera dello zelante e molto apprezzato parroco don Federico Mistrorigo durante i quasi quindici anni del suo ministero, fino al 1949.... Gilberto dal Cengio, prima di affrontare l’oggetto specifico della sua ricerca, delinea un esauriente quadro storico dell’insediamento nel centro cittadino degli ordini mendicanti nel corso del XIII secolo, senza però dimenticare che nell’attuale area di Sant’Agostino già nell’ VIII secolo esisteva un sacello, probabilmente benedettino, dedicato a San Desiderio... Nella sua descrizione meticolosa di tutti i particolari, l’autore spazia con competente sicurezza nel panorama artistico del ‘300, mettendo a confronto gli affreschi vicentini con quelli coevi di altre costruzioni sacre: dalla cappella di San Giovanni ai Domenicani a Bolzano, a San Fermo a Verona, all’abbazia di Pomposa, al duomo di Spilimbergo, alle chiese di Sant’Agostino a Rimini e di San Nicolò a Treviso. E dopo aver espresso le sue riserve anche su autorevoli interpretazioni, negli appunti finali riesce a sintetizzare le sue valutazioni critiche sul capolavoro trecentesco di Sant’Agostino.
Per meglio comprendere il contesto storico e sociale dell'epoca è utile ricordare alcune premesse. Nel XIII secolo sorsero quattro nuovi ordini religiosi: Francescani, Domenicani, Carmelitani ed Eremiti Agostiniani. In aggiunta alla caratterizzazione di aderire pienamente al messaggio evangelico di povertà, essi si distinguevano nettamente dalle comunità monastiche per il fatto di non essere vincolati a nessun luogo di residenza specifico e di attuare un’attività caritativa e di predicazione a contatto con la realtà sociale presso la quale intendevano stabilirsi. La realtà che in maggior misura accolse questi pastori d’anime fu quella cittadina, entro la quale, grazie ai profitti accumulati dalla raccolta delle questue, prese avvio un’intensa attività di edificazione di complessi di culto con caratteristiche specifiche. Questi ordini mendicanti furono sostenuti dai papi, che tramite essi intendevano rafforzare la loro posizione universale, mediante l’esenzione e altri privilegi, esenzione che sottraeva la persona fisica, o giuridica, dalla sottomissione alla giurisdizione esercitata da parte dell’ordinario diocesano per porla sotto la potestà di un’autorità più elevata, in taluni casi anche al potere pontificio.
Per quanto riguarda la Vicenza del XIII secolo, sappiamo che la definitiva caduta della città sotto l’egemonia del potere imperiale, avvenuta nel 1236, segnerà il conseguente succedersi di una serie di dominazioni che renderanno fragili i tentativi della stessa di emergere quale libera entità comunale dotata di proprie magistrature e ordinamenti statutari dettati dal libero volere della cittadinanza. Uno sforzo costitutivo in questo senso avverrà, ma solamente per la breve durata del quinquennio posteriore alla sconfitta del tiranno Ezzelino, avvenuta nel corso della battaglia di Cassano d’Adda del 1259. Queste aspirazioni libertarie saranno tuttavia nuovamente rese vane dalla stipulazione di un patto di custodia che vedrà la debole Vicenza cedere, questa volta, alla giurisdizione politica padovana, la quale si protrarrà fino al 1311. Secondo lo studioso Gian Maria Varanini, in età comunale ed ezzeliniana la parabola storica della città berica si era mossa lungo un tracciato da comune di famiglie a città-satellite, incapace di esprimere una sicura leadership sul proprio distretto, che del carattere vicentino denuncerebbe la sostanziale incertezza di identità.
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