NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Pellegrini in viaggio: soffrire, come da contratto

Nuovo cammino della speranza dell’Unitalsi verso Lourdes: un migliaio di ammalati e duecento accompagnatori, tutti volontari, blindati in treno per 23 ore su un convoglio che non tiene minimamente in conto le condizioni fisiche già poco confortanti delle persone – Dalle carrozze di modello anni 70, ai servizi non funzionanti: perché incrudelire con altri patimenti? Risposta: la tribolazione supplementare è un… must, come un gioiello di moda

di Giulio Ardinghi

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Pellegrini in viaggio: soffrire, come da contratto

C’è una logica comprensibile in questo viaggiare verso i santuari? In un mondo dedito alle grandi fortune di pochissimi e alla pretese di moltissimi che le vorrebbero raggiungerle e superarle magari gratis, quale spazio hanno ancora questi avventurosi convogli che si muovono verso lunghi chilometraggi e sterminate durate di pesantissima percorrenza? Chi pensa realmente che nell’epoca dei treni superveloci decidere di chiudersi per 23 ore in una scatola risalente agli anni 70 -sei cuccette per scompartimento, guasti garantiti degli impianti di riscaldamento o di aria condizionata, varie ed eventuali difficoltà supplementari- possa essere interpretata come una scelta decente? Non soffrono abbastanza i pellegrini, età media compresa tra i 65 anni e gli 85 e più, sofferenti per malattie senza rimedio in gran parte, e comunque non in buona forma, tutti anziani, infermi e già molto provati dalla vita? La risposta è quasi al limite dell’umorismo, meglio: del sarcasmo. La fornisce con arguzia consueta Vincenzo Riboni, primario del pronto soccorso al San Bortolo, un medico che i pellegrinaggi li fa di continuo anche in proprio spendendo le sue ferie in Africa, o dove più è urgente, per dare il proprio contributo volontario oltre che professionale. Alla domanda risponde: pare che la tribolazione supplementare sia una specie di obbligo assunto, un debito da pagare senza emettere il minimo lamento, in caso contrario che dichiarazione di fede sarebbe? Come dire: non vanno a pregare la Vergine? Per cui tra le preghiere ci può essere anche questa, di offrire tutti questi disagi in omaggio alla prospettiva di uno stato di esistenza un po’ meno travagliato. Insomma: la tribolazione è un passaggio obbligatorio, quasi un oggetto di moda, quasi un must, quasi un Cartiér.
Pellegrini in viaggio: soffrire, come da contratto (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Va da sé, se proseguiamo nel ragionamento, che trionfi il legame pericolosamente logico e quindi inattaccabile esistente tra la sofferenza di chi è ammalato, il viaggio che intraprende alla ricerca di un conforto possibile, il disagio totale quanto a mezzi tecnici utilizzabili, nonché i tempi e le condizioni di trasferimento verso i santuari. Se già uno è votato alla sofferenza che la malattia gli infligge, recita questa logica ermetica, quali problemi avrà ad aggiungerci qualche grammo come estremo contributo personale in vista del risultato? Tanto, si sa benissimo che sta andando in cerca di guarigione o quanto meno di conforto in quella che è la forse più autentica casa della speranza: Lourdes in particolare è il luogo dei luoghi, la meta delle mete, se c’è un nome capace di evocare tutte assieme le storie di speranza estrema che attraverso molti decenni sono arrivate fino ai nostri giorni quel nome è appunto Lourdes. È lì, davanti a quella grotta, quasi sull’argine di quel torrente, che ciascuno può davvero spogliarsi di tutte le domande della logica che si scontrano frontalmente con il mistero del dialogo intessuto da Bernadette e si può dedicare semplicemente alla preghiera e alla contemplazione. Anche troppo chiaro che a questa umanità sofferente magari da lunghissimo tempo e forse appunto per questa ragione oramai assuefatta, sofferente quasi per… contratto, sia il bersaglio più facile da parte della cosiddetta secolarità, quei meccanismi brutali che comunque e sempre la spiritualità sono abituati a relegarla nello stanzino delle scope magari estraendoli una volta l’anno per riutilizzarli a beneficio delle masse più impressionabili perché fa bello recitare in pubblico la parte del devoto di turno.
Come si esplica questo simpatico e insondabile cinismo che permea lo sguardo di chi in pellegrinaggio non ci andrà mai, neppure pagato, dal momento che si trova occupato giorno dopo giorno a fare soldi il più possibile per inseguire e raggiungere quelli che di soldi ne hanno e ne avranno sempre, comunque con quantità infinitamente più importanti, cioè gli irraggiungibili per definizione? La risposta è nel meccanismo quasi infernale che scatena l’invidia verso chi si ritiene sia colpevolmente più fortunato dato che il conto in banca lo dimostra ampiamente: se si è tanto immersi in questo brodo di speranze mal riposte e di prospettive che continueranno ad andare deluse, ci si può porre ragionevolmente la domanda se, quando, perché e in quali condizioni milioni di persone continuino da molti decenni a darsi come meta il santuario di Lourdes con l’obiettivo di acquistare speranza anziché voler riempire la cassaforte. E sulla stessa linea di ragionamento troviamo una spiegazione anche alla totale indifferenza delle istituzioni pubbliche -le ferrovie dello Stato, tanto per non far nomi- nei confronti del vero nocciolo del problema che è rappresentato dalle condizioni di viaggio. Viaggio non gratuito: ciascuna persona paga 550 euro per il treno, oltre 600 per il viaggio in bus, 750 per l’aereo.
Ma provate ad immaginate che cosa sia un trasferimento Vicenza-Lourdes su rotaia: 23 ore di viaggio, 6 cuccette per ogni scompartimento, una situazione logistico/civile difficilmente sopportabile se si pensa al disagio, alla ristrettezza degli spazi, alla sofferenza di cui ciascuno è titolare unico anche molto prima di partire. Perché il vero problema almeno finora è quello dei treni che le ferrovie mettono a disposizione dei pellegrinaggi: treni anni 70, scompartimenti chiusi e stretto corridoio che li percorre, servizi igienici scadenti, riscaldamento o aria condizionata che funzionano quando vogliono.

C’è una logica comprensibile in questo viaggiare verso i santuari? In un mondo dedito alle grandi fortune di pochissimi e alla pretese di moltissimi che le vorrebbero raggiungerle e superarle magari gratis, quale spazio hanno ancora questi avventurosi convogli che si muovono verso lunghi chilometraggi e sterminate durate di pesantissima percorrenza? Chi pensa realmente che nell’epoca dei treni superveloci decidere di chiudersi per 23 ore in una scatola risalente agli anni 70 -sei cuccette per scompartimento, guasti garantiti degli impianti di riscaldamento o di aria condizionata, varie ed eventuali difficoltà supplementari- possa essere interpretata come una scelta decente? Non soffrono abbastanza i pellegrini, età media compresa tra i 65 anni e gli 85 e più, sofferenti per malattie senza rimedio in gran parte, e comunque non in buona forma, tutti anziani, infermi e già molto provati dalla vita? La risposta è quasi al limite dell’umorismo, meglio: del sarcasmo. La fornisce con arguzia consueta Vincenzo Riboni, primario del pronto soccorso al San Bortolo, un medico che i pellegrinaggi li fa di continuo anche in proprio spendendo le sue ferie in Africa, o dove più è urgente, per dare il proprio contributo volontario oltre che professionale. Alla domanda risponde: pare che la tribolazione supplementare sia una specie di obbligo assunto, un debito da pagare senza emettere il minimo lamento, in caso contrario che dichiarazione di fede sarebbe? Come dire: non vanno a pregare la Vergine? Per cui tra le preghiere ci può essere anche questa, di offrire tutti questi disagi in omaggio alla prospettiva di uno stato di esistenza un po’ meno travagliato. Insomma: la tribolazione è un passaggio obbligatorio, quasi un oggetto di moda, quasi un must, quasi un Cartiér.

Pellegrini in viaggio: soffrire, come da contratto (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Va da sÈ, se proseguiamo nel ragionamento, che trionfi il legame pericolosamente logico e quindi inattaccabile esistente tra la sofferenza di chi è ammalato, il viaggio che intraprende alla ricerca di un conforto possibile, il disagio totale quanto a mezzi tecnici utilizzabili, nonché i tempi e le condizioni di trasferimento verso i santuari. Se già uno è votato alla sofferenza che la malattia gli infligge, recita questa logica ermetica, quali problemi avrà ad aggiungerci qualche grammo come estremo contributo personale in vista del risultato? Tanto, si sa benissimo che sta andando in cerca di guarigione o quanto meno di conforto in quella che è la forse più autentica casa della speranza: Lourdes in particolare è il luogo dei luoghi, la meta delle mete, se c’è un nome capace di evocare tutte assieme le storie di speranza estrema che attraverso molti decenni sono arrivate fino ai nostri giorni quel nome è appunto Lourdes. È lì, davanti a quella grotta, quasi sull’argine di quel torrente, che ciascuno può davvero spogliarsi di tutte le domande della logica che si scontrano frontalmente con il mistero del dialogo intessuto da Bernadette e si può dedicare semplicemente alla preghiera e alla contemplazione. Anche troppo chiaro che a questa umanità sofferente magari da lunghissimo tempo e forse appunto per questa ragione oramai assuefatta, sofferente quasi per… contratto, sia il bersaglio più facile da parte della cosiddetta secolarità, quei meccanismi brutali che comunque e sempre la spiritualità sono abituati a relegarla nello stanzino delle scope magari estraendoli una volta l’anno per riutilizzarli a beneficio delle masse più impressionabili perché fa bello recitare in pubblico la parte del devoto di turno.

Come si esplica questo simpatico e insondabile cinismo che permea lo sguardo di chi in pellegrinaggio non ci andrà mai, neppure pagato, dal momento che si trova occupato giorno dopo giorno a fare soldi il più possibile per inseguire e raggiungere quelli che di soldi ne hanno e ne avranno sempre, comunque con quantità infinitamente più importanti, cioè gli irraggiungibili per definizione? La risposta è nel meccanismo quasi infernale che scatena l’invidia verso chi si ritiene sia colpevolmente più fortunato dato che il conto in banca lo dimostra ampiamente: se si è tanto immersi in questo brodo di speranze mal riposte e di prospettive che continueranno ad andare deluse, ci si può porre ragionevolmente la domanda se, quando, perché e in quali condizioni milioni di persone continuino da molti decenni a darsi come meta il santuario di Lourdes con l’obiettivo di acquistare speranza anziché voler riempire la cassaforte. E sulla stessa linea di ragionamento troviamo una spiegazione anche alla totale indifferenza delle istituzioni pubbliche -le ferrovie dello Stato, tanto per non far nomi- nei confronti del vero nocciolo del problema che è rappresentato dalle condizioni di viaggio. Viaggio non gratuito: ciascuna persona paga 550 euro per il treno, oltre 600 per il viaggio in bus, 750 per l’aereo.

Ma provate ad immaginate che cosa sia un trasferimento Vicenza-Lourdes su rotaia: 23 ore di viaggio, 6 cuccette per ogni scompartimento, una situazione logistico/civile difficilmente sopportabile se si pensa al disagio, alla ristrettezza degli spazi, alla sofferenza di cui ciascuno è titolare unico anche molto prima di partire. Perché il vero problema almeno finora è quello dei treni che le ferrovie mettono a disposizione dei pellegrinaggi: treni anni 70, scompartimenti chiusi e stretto corridoio che li percorre, servizi igienici scadenti, riscaldamento o aria condizionata che funzionano quando vogliono.

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