NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Noi che fummo giovani… e soldati

Il titolo del volume-ricerca di Flavio Rodeghiero è completato da “L’Altopiano e i suoi caduti nella Grande Guerra”, un libro che è un contributo di enorme valore alla memoria non celebrativa ma umana e civile della popolazione dell’Altipiano di Asiago

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Noi che abbiamo visto la guerra ce l'avremo sempre negli occhi, nel silenzio della notte udiremo le loro grida, questa è la nostra storia, di noi che un giorno fummo soldati... e giovani. È una citazione dal giornalista americano Joseph Lee Galloway che Flavio Rodeghiero ha scelto in apertura del nuovo volume da lui curato Noi, che fummo giovani... e soldati - L'Altipiano e i suoi caduti nella Grande Guerra (Marsilio editore).

(Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Assieme al tenente colonnello Hal G. Moore, Galloway scrisse il libro We Were Soldiers Once ... And Young che racconta la battaglia di La Drang, cui entrambi presero parte, uno degli scontri più violenti del conflitto tra le forze americane e l'esercito vietnamita. Quel libro ispirò poi il famoso film del 2002 We Were Soldiers - Fino all'ultimo uomo, con protagonista Mel Gibson. Qui però siamo in territorio italiano, o meglio vicentino, in quei luoghi dell'Altipiano dei Sette Comuni che furono l'unico territorio in Italia a vivere in prima linea tutti i 41 mesi del Primo conflitto mondiale. Introdotto da uno storico insigne della Prima guerra mondiale, Alberto Monticone, e arricchito di contributi di altri valenti studiosi, il volume è un'utile guida per capire come scoppiò il conflitto, quali devastanti conseguenze umane, sociali ed economiche ebbe su questa parte del territorio nazionale, e come oggi se ne conservi e tuteli la memoria, nello specifico mediante l'applicazione di quanto previsto dalla legge del 2001 sulla tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, che proprio da una proposta partita dall'Altipiano prese le mosse per essere votata dal Parlamento. La pubblicazione, che presenta una ricerca condotta con un'attenzione speciale al tema del dramma umano, raccoglie insieme i caduti nella Grande Guerra dell'Altipiano così come era organizzato amministrativamente cento anni fa, con le località di Pedescala e San Pietro Valdastico all'interno del Comune di Rotzo.

Corredato di foto d'epoca della Camera dei deputati, del Museo Nazionale Storico degli Alpini, dell'Archivio della Terza armata e dello Stato maggiore dell'Esercito, il libro ricorda come sull’Altipiano si combatterono le più aspre battaglie del conflitto. A distanza di cento anni ancor oggi forti e trincee ne tratteggiano il territorio come ferite mai rimarginate sulle vette più alte, ma pure gli avvallamenti, le buche e i solchi nei prati e nei pascoli più in basso, sono ancora ben visibili, specie appena si dirada la neve d’inverno, mentre ogni famiglia conserva gelosamente foto, riconoscimenti e medaglie, ma anche reperti bellici che nel tempo, anche ai nostri giorni, tornano in mano a chi lavora la terra, piccoli segni per non dimenticare tanti giovani sottratti violentemente ai propri cari, in quei tristi anni che furono inoltre di umiliante profugato. Allo scoppio della Guerra molti lavoratori dell’Altipiano dovettero rientrare proprio mentre si trovavano al lavoro quali emigranti nell’Impero Tedesco e Austro-Ungarico, per combattere contro tali paesi che li avevano ospitato, dove taluni addirittura erano nati. Data la vicinanza del confine, infatti, e la parziale conoscenza della lingua tedesca, gli abitanti dell’Altipiano nel tempo si erano diretti in particolare proprio in Austria-Ungheria e in Germania, dove potevano trovare occupazione nei cantieri edili dell’Impero, o come minatori nelle miniere di carbon fossile nella Westfalia, o taglialegna e carbonai nei boschi della Stiria e della Carinzia. E chi non rientrò si trovò dichiarato disertore e denunciato ai Tribunali militari di Guerra. Per dover poi, appena finita la Guerra, riprendere la via dell’emigrante, ma stavolta verso il Belgio, la Francia, la Svizzera, l’America del Nord e del Sud, o addirittura verso l’Australia.

La ricerca curata da Rodeghiero e confluita in questo volume insieme con saggi suoi e di altri illustri studiosi è un contributo di grande valore alla memoria non celebrativa ma umana e civile della popolazione dell’Altipiano di Asiago, dei suoi militari combattenti nella Grande Guerra, caduti e feriti in numero elevatissimo, dei profughi sparsi per l’Italia, dei familiari e dei sopravvissuti in un ambiente naturale ampiamente devastato di quella regione dalla peculiare e lunga tradizione storica drammaticamente coinvolta nel conflitto senza poterne condividere motivazioni e scopi - scrive Monticone dell'introduzione - . La raccolta dei dati compiuta attraverso una scrupolosa indagine nei Sette Comuni, negli elenchi dei caduti e dispersi incisi nelle lapidi commemorative deteriorate dal tempo, nelle vicende dei soppressi cimiteri di guerra e nella documentazione ufficiale del ministero della difesa, consentono all’autore di citarne non solo i nomi, ma di indicare in gran parte dei casi l’età e la condizione sociale, quasi un racconto collettivo del sacrificio e del valore umano di una gente fortemente radicata nel territorio. Rodeghiero contrappone giustamente al sacro egoismo invocato nel 1915 dal presidente del consiglio italiano Salandra e alle varie forme di sacralizzazione dell’azione bellica, proclamate dall’una e dall’altra parte dalle forze belligeranti, la sacralità della vita, che può essere messa a rischio solo in eccezionali circostanze strettamente difensive, come del resto recita la nostra Costituzione.

(Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La maggior parte degli interventi previsti per l’anniversario dei cento anni da quei fatti intervengono sui beni immobili, mentre la memoria immateriale è legata alla rara diaristica, e comunque la narrazione della Grande Guerra per la maggior parte è condotta sul filo delle scelte dei comandi e dei teatri bellici - scrive Rodeghiero - . Crediamo che recuperare invece le vicende degli uomini possa significare contribuire ad arricchire la linea narrativo-storica dei contenuti reali, esorcizzando ogni tentazione celebrativa della guerra: l’Italia infatti è l’unico paese che entra nella Grande Guerra non per motivi difensivi, ma offensivi, per conquistare territori, giustificazioni solo in parte sostenute dal criterio della nazionalità, motivazioni peraltro per la maggior parte estranee alle classi popolari, come quelle delle genti di queste nostre montagne. La Grande Guerra è vista ancora oggi con gli occhi del periodo fascista, in quanto i monumenti innalzati ai caduti del conflitto risalgono sostanzialmente, o subirono modifiche, negli anni venti e trenta, ma proprio perché raccontano una parte della nostra storia, pur con tutto il loro carico ideologico, abbiamo ritenuto significativo l’avvio di un piccolo censimento, finalizzato a raccogliere i nomi dei caduti dell’Altipiano dei Sette Comuni (come erano formati i paesi in quel lontano 1915, cioè Asiago, Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana, Rotzo, più il comune di Conco, e relative Contrade, con Pedescala e San Pietro Valdastico che facevano parte di Rotzo), talora con un certo sforzo, perchè non sempre leggibili, dalle steli, dai muri, dai monumenti insomma, dove la successiva pietà, e talora appunto la retorica, li avevano incisi. Dalla maggior parte dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, spesso giovani e giovanissimi, non si rileva l’età, elemento che evidenzierebbe immediatamente la tragedia personale, familiare e collettiva della guerra, e non si ritrovano, oltre a quelli dei padri per chiarire le omonimie, i nomi pure delle madri, donne che hanno portato sulle spalle il peso della guerra più di ogni altro; le liste di nomi non riportano che lavoro facevano, e men che meno dove e come hanno perso la vita, o dove sono sepolti se morti in prigionia: evidenziare questi elementi, laddove ci è stato possibile, ha significato recuperare la memoria che costituisce l’identità dei luoghi, nella fattispecie questi luoghi che massimamente hanno vissuto i tragici anni della Grande Guerra. Ha significato ridare un volto umano, quasi una voce a tanti giovani che spesso non hanno avuto figli o nipoti ai quali affidare il loro ricordo, dei quali le note più tragiche che esprimevano nelle poche righe scritte prima delle fatali battaglie erano il grido di angoscia e la paura di venire dimenticati: O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratelli, di me, morto a vent'anni... parlate loro di me; sforzatevi di risvegliare in loro il ricordo di me. Che è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi. Fra dieci, vent’anni forse non sapranno più d’avermi avuto fratello’, dice l’alpino Adolfo Ferrero, nella lettera scritta a poche ore dalla morte sull’Ortigara, trovata dopo 41 anni, e conservata oggi nel Sacrario di Asiago.

Abbiamo incontrato l'autore per parlare del libro.

Rodeghiero (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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