NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Una causa civile durata diciotto anni assegna un milione e mezzo ai familiari

di Tiziano Bullato
bullatot@tvavicenza.it

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La storia di Loretta, donna di ferro

«La scoperta del tumore - si legge adesso nella sentenza che ha finito per dare ragione a Loretta e alla sua famiglia - era possibile già entro i primi giorni di agosto e l'intervento chirurgico di asportazione della massa tumorale avrebbe potuto essere praticato prima di Ferragosto, ovvero in tempo ampiamente utile a scongiurare l'insorgenza della paraplegia». Si poteva arrivare in tempo e invece...

«Nei primi due o tre giorni - racconta il marito - ci avevano lasciato ancora qualche speranza che il danno al midollo potesse essere limitato e che ci potesse essere un recupero della funzionalità... poi anche le speranze sono finite».

Una donna di 33 anni si ritrova quindi paralizzata dalla cintola in giù, ha due figli di 10 e 13 anni, una casa e una famiglia. Come reagisce? «Come un leone, come una tigre - dice la figlia Lorenza. Adesso ci penso sempre più spesso. Sarebbe come se una vicenda del genere dovesse capitare a me fra qualche mese. Ma la mamma era forte. Si dava da fare, si arrangiava e lo stesso facevamo noi. A pochi giorni dal rientro in casa, dopo l'operazione, erano molte le persone che, per rendersi utili, erano sempre nella nostra casa. E tutti volevano dire la loro e organizzare un pezzo della nostra vita. Fino a quando la mamma si è stancata e mi ha detto: "Adesso chiudiamo la porta e poi facciamo come vogliamo noi". E così è stato».

«La nostra non è stata una brutta infanzia - dice oggi Matteo - è stata però una infanzia sicuramente diversa. Non so quanti ragazzini in prima media si alzino adesso alle sei del mattino, come facevo io, per stirarmi i pantaloni e la maglietta e andare a scuola. Noi lo facevamo, aiutavamo mamma a fare fisioterapia, ma era lei a tenere insieme i pezzi, a dare senso alla famiglia».

«Me la ricordo negli ultimi tempi, minata dalla malattia che nel frattempo aveva avuto recidive e metastasi. Doveva stare sulla sua sedia a rotelle, doveva tenere la flebo sempre al braccio eppure si dava da fare con pentole e sughi, correva fra i fornelli e l'asse da stiro. Faceva di tutto e per tutti. Alle cene di rappresentanza di papà all'inizio causava qualche diffidenza, dopo dieci minuti era il punto centrale e il catalizzatore di tutte le conversazioni. Attorno a lei si creava una corte di persone interessate e divertite».

«Era anche una donna dal carattere di ferro - aggiunge l'avvocato Giancarlo Rubisse. Faceva le scale di casa sul sedere, montava nella sua sedia a rotelle, arrivava fino alla sua golf modificata che sapeva guidare benissimo e veniva a parcheggiare sotto al mio studio in contrà Oratorio dei Servi. Lì mi aspettava. Io scendevo e salivo sul sedile del passeggero e qui, per un paio d'ore, discutevamo della causa in corso, delle possibili mosse da intraprendere, della strategia migliore. Qualche volta ho temuto che i vicini, vedendomi per tante ore dentro quella macchina, pensassero che mi incontravo con l'amante...».

Nell'agosto del 1992, intanto, Loretta e i suoi cari decidono che forse qualcuno ha sbagliato e si affidano all'avvocato Rubisse che, fin da subito, privilegia la causa civile, senza nemmeno dare inizio ad una azione penale di responsabilità dei medici. Dal canto suo, Loretta non smette mai di lottare: subisce diversi interventi, compreso quello di un luminare statunitense che prova a connettere il midollo lesionato con terminazioni nervose prelevate da altre parti del corpo. Tutto inutile.

La causa civile sembra inizialmente incanalarsi su binari favorevoli. Il giudice Lippiello nomina come consulente il professor Barni, allora indicato come migliore in Italia. Il luminare conclude dicendo che tutti i medici che sbagliarono o tardarono la diagnosi erano da ritenere responsabili, tranne gli ultimi, quelli del reparto di neurochirurgia. «In seguito - spiega l'avvocato Rubisse - lo stesso Barni mi confidò che le sue conclusioni sarebbero state diverse se avesse visto prima certe radiografie...».

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