Dopo l’esordio di un paio d’anni fa con Cielo Fosco, il vicentino Giusepe Frigo pubblica in questi giorni un nuovo romanzo giallo, L'uomo con la calza (AltroMondo editore, Vicenza), ambientato tra Rovere, paese immaginario sull'Altopiano di Asiago, e Padova in un continuo spostamento temporale tra presente e flashback anni '70. Matteo Zanoni, poliziotto e recalcitrante testimone in un caso di omicidio che coinvolge tre colleghi, viene ferito durante una sparatoria. Durante alcune sedute di psicoterapia con un'affascinante psicologa, obbligatorie per la riammissione in servizio, riaffiora il ricordo di un incubo ricorrente che lo perseguitava durante la sua infanzia, trascorsa in gran parte in un paesino dell'Altopiano negli anni '70. Con il riemergere del ricordo, qualcuno, del tutto simile al protagonista dell'incubo, inizia a compiere efferati delitti. Nel frattempo Sergio Metelli, ispettore ministeriale, riesce a convincere Matteo a testimoniare contro i tre colleghi, dopo un'indagine negli ambienti più degradati della città, che lo ha portato a comprendere come quello che sembra un semplice caso di eccesso di mezzi di coercizione nasconda aspetti ben più drammatici. Che cosa lega gli incubi infantili di Matteo e la sua famiglia materna, i Fosco di Rovere, con l'indagine di Metelli? Matteo avrà bisogno di tutto l'aiuto dell'avvenente psicologa Clara Polsinetto per comprendere l'origine dell'incubo, aiuto che andrà ben oltre i suoi normali doveri. Un thriller psicologico dove vicende familiari vissute in un paese del Vicentino raccontate attraverso flashback si intrecciano con storie di corruzione e violenza nella Padova odierna, fino al sorprendente epilogo in cui la verità si scontra con la menzogna e l'amore con la morte. Il libro sarà presentato per la prima volta a Vicenza giovedì 30 giugno alle 18.30 alla Qu.Bi. Gallerry nel palladiano Palazzo Valmarana Braga in corso Fogazzaro 16.
La prima doverosa precisazione che l'autore fa è che il paese di Rovere non esiste. Allo stesso modo non esiste una famiglia Fosco sull'Altopiano di Asiago. Perché prendersi la briga di una tale invenzione? Se uno scrittore scrive che è stato ucciso il signor Mario Rossi a Milano nessuno ha nulla da dire, perché Milano è enorme e ci sarà più di un Mario Rossi. Se però si trova a descrivere vicende che dovrebbero accadere in un paesino dell'Altopiano, le cose si complicano. I paesi sono piccoli e le famiglie si conoscono tutte. Ecco perché - dice Frigo - per evitare equivoci da parte di chi avrebbe cercato una corrispondenza tra i fatti narrati e la realtà delle famiglie altopianesi, ho deciso di creare un paese immaginario, molto simile a quelli che conosco. E i Fosco? Qualche tempo fa mi capitò per le mani un articolo in cui si parlava delle famiglie scomparse dall'Altopiano. Tra queste risultavano i Fosco. Dal momento che il primo romanzo si intitolava Cielo Fosco, l'autore ha pensato di utilizzare quel cognome per i personaggi del secondo libro. E perché scegliere Padova come ambientazione principale? Frigo è legato a Padova perché è il luogo in cui ha compiuto gli studi universitari, in cui ha passato forse gli anni più importanti della gioventù, ma soprattutto perché si prestava molto meglio di Vicenza alla narrazione. Qualche anno fa Padova finì sotto i riflettori della cronaca nazionale per gli episodi di criminalità in Via Anelli e per la decisione dell'allora sindaco Zanonato di creare una sorta di muro per separare il centro della città dalle sue zone più degradate. Dovendo quindi scegliere una città che fosse adatta a narrare le vicende del romanzo, soprattutto la situazione di degrado di alcuni quartieri dove la malavita la fa da padrona e rimanendo nell'ambito veneto, le due città migliori non potevano che essere Verona, anch'essa nota per essere stata una delle più importanti centrali di spaccio della droga a livello europeo, o Padova. Ho scelto quest'ultima sia perché la conoscevo meglio, sia perché più vicina all'ambiente altopianese: non a caso l'Altopiano, pur ricadendo praticamente sotto il controllo politico-amministrativo di Vicenza, risulta dipendere dalla diocesi di Padova.
Nel romanzo - non solo un giallo, tiene a precisare Frigo - viene dato un gran risalto al cambiamento della società avvenuto in poche generazioni. Nonostante un'idea diffusa secondo la quale i grandi cambiamenti in Italia sarebbero avvenuti con il boom economico a partire dal 1955, boom che in realtà riguardò inizialmente più che altro il Piemonte e la Lombardia, mentre nelle città più piccole di provincia, e nei paesi, tali cambiamenti furono molto più lenti. L'idea che negli anni '70 potessero ancora esserci tre o quattro nuclei familiari che vivevano in case con un solo bagno comune potrà apparire incredibile ai più giovani, eppure si tratta di una situazione assolutamente realistica. Anche la famiglia era diversa. "Se la gente della mia generazione - dice Frigo - è stata abituata ai pantaloni lunghi fin da piccoli, alla paghetta settimanale e ai nonni amorevoli più buoni e generosi dei genitori, basta chiedere a quelli nati solo qualche anno prima per scoprire come i bambini di quell'epoca portassero i pantaloni corti a volte anche d'inverno, non avessero idea di cosa fosse la paghetta e sapessero che al nonno prima di tutto si doveva portare rispetto. Anche il modo di educare i bambini con durezza richiama una mentalità arcaica che già negli anni '70 stava scemando, pur essendo lontana l'epoca in cui si finiva in questura per una sberla data alla figlia sedicenne rientrata a casa all'alba. Mia madre mi raccontava a volte dei metodi discutibili che si utilizzavano nelle scuole elementari con gli allievi indisciplinati: schiaffi o l'obbligo di pregare inginocchiati sui grani di riso - punizione toccata una volta a uno dei miei zii -. È normale quindi che il nonno Sigismondo e la zia Ersilia, nel romanzo, siano convinti che l'uso di mezzi piuttosto rigorosi per punire i bambini sia non solo necessario, ma addirittura utile per migliorare il carattere dei bimbi. Il romanzo compie poi un balzo di quarant'anni e ci porta nell'epoca attuale. Sembra di vivere su un altro pianeta. Anche la popolazione è cambiata a causa dell'arrivo di qualche milione di extracomunitari. Nelle città la situazione dell'ordine pubblico è peggiorata e in alcuni quartieri delle grandi città le bande di spacciatori la fanno da padrone, molto peggio di quello che si poteva immaginare in un qualsiasi poliziesco degli anni '70. Quasi tutti hanno l'auto, ci sono i computer e le indagini di polizia si fanno con mezzi moderni. Le famiglie non sono più indivisibili e i divorzi non si contano. Non è assolutamente strano per un uomo andare dallo psicologo, nemmeno quando questi è una bella donna. In sostanza è un mondo totalmente diverso, ma è difficile dire se sia migliore o peggiore. Più che altro sembra molto più incerto".
A Frigo abbiamo rivolto alcune domande sul suo nuovo romanzo.