E queste palline che vediamo in scena? Quando arrivano succede qualcosa di diverso. Rappresentano una conseguenza di ciò che fate oppure anticipano un’azione? La pallina introduce l’azione come se dovesse raccontarla in qualche modo, un po’ un coro ?
“Queste sfere che cadono sono un elemento estremamente astratto, quanto lo è questo tubo grigio che appare in scena. Secondo me questa scenografia ha la capacità di riuscire a non rappresentare nulla; quello che accade è sicuramente una frattura, per cui quando la pallina cade per terra, accade un cambiamento. Ci sono diverse interpretazioni che gli spettatori hanno dato, per noi è una sorta di allarme, di momento che è una conseguenza, è accaduta un’azione che si è rivelata troppo fuori da un disegno generale e riporta un po’d’ordine, questa pallina. Infatti ogni volta che c’è un momento più folgorante, si ritorna invece ad una dimensione più algida”.
Questo colore azzurro elegantissimo, poi queste luci bianche che tu hai dosato in modo che sembrino un po’ un tramonto in un’armonia molto fredda. Come ma hai scelto un momento della giornata come se fosse un tramonto di ghiaccio?
“In genere amo che l’illuminazione in scena si avvicini il più possibile a quella naturale, quindi senza andare su delle illuminazione artefatte. L’idea è appunto di avere questo tramonto certamente sui toni freddi, sul ghiaccio. Il calore viene solo verso la fine, per cui ci si scalda solamente alla fine quando non ci sono più sfere che cadono come un richiamo all’ordine. C’è un flusso impertinente che avviene in scena e che sconvolge veramente passando dal freddo al caldo”.
Nella coreografia ci sono delle parti in cui agite direttamente tra di voi, altre in cui siete un po’ognuno per conto proprio. È come se queste persone si trovassero in un luogo, si incontrassero per caso, sono comunque in sintonia, anche in confidenza e intimità perché tu le sciogli i capelli. Poi ci sono anche dei momenti in cui lei è in luce e c’è un orizzonte tra luce e ombra e tu sei su questo orizzonte. Come mai?
“Questa relazione tra me e Alessandra in scena è molto sottile: il passaggio, mi viene da pensare, è da un insegnante a un allievo, fratello e sorella, fino quando diventiamo quasi amanti. La relazione tra quest’uomo e questa donna muta, ma sempre con molta leggerezza, cura, che non si svela mai veramente. Nei lavori sui pianeti c’è l’idea che questi corpi in scena siano ospiti solitari di questo pianeta disabitato, a maggior ragione in “Venere”, che è un pianeta ostile che non facilita la scoperta, ci sono questi momenti di solitudine e contemplazione verso la Terra, una contemplazione che deve essere necessariamente solitaria per poter essere intima”.
E come mai sei finito sulla “dark side of Venus”?
“Volevo dare una profondità a questo entrare e uscire da questi orizzonti che delineano il palcoscenico e lo spazio di Venere, aiutano a esaltare una figura per farla scomparire nell’ombra e poi riemergere, come se una figura fosse bagnata dalla luce per poi invece ritirarsi”.
Un’onda.
“Esattamente”.
Alla fine c’è la scena dell’acqua e c’è questa luce calda, la scena si trasforma, c’è una musica più ritmata e rituale: è come se fosse cambiato addirittura il luogo che esprime una situazione con delle cifre diverse? È il luogo che assume una specie di personalità?
“È proprio la situazione che scende in un baratro”.
Un baratro luminoso però.
“Certo, il baratro non deve essere per forza scuro. È proprio una scena che diventa e pesante e allo stesso tempo ritmata e spezza completamente l’ordine e l’armonia delle forme iniziali, è un ribaltarsi completo di questo pianeta, do sconvolgimento che accade, quindi l’acqua, l’avvicinamento a questa fonte è una sorta di rivolta e la danza è più liberatoria”.
Per te è stato più difficile costruire e interpretare le parti diciamo più statiche oppure quella più liberatoria dove c’è più movimento?
“Ci sono difficoltà diverse perché nella prima parte chiedo a me stesso e ad Alessandra di essere rigorosi nella semplicità che però richiede grande preparazione, tecnica e grande concentrazione; da un momento all’altro i corpi devono fare un cambio completo, andare in un movimento tenuto e denso, che ha origini molto diverse, legato a questa specie di scossa. Trovo difficile non tanto l’uno o l’altro quanto il passaggio che deve avvenire in fretta”.
Stai facendo una trilogia sui pianeti: quanto sono importanti i colori che utilizzi? Qui abbiamo visto la dominante azzurra.
“Quello precedente è sempre azzurro ma è completamente nero, con luci molto più scure: in Venere c’è una luce costante, in Giove è luce e buio come se fosse un grande respiro, Marte invece è proprio rosso, con questo colore estremamente vibrante”.
nr. 17 anno XX del 7 maggio 2016