NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Nosiglia: dalla Pasqua motivi di speranza per il futuro incerto

di Luca Ancetti
e Silvio Scacco

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Nosiglia

La serenità è indubbiamente una condizione assolutamente invidiabile: quando si è sereni si è già molto ricchi. Molti la raggiungono grazie alla propria forza di volontà, grazie al contributo di altre persone e di proprie motivazioni. Lei in questi mesi ha scritto due lettere, una ai carcerati e una ai nomadi. Qual è il risultato che hanno dato queste due lettere, si aspettava questo tipo di reazione o un'altra?

«Magari ci fosse stata una reazione. Non mi è parso di avvertire molte reazioni: c'è stata solamente un'accoglienza passiva, perché forse si pensa che il Vescovo debba dire certe cose. E poi perché di fatto questi problemi interessano solo quelli che li stanno vivendo. Tuttavia, gli interessati hanno accolto bene queste due lettere e sono state oggetto di riflessione. Sono servite ovviamente agli operatori della Caritas e a quanti lavorano all'interno sia del carcere sia con i nomadi. Ma la comunità civile, anche le comunità cristiane, non hanno dato segnali concreti di un'accoglienza come io mi aspettavo. Pensavo che ci fosse una reazione più concreta nella presa di coscienza di questo tipo di tematiche, soprattutto di responsabilità o di corresponsabilità, fatte di accoglienza e di integrazione. Giustamente io credo che se non si comincia a mettersi di fronte a queste situazioni un po' limite, ma che però chiedono concretezza, accoglienza e integrazione, di fatto poi anche nelle nostre case, nelle nostre comunità, queste tematiche rimangono lontane».

Quando Lei dice società civile ritiene anche che le amministrazioni pubbliche, i comuni, siano stati sordi?

«Qualche comune ha cercato di entrare in questa prospettiva, non solo perché la indicavo io, ma perché si erano già imposte nella vita di tutti i giorni. Di fatto però le situazioni sono rimaste le stesse di prima. Ci sono comunque segnali di speranza che io intravvedo, in questi mesi in particolare, a partire dal carcere. Per esempio c'è stata una messa celebrata con tutti i parroci della città in occasione della missione cittadina: si è trattato di un momento forte, perché coinvolgere i pastori, significa anche attivarli nella loro comunità per far crescere una sensibilità diversa rispetto a quell'idea, magari difficile da far passare, che sono comunque persone che vanno aiutate e sostenute e vanno, una volta uscite dal carcere, inserite nella società: lo stesso dicasi per i nomadi: i progetti attivati in numerosi comuni, anche minimali tipo la messa a norma dei campi nomadi attuali, anche se non si dà una soluzione definitiva al problema, sono comunque segnali di speranza e indice di volontà di collaborazione».

Molte famiglie vicentine hanno bisogno di serenità perché si trovano improvvisamente, in maniera eclatante, a fare i conti con la crisi economica ed occupazionale, molte persone si ritrovano ad avere davanti una prospettiva ancora non chiara, con il rischio che gli ammortizzatori sociali possano terminare. A quel punto è difficile trovare serenità, soprattutto per i cinquantenni, perché se vengono espulsi dal mondo del lavoro in quell'età è molto difficile ricollocarli. C'è stato un grande impegno da parte sua e della Caritas, che ha anche trascinato la comunità civile, ma l'impegno che ci attende richiede ancor più determinazione?

«Richiede senz'altro di più, bisogna passare dai sussidi al lavoro. Certamente, a livello di sussidi abbiamo trovato strade concrete, come il microcredito, il fondo di solidarietà, abbiamo anche avuto numerosi incontri a livello locale con tutte le forze sindacali, imprenditoriali, le istituzioni. Si è creata insomma un'ottima sinergia, una rete di collaborazione e di solidarietà, con molte imprese che hanno attivato anche contratti di solidarietà. Però non dobbiamo dimenticare che una persona che si trova senza lavoro a casa pur essendo sostenuto, magari dai sussidi, perde di fiducia in se stesso, in una situazione anche psicologica fortemente indebolita, in difficoltà nei confronti dei figli, nei confronti della famiglia. Conosco molti imprenditori che in coscienza si chiedono se cessare l'attività, ma non se la sentono di mettere su una strada i propri dipendenti. Questi sono grandi segni di speranza, che indicano una forte presa di coscienza degli imprenditori che sanno che dalla crisi se ne uscirà solo assieme ai propri lavoratori».

Nel video sopra la testimonianza di Vincenzo Vario, operatore della Caritas

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