NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Quando in pista le donne ci andavano a turni

Sessant’anni dopo la costruzione del campo scuola di via Rosmini intitolato a Guido Perraro si è rinnovata tutta le struttura – Nei ricordi di Umberto Nicolai e degli atleti di allora le regole che il prof dettava senza contraddittorio: 1) gli allenamenti per la campestre si fanno tutt’attorno, nell’erba, 2) guai a chi pesta non in gara le corsie dell’atletica, 3) le ragazze possono allenarsi, sì, ma dalle 2 alle 4 e mezzo del pomeriggio (meglio se… in agosto)

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Quando in pista le donne ci andavano a turni

Eccolo. In anticipo su chiunque. Mai visto in macchina (comunque, non guidata da lui), sempre in bicicletta. C’era una liturgia fissa in quel momento saliente della giornata di allenamenti: la bici bloccata per sicurezza, l’ombrello fissato alla canna, il cappotto piegato stretto che trovava posto nel porta pacchi. Agli occhi della mia generazione era “vecchio” anche se con un’energia inesauribile; in realtà negli anni 60 Guido Perraro era forse appena più che quarantenne, ma basta e avanza ad un popolo di liceali con aspirazione atletica per determinare con un’occhiata senza pietà il distacco di generazione. Il prof Perraro è stato uno degli elementi centrali e indimenticabili della Vicenza di quell’epoca.

Il vescovo era Zinato, soprannominato Wanda (Osiris) per qualche suo atteggiamento lezioso; spietato con l’eventuale e inesorabile caduta di valori fu il più ardente oppositore di qualsiasi sala da ballo anche all’aperto, d’estate; sotto il suo governo la Diocesi non cessò mai di pubblicare in piazza l’elenco dei cinema con la classifica degli inguardabili. Quelli ammessi con tre asterischi si contavano sulle dita di una mano: cartoni animati, storie di santi, forse un paio di western, le comiche.

C’era poi il sindaco Giuseppe Zampieri, per dieci anni fino al ’58, l’uomo che si dovette caricare in spalla tutte le vergogne di un consiglio comunale poco colto, diciamo così, quello che dopo un’estenuante discussione ebbe il coraggio di rifiutare un regalo miliardario come il cavallo di Marini: lo scultore lo voleva nel pathio della Loggia del Capitanio, riconoscimento per la lotta antifascista di Vicenza, ma l’opposizione si dimostrò inflessibile e avendo qualche sventurato consigliere definito “un pinocchietto” quella stessa scultura poi andata ad arricchire il museo Rockefeller a New York, fece saltare la mosca al naso dello scultore che ritirò la “medaglia” e si portò altro il suo capolavoro.

Questa era la Vicenza in cui si muoveva Guido Perraro, uomo tutto d’un pezzo che interpretava il suo doppio ruolo di insegnante di educazione fisica (liceo Pigafetta) e di allenatore di atletica leggera -con un forte debole per le specialità veloci- nella stessa chiave di una missione che non ha alternative. Era il sacerdote celebrante di una funzione di grande qualità, brillante, durata anni, in cui quelli che dovevano diventare i veri protagonisti, i ragazzi in crescita, erano in realtà un complemento essenziale, ma su cui si doveva intervenire con la scienza della tecnica e anche della psicologia applicata. I ragazzi di allora vi raccontano storie memorabili: le simpatie ridottissime di numero che il prof manifestava per qualche virgulto promettente lasciando gli altri faccia a faccia con una disciplina di preparazione e comportamenti che non ammetteva alternative o distrazioni, quella sua dirittura di uomo all’antica che si muoveva soltanto in bicicletta, con le falde del cappotto e dei pantaloni strettamente imprigionate per non mandarle tra i raggi, col berretto e l’ombrello che appiccicava alla bici subito dopo il posteggio, con quel mazzo di chiavi perennemente nella mano destra che un po’ tintinnavano per attirare l’attenzione, mentre di volta in volta volavano verso il distratto di turno che subito tornava in sé.

Quando in pista le donne ci andavano a turni (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Il prof era inflessibilmente dedito al suo mestiere, mosso da una passione a prova di bomba. Nella sua gestione dei rapporti umani prevaleva il piglio autoritario perché “con questi che si allenano non ci sono debolezze dovute”, ma era anche l’interprete più rigoroso di un modo dell’esercitare il mestiere di insegnante andato in disuso perfino durante il suo stesso esercizio della professione. Magari tutti gli altri insegnanti fossero stati come lui. Non era così. E si trovò praticamente unico a predicare una morale del dovere che per i giovani funzionava, ma che per tutto il contorno in mutazione non aveva praticamente più alcun significato, se non come ricordo. Con il prof l’atletica di Vicenza targata Atletica Marzotto conobbe davvero momenti di gloria: dal nazionale Carlo Laverda (il staffetta con Preatoni Ottolina e Berruti) a Cazzola, da Amadori a Cappellina e al maratoneta olimpico Binato. I ricordi dei suoi ex allievi sono abbastanza compatti nel rilevarne la qualità di insegnante e di tecnico: “Se facevi il fesso era capace di mandarti a settembre in ginnastica, però è stato il primo a procurarsi le riviste tecniche americane e studiare i metodi di preparazione e le tabelle di avvicinamento alla migliore condizione per mandarci in gara”: questo lo dice Diego Cappellina velocista di qualità fino al momento della scelta e cioè lo studio e la professione. Ma le opinioni non sono tutte uguali: Angelo Cavalli, poi diventato tecnico e allora un valente mezzofondista, dice che lasciò Perraro perché gli aveva fatto delle promesse a condizione che corresse i 3000 in 10’30” ai campionati regionali di Padova: “Vinsi il titolo in 10’38” e questa differenza fece sì che non mi portasse con lui a Bologna come aveva promesso. Così tornai a casa, lavai la roba e gliela portai il giorno dopo pulita e stirata: Non ne volevo più sapere di quei metodi. Dopo ho fatto la mia strada e sono diventato tecnico. La sua gestione dei rapporti umani non era proprio il massimo…”.

L’altra parte di questo carattere non propriamente malleabile il Prof la destinava a bersagli predeterminati, precisi: intanto aveva una preferenza smodata per i velocisti che seguiva sempre più da vicino, ma nel suo decalogo, fitto di raccomandazioni tra l’altro anche su come tenere a bada le donne, c’era anche l’organizzazione oraria delle sedute di allenamento: le ragazze erano ammesse, sì, però separatamente dai maschi e per evitare commistioni di qualsiasi genere l’orario di allenamento per le donne era dalle 2 alle 4,30. Fuori da lì non si andava, fosse dicembre o fosse agosto. E altrettanto rigido si dimostrava nell’organizzare le attività sportive al campo scuola di via Rosmini: la pista di atletica e le pedane dei salti erano in terra rossa, ma una volta l’anno e poi per gli allenamenti circolavano anche gli atleti della campestre. C’era la proibizione assoluta anche soltanto di sfiorare pista e pedane e per evitare equivoci quando si allevano quelli della campestre nell’anello d’erba al di fuori del campo il Prof copriva le piste con delle corsie per l’attraversamento: niente buche, niente danni, terra rossa sempre intatta. Un giorno dopo l’altro, mentre continuava lo scambio delle leve dell’atletica di Vicenza, il Prof ha espresso quanto di meglio sia uscito da questa città nel settore dell’atletismo (l’altro deus ex machina della questione è stato Sergio Ceroni, concorrente in quanto capo tecnico dell’Atletica Fiamm), ha fuso in un’unica straordinaria prestazione di vita il doppio ruolo di allenatore e di insegnante. Esempio come pochi, rarissimo, e per questo ricordato con affetto da praticamente tutti.



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