DA PERTINI A SAN MARCO, MA PERCHÈ?- Molto esplicita, ed oltre le beghe di parte politica, la testimonianza di Luca Restello, sindaco di Lonigo, serve a spiegare con grande chiarezza quale sia il vero problema di una celebrazione come quella del 25 Aprile; Restello dice che nel suo discorso che non ha pronunciato causa il “deserto della piazza” c’erano alcuni punti fondamentali che sarebbero serviti a cucire il concetto della lotta al fascismo con la realtà del territorio di oggi, da Pertini a San marco: “Avrei voluto spiegare ai miei concittadini che quel ricordo di Sandro Pertini nel momento in cui dava il via alla rivolta in tutta l’Italia settentrionale con lo sciopero generale nelle fabbriche è fortemente legato anche a tutti noi e al nostro tempo. Pertini dimostrò amore alla libertà e coraggio nel perseguirla dopo la dittatura, così come la corrispondente festa di San Marco che pure cade il 25 aprile ha un significato particolare e corrisponde alla nostra terra e alla nostra vita. Io sono leghista, ma non mi sento fuori posto nel momento in cui come sindaco di Lonigo, sindaco di tutti i cittadini di Lonigo, esprimo rispetto e apprezzamento per coloro che hanno contribuito a far tornare l’Italia in un regime di libertà dopo il fascismo. Non sono impazzito, e neppure esco dalle mie convinzioni come politico che ha aderito alla Lega. Questo episodio va preso come un fatto anche positivo perché da qui si può ripartire e vedere di correggere tanti errori. In piazza c’ero andato per fare quello che doverosamente ci si aspetta da un sindaco in una ricorrenza solenne e da rispettare. Quando ho visto che stavo per parlare praticamente a nessuno e che i pochi che c’erano si tenevano ben al di fuori della piazza e se ne stavano al margine occupandosi di tutt’altra cosa, allora mi sono detto che era meglio finirla lì e tornarmene a casa. L’aggravante in più è venuta dall’assenza totale delle scuole, nemmeno una rappresentanza da venti anni a questa parte. C’erano tutte le ragioni per decidere quel che ho deciso. Ora invece è per tutti il momento di rivedere tutto e capire veramente in che stato di indifferenza e di torpore siamo scivolati. Bisogna saperla dire la verità su questi argomenti, dire che la festa della Liberazione è davvero una festa da celebrare e non da snobbare, far capire a tutti, soprattutto ai più giovani che ci sono cose per cui vale la pena di lottare. Sono stati migliaia i ragazzi che 70 anni fa hanno rinunciato al loro futuro per offrire con generosità la loro parte di contributo alla fine del fascismo. È questo che i ragazzi, quasi coetanei di quelli che dobbiamo ricordare oggi, debbono capire, capire che la celebrazione in piazza non deve essere una banda che suona l’inno nazionale nell’indifferenza generale, e neppure quattro parole di circostanza, oppure le corone di alloro al monumento. Il succo non è questo. Io sono un insegnante, credo che dobbiamo ripartire proprio dalla scuola e farò di tutto per dare il mio contributo cominciando appunto alle mie lezioni; bisogna ritrovare i valori veri del vivere assieme, non ci può più essere tanta distrazione e bisogna puntare una volta di più sull’informazione e la cultura…”.
EPPURE QUALCOSA STA CAMBIANDO- Quella di Danilo Andriollo, neo eletto segretario provinciale dell’ANPI (l’associazione nazionale dei partigiani) non è una voce contradditoria rispetto a Restello, ma certo rappresenta la constatazione di un cambio in atto, di un qualcosa che mediamente considerando tutte le piazze delle celebrazione si direbbe non esattamente probabile: “I segnali che ho avuto sono in contrasto con chi sostiene che l’attenzione è in calo. Lo è stata sicuramente, ma da questa ultima esperienza appena vissuta mi sento di dire che abbiamo visto cose nuove e importanti, piazze con molta più gente, presenza crescente di giovani, tutte cose insomma che negli ultimi anni parevano indicare una stanchezza forte nei confronti di qualsiasi celebrazione pubblica. Capisco lo stato d’animo del sindaco di Lonigo anche se mi sento di dire che al suo posto avrei parlato lo stesso, se non altro per rispetto alle poche persone disposte ad ascoltare. Lo capisco, e tuttavia dopo un episodio del genere, bisogna che cominciamo tutti a crederci se facciamo abbastanza per far sì che la gente venga in piazza, se arriviamo fino ad informare i più giovani perché sono loro quelli a cui verrà dato il testimone delle cose storiche da ricordare. Da un lato credo che si faccia abbastanza, dall’altro penso che si debba fare ancora di più. Dico anche che dove c’è una consuetudine consolidata il problema non esiste non ci sono cali di partecipazione. Il che mi pare di aver constato un po’ dappertutto in provincia dove si è registrata come dicevo anche la presenza di molti giovani. Sono stato anche ad Altavilla il giorno 26 e lì ho trovato una grande partecipazione che ha incluso anche i ragazzi perché c’erano due scuole medie. E’ chiaro che bisogna prepararsi a che non sia tutto scontato. L’ANPI è pronta a collaborare con i sindaci che ci chiedano una mano per organizzare l’edizione del prossimo anno. Occorre pensarci e lavorare. Un 25 aprile che ritorni a coinvolgere la popolazione serve anche a cambiare la tendenza che si sta facendo largo in Europa. Pensiamo a quei ragazzi che da partigiani appena più che adolescenti sono morti combattendo per la libertà. La nostra preoccupazione deve essere quella di saper costruire una nuova cultura verso questi valori. Il tempo trascorso non ha molta importanza: rafforzarci nei concetti di libertà e democrazia servirà a noi, ma probabilmente servirà anche a tutte quella situazioni che in Europa sembrano viaggiare verso la direzione opposta”.
METTERCI LA FACCIA SENZA PAURE- È possibile che si debba all’esaurimento di una generazione il fatto che la festa della liberazione non sembri avere più il mordente di altri tempi? È sufficiente che se ne siano andati praticamente tutti quelli che della Liberazione sono stati testimoni diretti, coinvolti o no? La risposta è esattamente contraria. Gianfranco Refosco, segretario generale della CISL provinciale si pone la stessa domanda e subito si risponde con un no deciso: “Il tempo passa per tutti, ma non offre alibi a nessuno. La celebrazione di un avvenimento come la vittoria sul fascismo non può soffrire di limitazioni dovute al fatto che la generazione di quelli che ne sono stati protagonisti è praticamente esaurita. Non significa niente. Ho partecipato alla manifestazione di Vicenza ed ho ascoltato Emilio Franzina. L’ho apprezzato perché ha indicato i modi per non perdere contatto con queste date della nostra storia, è il modo della gente che ha coraggio e ci mette la faccia personalmente raccogliendo una eredità e rinnovandola per la propria parte e dentro il proprio tempo. Il vero problema che ci affligge è invece la convinzione che tutto sia scontato, compresa la libertà e la democrazia, mentre invece bisogna ricordare che nulla è scontato o regalato e che invece tutto va riguadagnato ogni giorno offrendo il proprio generoso contributo alla vita sociale che deve proseguire. Questo addormentamento generale è un rischio nel quale si cade sia facendo politica, sia facendo come nel mio caso sindacalismo. Ricordiamo con affetto la gente che ha pagato per assicurarci una vita migliore e contribuiamo anche culturalmente a costruire qualcosa di nuovo e di sensibile che venga capito per quello che vale. E’ questo che si deve fare, le polemiche e le piccinerie meschine non servono a niente, i battibecchi di Bulgarini d’Elci con la Donazzan sicuramente non importa a nessuno, passano nella completa indifferenza di quelli che dovrebbero secondo loro essere attenti a giudicare. Invece non interessano nessuno. Convinciamoci invece che il trascorrere inevitabile degli anni e l’ormai ridottissima pattuglia di testimoni diretti della lotta partigiana non può e non deve far dimenticare proprio niente, a cominciare da quei ragazzi coraggiosi e generosi che si sono sacrificati per tutti, quindi anche per noi arrivati tanto tempo dopo alla vita sociale e politica italiana. Questo conta, non le polemiche”.
NEL 1945 COMPIVA VENT’ANNI…- A proposito di generazione con pochi testimoni ancora disponibili: c’è Walter Stefani, per decenni alla guida dell’ufficio cultura di Palazzo Trissino, impiego comunale che aveva cominciato nel 1946, appena compiuto vent’anni. Il papà era morto in guerra e il Comune lo aveva chiamato a sostituirlo in quanto ne aveva diritto. Dovevano passare altri due giorni per veder arrivare a Vicenza gli americani e con loro anche i partigiani: “Fu la prima volta che li vedemmo perché in città non erano mai comparsi anche se sapevamo che in campagna e in montagna erano presenti come forza combattente. Tanti anni dopo non mi stupisco affatto che ci sia qualche caduta di attenzione o di indifferenza da qualche parte, è comprensibile se pensiamo che c’è sempre meno gente direttamente informata; rimane la generazione dopo la mia e poi c’è quella dei miei nipoti e pronipoti. Ma si capisce bene che per fare in modo che i più giovani siano attratti da certi princìpi e certe tradizioni come minimo bisogna informarli adeguatamente. Credo che sia una sciocchezza bella e buona pretendere di coinvolgere le scuole portandole alle manifestazioni senza prima aver impiegato un po’ di tempo a raccontare e spiegare. Finchè gli avvenimenti sono una eco lontana e poco delineata è inutile sperare che i ragazzi si facciano coinvolgere e partecipino. Basterebbe prendere lo spunto dalla giornata della Memoria. Per quella si è fatto il lavoro che mi auguro anche per la resistenza e la Liberazione: le scuole hanno avuto visite di reduci, di insegnanti, di ex internati nei campi di sterminio, per cui hanno saputo quel che c’era da sapere e nel momento in cui si è stabilito che quel dato giorno si sarebbe ricordato proprio quella storia tutti sapevano già perfettamente di che cosa si trattava e non sono rimasti a casa. Bisogna fare così, altrimenti è inutile lamentarsi della distrazione e del distacco che la gente manifesta nei confronti di certe ricorrenze, specie se sono i più giovani a rimanerne lontani”.
nr. 16 anno XXI del 30 aprile 2016