NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Come imparare a vivere nel limbo

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Come imparare a vivere nel limbo

Indubbiamente i Comuni sono stati obbligati a svolgere un ruolo specifico. Ma qual è l’altra faccia del problema proprio per quanto riguarda le amministrazioni? Le piccole amministrazioni in particolare come se la cavano rispetto all’esperienza di Vicenza, che naturalmente può mettere in campo risorse diverse?

toldo alberto (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)ALBERTO TOLDO- Valdastico innanzi tutto ha accettato una sfida incredibile, è il paese più piccolo che io sappia, in questa condizione. Altri colleghi erano perplessi, noi abbiamo detto subito di essere disponibili. Subito abbiamo pensato che era meglio avere due persone anziché una. Qualche perplessità e diffidenza sono svanite subito. La dimensione del paese consente un rapporto diretto con la gente: dalla diffidenza siamo passati alla curiosità e all’amicizia. Più della metà dei miei concittadini conosce per nome i nostri due ospiti, e loro hanno manifestato volontà di lavorare, espressa come richiesta di dignità da mantenere, mi dai molto e io ti restituisco molto, tutto quello che posso. Per loro è un problema chiedere, mentre lavorando si liberano da questa situazione. Fa molto riflettere tutto questo. Ora sono i nostri cittadini a chiederci che destino avranno queste due persone. Sono già stati in commissione e aspettano la risposta. Per me come amministratore è l’occasione di verificare non solo l’accoglienza del paese ma anche la credibilità delle nostre norme perché nel momento in cui conosceremo le risposte sapremo se lo Stato ha pensato a norme logiche che dia ordine ai flussi di migrazioni. È una curiosità legittima che tutti dovrebbero avere perché è un modo per capire quale tipo di giustizia sociale è implicita nelle norme del nostro essere italiani. È una sfida, lo capisco benissimo, però le cose stanno così. Non dimentichiamoci che il sindaco e gli amministratori di un piccolo paese conoscono tutti e tutti si conoscono per cui lo status di chiunque si fermi in paese è noto a tutti. Mi sto chiedendo dopo le condizioni poste da Vicenza a cui ci siamo allineati che cosa stiamo facendo. L’accoglienza non può diventare sistematica me neppure vogliamo diventare fabbricanti di clandestini. Il rischio è questo e finiremmo per dare ragione a quei nostri colleghi che fin da subito hanno espresso perplessità e non si fidavano della normativa.

IGOR BRUNELLO- Quello che fa più male è sapere come sappiamo che c’erano altri strumenti utilizzabili per evitare tutto questo. Forse siamo ancora in tempo, perché l’azione di base partita dai Comuni mi dà qualche speranza; sono loro che hanno agito assieme a Caritas CEI ecc. per superare le difficoltà facendo proposte. Le proposte sono indispensabili. Costringono l’interlocutore a fare la propria parte dando le garanzie che vengono richieste in direzione dell’integrazione e non della messa in nuova clandestinità di queste persone. Al 29 febbraio il governo dovrà fare una scelta coraggiosa ma anche rispettosa della stessa normativa che mette a disposizione appigli utili per cambiare le cose. Non sono ottimista nel dire questo, cerco di capire cosa sta succedendo a vedo che la società civile si sta muovendo. Sono anche convinto che alla scadenza il governo non potrà nascondersi e non dare risposte. Come deciderà in un paio di giorno? E con chi farà nuove convenzioni? Sono in corso iniziative importanti in commissione nazionale con proposte verso il permesso umanitario che è praticabile.

E come vive questa situazione un protagonista diretto? A Emmanuel Okigbo abbiamo chiesto di raccontare la sua odissea personale che copre quasi dieci anni di vita, dopo la fuga dalla Nigeria dove era stato anche ferito alla testa.

okigbo emmanuel (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)EMMANUEL OKIGBO- Ho lasciato la Nigeria e poi la Libia dove ho trovato lavoro. Nel mio paese ero in una situazione che è diventata pericolosa dopo che mio padre è stato ucciso ed io stesso sono stato ferito. È stato così che mi sono trasferito in Libia dove finalmente ho potuto avere una vita normale lavorando e pagandomi da vivere. La rivoluzione in Libia mi ha alla fine costretto dopo quasi nove anni a fare un nuovo viaggio che non potevo riprendere verso la Nigeria ma solo verso un paese che mi desse asilo politico perché uscendo dalla Libia sono diventato un rifugiato politico. Lavavo le macchine e avevo una casa. Ho dovuto lasciare tutto anche il progetto con mio zio per fare un allevamento di polli. Certe cose quando capitano ti prendono alla sprovvista e ti costringono a fuggire perché è l’unico modo per sopravvivere. Ora non ho più genitori né parenti vicini a me e spero di poter rimanere qui in Italia dove so di poter rimettermi a lavorare. Ma finché non ho l’asilo politico posso solo fare lavoretti per la gente di Valdastico e restituire così un po’ di quello che mi stanno dando. L’avv. Brunello dice che c’è il permesso umanitario per gravi motivi. Spero davvero che funzioni anche nel nostro caso. Per avere un futuro che ora è completamente in discussione.

IGOR BRUNELLO- Le commissioni lavorano bene, dobbiamo dirlo, spesso imprigionate dalla normativa insufficiente e non da proprie carenze. Il permesso umanitario è la strada giusta perché solo così si può rendere merito e riconoscere uno stato di necessità provocato da sofferenze incredibili, da viaggi che nessuno farebbe volontariamente per proprio piacere, da un pericolo indubitabile che spinge a scegliere un altro paese. Quel che limita le commissioni è la relazione del giudizio con la provenienza prima dei profughi: Se vengono da un paese da cui sono pur fuggiti per persecuzioni varie e che pure sono formalmente in stato di pace ecco che scatta la conseguenza di ritenere quel paese di origine assolutamente accogliente per i profughi. Il che non è.

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