NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Gli alpini accusano: forse diamo fastidio

Il presidente del Gruppo ANA di Vicenza Luciano Cherobin esprime forti dubbi sulla sopravvivenza delle penne nere una volta che si saranno esaurite le ultime generazioni della leva obbligatoria: “La nuova legge sul volontariato che nella prima stesura ci comprendeva ci esclude nella seconda; vuol dire che si preferisce fare a meno del nostro importante contributo gratuito e generoso sempre e dappertutto per lasciare mano libera alla protezione civile? Il fatto è che noi siamo un elemento portante proprio della protezione civile, e allora?”

di Giulio Ardinghi

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Gli alpini accusano: forse diamo fastidio

Undici anni sono tanti. Dall’abolizione della leva obbligatoria nel 2005 è saltata la chiamata al servizio militare che prima coinvolgeva in tre scaglioni che complessivamente producevano a seconda dell’anno da 750 a 800mila giovani sotto le armi; oggi gli organici sono diventati professionali e volontari e non arrivano a 160mila unità. Diciamo pure che al di là delle motivazioni di tipo sociale e civile che portarono all’abolizione del servizio militare in questo periodo si è andata maturando una nuova situazione che ha di fatto congelato il vecchio meccanismo degli organici ad una situazione progressivamente sempre meglio delineata. E se le motivazioni hanno un fondamento le conseguenze che ne derivano risultano particolarmente pesanti per tutti quei Corpi militari che nella loro storia hanno radici precise e preziose. Primi tra tutti gli alpini, che alle spalle hanno una storia di compattezza e generosità che prescinde di gran lunga da qualsiasi pratica militare perché si radica appunto sulla generosità e gratuità degli interventi, tanto che quando durante e dopo il terremoto del Friuli nacque la prima organizzazione di protezione civile altro non fu che un massiccio arruolamento civile di penne nere perché si organizzassero per ogni eventualità al servizio della società e quindi dello Stato.

L’anno scorso è stata avanzata una prima proposta di legge sul volontariato; regola le attività di quello che definisce il “volontariato universale” secondo una scaletta di doveri ed obblighi di approccio assolutamente comprensibili. Nella prima stesura era previsto che ci fossero anche gli alpini, ma nella seconda gli alpini sono spariti, non ci sono più, cancellati forse per distrazione –ma sembrerebbe davvero una svista incomprensibile- mentre in realtà si sospetta che si tratti di una scelta molto meditata anche se pare difficile capirne le ragioni. Di questo sono convinti gli alpini fino al punto di aver affidato alla loro associazione nazionale (l’ANA soltanto a Vicenza e provincia ha oltre 30mila tesserati) che molto da vicino ha seguito e sta seguendo l’iter della proposta di legge. Nonostante le molte attenzioni, però, i parlamentari che pure si erano dichiarati assolutamente vicini al problema debbono essersi distratti a loro volta e l’Associazione Nazionale Alpini si ritrova al punto di partenza con la preoccupazione che tutte le proprie attività vengano vanificate da una legge che non regolamenti tra gli altri volontari anche le penne nere.

C’è da domandarsi peraltro quali sono questi “altri volontari”: chi sono e da quali organizzazioni provengono, e quale organizzazione e potenzialità di intervento hanno? Perché se parliamo della protezione civile nei termini tecnici di parco mezzi e capacità di tempestività negli interventi sui luoghi di una calamità è stato dimostrato anche nell’ultimo terremoto di agosto che le cose sono migliorate notevolmente e che la rapidità di intervento è aumentata fino quasi alla perfezione. Ma se parliamo di altre operazioni sul luogo di una catastrofe, allora ci piacerebbe sapere chi è in grado di arrivare in poche ore e con l’organizzazione degli alpini che portano cucina da campo, ospedale, tende, eccetera. Da cui si deduce che la legge deve tener conto di questa realtà.

Gli alpini accusano: forse diamo fastidio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)IL NOSTRO DIFETTO? NON PRODUCIAMO VOTI…- Nell’ambito degli alpini c’è una forte preoccupazione per questa situazione. Favorita prima di tutto dall’abolizione della leva obbligatoria che ha cancellato le coscrizioni lasciando alla firma civile e volontaria per l’ANA le forze ancora disponibili, quel che se ne ricava ora, dopo undici anni, è una statistica in cui è costante e normale il calo degli organici. Luciano Cherobin, presidente dell’ANA Vicenza, 22mila iscritti, dice che il problema è proprio quello dell’esaurimento generazionale, dal momento che i ricambi non ci sono, non comunque alla maniera del periodo in cui la leva esisteva ancora. Esaurimento generazionale, aggiunge Cherobin, ed età media dei tesserati: “Ovviamente non può che aumentare. Lo vedo tra i nostri dirigenti: siamo sempre più anziani e non credo che sia stato inventato il modo per rovesciare questa tendenza, assolutamente naturale. Il risultato tuttavia è molto preoccupante perché se la nuova legge che verrà esclude gli alpini dal volontariato resterà ben poco da fare, non ci sarà più spazio e andremo ad esaurimento progressivo. Considero questa ipotesi del tutto assurda anche perché a parte i meriti che gli alpini hanno messo assieme nel loro stare vicino alla gente nella logica attuale del volontariato ci sono già obblighi per cui tutti dobbiamo partecipare a riunioni quasi settimanali di protezione civile prima di essere autorizzati a compiere interventi. Mi delude soprattutto, e fa male a tutti noi, questa situazione di incertezza nella quale veniamo tenuti da chi sta intanto decidendo sulla testa di tutti. Da imprenditore sono abituato ad affrontare i problemi quando si presentano, non sono abituato a sfuggirli e nemmeno a far finta di considerarli per poi non fare niente. Nessuno considera che i momenti di un dopo catastrofe sono vitali: prima la burocrazia che interviene a rischio di blocco di tutto, poi la ricostruzione. Ed è lì che ci siamo sempre. Gli alpini sono costantemente presenti e lo hanno dimostrato centinaia di volte in modo inequivocabile. Se non ci vogliono più basta dirlo, a patto che sia data una spiegazione credibile. Ora come ora la mia, la nostra spiegazione è che le penne nere siano troppo liberi e distaccati dalla politica; non facciamo massa elettorale e su richiesta di chi ha bisogno di aiuto noi interveniamo subito, chiunque sia a chiamarci. Non vediamo i colori dei partiti, non ci interessa scegliere se aiutare o no a seconda della tessera di partito di chi ci chiama. Detto questo, se questa è la ragione, ho brutte previsioni. Non avendo nulla da dare sul piano dell’appoggio elettorale, non possiamo essere considerati massa critica di sostegno e quindi la nostra fine sembrerebbe già segnata, per esaurimento generazionale…”.

VOLONTARIATO E BUROCRAZIA- Torniamo al mondo del volontariato che vede la provincia di Vicenza in primissimo piano nazionale: i volontari sono qualcosa come duecentomila raccolti in oltre trecento associazioni. Quelli che fanno parte effettivamente della Protezione civile sono oltre tremila e di diverso dagli altri hanno semplicemente un’autorizzazione ad agire in squadra che ottengono dopo corsi e procedimenti di formazione. È così che scatta l’operatività nel momento in cui si verificano le condizioni inequivocabili di una condizione di emergenza di qualsiasi natura, dal terremoto alle alluvioni, dai grandi incendi alle operazioni di soccorso. C’è sempre un centro di controllo e coordinamento di cui si deve occupare la Provincia, ma è chiaro che senza i volontari non si farebbe proprio niente. A partire dai cinquecento alpini dell’ANA che rappresentano il gruppo più omogeneo per appartenenza e che sono reclutati oltre che in questa provincia anche nel trevigiano e nel padovano, l’esercito dei soccorritori per scelta si muove secondo progetti ed esigenze che variano naturalmente al variare della specificità dell’evento, ma che comunque mantengono sempre la caratteristica principale di un lavoro corale che viene eseguito per la pubblica utilità ed a vantaggio di chi ha bisogno di aiuto in caso di emergenza. Non sempre i rapporti con la burocrazia sono ideali: vedremo lungo il discorso che nel caso di lavoratori dipendenti prestati secondo la legge alle operazioni della protezione civile, è assicurato il mantenimento del posto di lavoro e la relativa retribuzione, ma il datore di lavoro che non si può sottrarre a concedere il permesso e che ha il diritto per legge ad aspettarsi il rimborso in denaro per quanto ha pagato senza prestazioni del dipendente, il suo rimborso lo ottiene in un periodo tanto lungo da non sembrare neppure credibile: da tre a quattro anni. È il vezzo di una burocrazia senza scrupoli che riserva alle prestazioni per la pubblica utilità un trattamento particolarmente irritante; basti dire che un sindacato come la CISL per le sue attività di patronato sindacale nel settore dell’assistenza sociale aspetta il dovuto più o meno da tre anni: a fine 2015, si sperava ancora nel saldo dei rimborsi per le attività svolte nel 2012. Tanto per dire come stanno le cose, al di là delle parole e delle dichiarazioni dei politici che a livello regionale e nazionale dovrebbero porre riparo a questa situazione ed evidentemente ancora non lo hanno fatto.



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