La 165ª indagine congiunturale di Confindustria Vicenza, riguardante il terzo trimestre 2024, mette in luce un quadro preoccupante dell’industria manifatturiera vicentina la quale, essendo caratterizzata da una grande varietà di settori e da una strettissima interconnessione con le filiere internazionali (Vicenza è la prima provincia d’Italia per export pro-capite), anticipa spesso i trend nazionali.
Il settore manifatturiero vicentino prosegue, infatti, la sua fase di debolezza, segnando un calo della produzione industriale del 4% rispetto allo stesso periodo del 2023.
Una contrazione della produzione che prosegue ininterrotta dal secondo trimestre 2023, raggiungendo il record negativo di sei trimestri consecutivi di calo, toccato precedentemente solo in occasione della crisi del 2012 (quando la produzione fece segnare numeri negativi per tutto l’anno e poi per il primo semestre del 2013).
Laura Dalla Vecchia, Presidente di Confindustria Vicenza: “Questo peggioramento continuo dimostra quanto il nostro sistema produttivo stia soffrendo, tanto è vero che nei primi 9 mesi del 2023 abbiamo tante richieste di cassa integrazione quante quelle di tutto il 2023. Bisogna stare molto attenti a bearsi dei record di occupazione, perché rischiano di essere specchietti per le allodole. Dal 2021, vengono conteggiati come occupati anche coloro che sono in cassa integrazione da meno di tre mesi e questo, da una parte falsa ogni confronto con i dati precedenti; dall’altra rischia di dare l’impressione che tutto vada bene e di non dover intervenire quando invece, come in questo caso, i segnali di un potenziale calo dell’occupazione ci sono tutti, purtroppo. Perché chi è in CIG oggi, se non si inverte marcia in Italia ed Europa, non è detto che rientri in azienda, prima o dopo un trimestre di cassa. Senza contare che il contributo del lavoro al PIL non è uguale per tutti. Il valore aggiunto nella manifattura e quello nella PA, per esempio, è certificato dai dati che sono di gran lunga diversi. Non siamo più, per fortuna, nell’epoca dell’uno vale l’altro. Se pensiamo di campare di burocrati, spiagge e taxi, abbiamo sbagliato tutto.
Ci serve una scossa, perché sono drammaticamente arrivati al pettine i nodi derivanti dalle scelte scellerate della Commissione Europea, in primis a livello di Green Deal ma non solo, e non regge più la falsa narrazione di un Paese, il nostro, che viene dipinto come fosse alla vigilia di un nuovo boom economico, quando invece la crescita è dello 0,4% e il ministro delle finanze è costretto a sforzi titanici per chiudere la legge di bilancio senza sfasciare ulteriormente i conti. Senza, peraltro, che al contempo si prevedano misure che diano una spinta all’economia nazionale”.
Naturale conseguenza di questo ulteriore calo è l’aumento della percentuale di aziende che segnalano un calo della produzione, salita al 47% dal 45% del secondo trimestre. Parallelamente, la quota di imprenditori che hanno segnalato aumenti produttivi è scesa dal 27% al 22%.
La sensazione di incertezza e di insufficienza produttiva è ben presente tra gli imprenditori, con il 41% delle aziende che denuncia un livello produttivo insoddisfacente, seppur in leggero miglioramento dal 48% del secondo trimestre.
MERCATO INTERNO ED EXPORT
Il mercato interno ha registrato un calo del 5,3%, segno di una domanda interna in fase di rallentamento.
Anche l’export verso i Paesi dell’Unione Europea non mostra segni di ripresa, segnando un -2,8% rispetto al terzo trimestre del 2023.
Tuttavia, l’unico dato positivo è rappresentato dalle esportazioni verso i Paesi extra-UE, che crescono del 3,5% per il secondo trimestre consecutivo, nonostante il contesto internazionale fortemente instabile.
“Le aziende che riescono a mantenere un trend positivo sulle esportazioni extra-UE rappresentano la grande capacità di superare barriere commerciali e geopolitiche delle nostre ‘multinazionali tascabili’ – prosegue Dalla Vecchia -. Tuttavia, non possiamo fare affidamento solo su questo: urge un ripensamento sia a livello locale, con azioni che puntino sulla crescita della produttività in tutti i settori del Paese; ma soprattutto a livello continentale. Ancor più se si confermassero i timori verso un aumento dei dazi e un inasprimento delle contrapposizioni tra blocchi, che vanno assolutamente scongiurati.
Aspetti su cui l’Europa, ancora una volta, non sta giocando alcun ruolo se non quello del vaso di coccio tra vasi di ferro. Condivido la preoccupazione e l’esortazione di Macron in occasione della quinta riunione della Comunità politica europea, ovvero che, come continente, dobbiamo darci una svegliata e difendere i nostri interessi. E la testa d’ariete dovrebbe essere la Presidente von der Leyen che finora non si dimostrata né decisa né pragmatica”.
ORDINI, LIQUIDITÀ E INCASSI
Proseguendo nell’analisi della consistenza degli ordini dell’industria vicentina, il 52% delle aziende ha registrato una diminuzione, a fronte di un 28% che ha mantenuto la stabilità e di un 20% che ha segnalato una crescita. Il saldo negativo, pari a -32, evidenzia una dinamica in peggioramento rispetto al -29 del secondo trimestre 2024.
Nonostante il contesto difficile, una lieve nota positiva riguarda l’estensione del periodo di lavoro assicurato oltre i tre mesi, riportata dal 21% delle aziende, rispetto al 18% del trimestre precedente.
Sul fronte della liquidità, si osserva un leggero miglioramento, con il 15% delle aziende che segnala tensioni, in calo rispetto al 20% del trimestre precedente.
Tuttavia, i ritardi negli incassi risultano ancora presenti per il 18% delle aziende, in aumento rispetto al 16%.
OCCUPAZIONE E PREZZI DELLE MATERIE PRIME
Il mercato del lavoro ha subito un’ulteriore contrazione dell’1% su base annua, con il 23% delle aziende che ha ridotto il proprio personale, mentre il 66% lo ha mantenuto stabile e l’11% lo ha aumentato.
I prezzi delle materie prime hanno registrato un aumento del 3,1% rispetto al terzo trimestre del 2023, mentre quelli dei prodotti finiti sono cresciuti dello 0,4%.
“Questi incrementi – spiega la Presidente di Confindustria Vicenza - aggiungono pressione sui costi per le imprese, già provate dall’incertezza economica e da un costo dell’energia significativamente più alto rispetto a quello di Stati Uniti e Cina.
Nel suo rapporto sulla competitività dell'Unione Europea, Draghi ha sottolineato come questo differenziale di costo incida negativamente sulla competitività delle imprese europee e anche come gli obiettivi di decarbonizzazione dell'UE siano più ambiziosi rispetto a quelli dei suoi concorrenti, creando costi aggiuntivi per l'industria continentale.
Se non si riparte da questo, la sfida esistenziale l’Europa sta affrontando, sempre citando il Presidente Draghi, siamo destinati a perderla.
Per evitare un’ulteriore deindustrializzazione, l’Europa deve rivedere le tempistiche della transizione energetica, abbandonando le attuali posizioni ideologiche e tornando a poggiare i piedi per terra. Dobbiamo salvaguardare il nostro sistema produttivo, che è il cuore dell’economia vicentina e italiana ed europea”.