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A spasso per Barcellona, rapiti dalla Sagrada Familia

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A spasso per Barcellona, rapiti dalla Sagrada Fami

Ma Barcellona, così come tutto il resto della Spagna, digerisce tranquillamente ogni cosa, nuova nuovissima o vecchia, applicando scrupolosamente quella sua regola d'oro che tutto fa brillare: una vitalità senza limiti disposta a vedere, annotare, lavorarci sopra, migliorare e alla fine mettere regolarmente a frutto.

Non guasta neppure come in questo caso, che Jon faccia da partner affiancatore ad una festa catalana per quattrocento persone, con i lunghissimi tavoli messi in lungo parallelamente all'ingresso della Sagrada, l'ingresso del cipresso; si mangia e si beve senza percorsi obbligati e senza stop di sorta, senza carta di identità o passaporto: è una festa con banda e sbandieratori, saltimbanchi e majorettes, per ricordare che siamo in Catalogna e che qui delle tradizioni e dei buoni usi di una cultura e di una lingua orgogliosamente praticate fin dalle materne non ci si dimentica un momento, nemmeno alla toilettes. Tutto assieme, ottoni azzardati nelle note incerte e magia del blues si mischiano. Nessuno batte ciglio, nessuno torce il naso.

La mistura non disturba, entra nel gioco, anzi stimola e apre altre porte ancora, come nei labirinti del luna park. La Sagrada Familia e Gaudì, il blues e Jon, la gente che fa festa e la gente che ritma un pezzo di Bob Marley. Ma quando si usa mischiare così, in perfetta libertà di fantasia, finisce che si spalancano gli accessi ad altro, a molto altro.

Se sul lato nord c'è Jon, con al centro i biancoverdi celebratori delle usanze catalane, sul lato sud un esercito di caschi gialli ha inciso a fondo e con perfetta precisione la strada che perimetra da quella parte la Sagrada; frastuoni e impegno che sono tutto l'opposto del progetto superelastico di Gaudì. Su questo versante lo stato di avanzamento viaggia scandito dal cronometro. Non si scherza. "Lavoriamo per l'alta velocità, scusate il disagio": i cartelloni con la spiegazione di quel che succede qui sono piantati dappertutto, così non si può non capire. È tutto chiarissimo. Il tunnel del treno iperapido si sta scavando proprio qui. La prima cosa che ti viene da pensare è che le vibrazioni metteranno a dura prova la chiesa. Però è una preoccupazione che non appartiene ad altri se non a chi come noi si ritrova improvvisamente a tu per tu con la faccenda. E pensa a cosa succederebbe a Vicenza se si scavasse una bella galleria sotto la Basilica.

La Barcellona che se ne va in giro giorno e notte sembra non colpita, non preoccupata. Gaudì è Gaudì, non si discute, se ne rimane al suo posto per altri mille anni. Come i blaugrana e Leo Messi. La mortalità dei simboli non è ammessa, è fuori discussione. I catalani sono orgogliosissimi e gelosissimi delle cose loro, ma per niente rinserrati e anzi prontissimi a lasciar entrare liberamente chi non è dei loro.

E quella del nuovo stato separato è una favola. Non ci crede nessuno, a partire dai giornali che si pubblicano in lingua catalana. Il 28 febbraio, sotto la spinta di varie forze economiche e politiche che stanno lavorando per la secessione con varante istituzionale (il candidato dei candidati dovrebbe essere il signor Laporta, presidente del Barcellona di Pep Guardiola), c'era il referendum dal territorio barcellonese esterno alla municipalità, teoricamente i 600mila uomini e donne meglio disposti a seguire il filo logico di questo prospettarsi futuro con un assetto estraneo allo Stato spagnolo. Il voto non vincolava a niente, ma era giustamente atteso con curiosità: 80 su 100 o poco meno hanno preferito dedicarsi ad altro, non si sono nemmeno approssimati ai seggi. Chissà cosa ne pensano i secessionisti di casa nostra...

nr. 09 anno XV del 13 marzo 2010

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