Con la sua ottava edizione il festival biblico rinnova la scommessa sulle Sacre Scritture quale libro di fede e di vita, grande codice culturale dell'occidente e proposta di umanità piena per ciascuno e per tutti. La nuova edizione, con la consolidata formula di accostamento multiforme alla Bibbia e con un’accresciuta presenza di ospiti nazionali e internazionali, si aprirà in 12 località della diocesi vicentina a partire dal prossimo 18 maggio, avrà il suo fulcro dal 24 al 27 maggio a Vicenza, e - novità di quest'anno - grazie alla collaborazione con la diocesi scaligera vedrà coinvolta nei giorni 18-19-20 maggio anche la città di Verona.
A nome della diocesi di Vicenza e della Società San Paolo, promotori del Festival, desidero esprimere un sentito grazie a tutti coloro che – istituzioni, sponsor, collaboratori, volontari e “amici del festival” - rendono possibile il rinnovarsi per l’ottava volta di questa esperienza vissuta da molti come un momento prezioso e ormai chiaramente riconosciuta fuori città e regione per il suo valore culturale e spirituale.
Il tema del festival biblico 2012 è «Perché avete paura?» (Mc 4,40) La speranza dalle Scritture». Esso, come suggerisce il Concilio Vaticano II di cui ricorre quest'anno il cinquantesimo anniversario della solenne apertura sigillata dal mirabile discorso Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII, si pone in continuità con il tema della scorsa edizione, «Di generazione in generazione»: «si può infatti pensare – afferma il concilio - che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et spes, 31).
Di attenzione alla questione-speranza ci sembra ci sia ai nostri giorni particolarissima necessità. Nello stesso tempo siamo consapevoli che quello sulla speranza è un discorso delicato, perché facilmente mistificabile: forse per questo nello spazio pubblico solo pochi osano parlarne in modo serio (differente dall’ottimismo ciarliero e a buon mercato) mentre non pochi di fronte a questo tema, arricciano il naso o semplicemente non si fanno sentire.
Noi, attraverso le molteplici e diversificate proposte del festival dove si confronteranno “credenti” e “laici”, vorremmo essere fra coloro che cercano di proporre la questione-speranza in modo sensato, mettendo in campo elementi per credere e pensare a una speranza affidabile e responsabilizzante che si differenzi dalle illusioni consolatorie, offrendo così a tutti indistintamente – ragazzi, giovani, adulti, anziani – la possibilità di volgere lo sguardo a ciò che permette di vivere le positività e le fatiche dell'esistere umano con gioia o almeno con serenità. Il che contribuisce in modo non marginale a quella che oggi viene chiamata ecologia dell'umano.
Fino a pochi decenni fa si era piuttosto ingenuamente sognato che la forza e lo sviluppo della ragione dissolvesse ogni tenebra (cf M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Torino 1995); ai nostri giorni quel sogno sembra infranto e si fanno vive negli orizzonti di tanti di noi paure inaspettate. Per vincerle non basta narrarle: occorre – per quanto possibile - risalire al loro perché, al loro senso. Il che significa introdurci in uno sperimentare e pensare la condizione umana che mostri come per l'uomo e la donna – intrecci di grandezza e miseria (cf B. Pascal), di sé e di altro (cf P. Ricoeur), di futuro, di presente e di passato (cfr. Agostino d’Ippona e M. Heidegger) – l'emozione che chiamiamo paura abbia senso e diventi vitale e non paralizzante se rapportata alla capacità di sperare di una speranza insieme timida e affidabile (P. Ricoeur, Storia e verità, Lungro 1991).
Il Festival biblico di quest’anno vuole essere un'opportunità per cercare nella Bibbia, quasi specchiandovi la nostra realtà personale e collettiva, il senso delle paure e della ricerca di speranza che tutti viviamo. Con ciò si propone come stimolo ad attraversare l'inevitabile e spesso maturante dubitare che caratterizza la vita umana andando oltre il muro dello scetticismo, a volte vissuto come ultimo insuperabile passo di ricerche sincere ma condannate a chiudersi su se stesse, a volte sperimentato come ripiegarsi in forme di cinismo nichilista e devastante. Anche il nostro Nord-Est vive questo travaglio «in cui si mescolano la preoccupazione per il tumultuoso processo di mescolamento di popoli e culture, la fatica a concepirsi in relazione con gli altri e l'individualismo diffuso, l'incertezza economica e il rimpianto per un benessere di cui si inizia a percepire la precarietà» (A. Scola, Crisi economica e valori del Nord-Est, Intervento alla facoltà teologica del Triveneto, Padova 19 maggio 2011).
La Bibbia sa bene come l'uomo abbia sempre dovuto lottare per vivere e come la storia umana sia una lunga serie di tentativi di progredire nella ricerca di una migliore e più stabile condizione di vita. Ma sa anche che gli ostacoli sono innumerevoli, i pericoli incalcolabili e che l'essere umano ha dovuto e deve quotidianamente confrontarsi con le mille minacce dell'esistere e con quella definitiva (e in esse preannunciata) del morire. In altre parole sa che la paura è un emozione tra le più centrali e le più rimosse dell'uomo, che lo tocca nella sua dimensione di creatura e ne rivela tutta la costitutiva fragilità. Con la paura l'uomo e la donna, mortali, fanno esperienza della verità del proprio essere strutturalmente minacciato. E possono essere liberati dalla paura solo accedendo, nella fede, ad una realtà in cui la morte sia definitivamente vinta.
Nello stesso tempo la Bibbia si offre come parola di speranza. Di una speranza affidabile. Il concetto biblico di speranza si forgia lungo la vicenda narrata dal Primo Testamento. Si tratta di una speranza che si fonda nella promessa che Dio fa al suo popolo e che si configura nel patto di alleanza (Ps 71,5). Di qui la speranza cristiana si configura per la sua radicazione nell'evento dell’incarnazione, della croce e resurrezione di Gesù Cristo che diventa il fondamento affidabile e a tutti contemporaneo della speranza stessa. «La fede – scrive sinteticamente la Lettera agli Ebrei – è hypòstasis (cioè fondamento) delle cose che si sperano» (Eb 11,1). Il fondamento della speranza è dunque la fede intesa come fiducia fedele nella fedeltà senza se e senza ma di Dio alla sua promessa di vita, fedeltà pienamente manifestata nella solidarietà di Gesù Cristo con l'umanità e nella sua vittoria sulla morte mediante l'amore che si partecipa e vive per sempre. La fede cristiana nella resurrezione di Cristo, e in essa di quella dell'umanità tutta, invita così alla speranza nella «venuta del regno di Dio», regno di giustizia, amore e pace, dove la storia e la responsabilità umane presenti non si dissolvono, ma vengono stimolate e incrementate a dare il meglio di sé attendendo e preparando il loro compimento in Dio. Per il cristiano la timida speranza è così il senso dell'esistenza umana nel mondo vissuta come relazione vitale con Gesù Cristo Risorto, cioè ricollocata nel movimento che possiamo chiamare futuro della resurrezione di Cristo (Mt 12,21; Lc 6,20-23 e 24,21; At 23,6; Rm 8,24-25; 1Pt 3,13-17; Apoc 21, 1-2; cf P. Ricoeur, Il conflitto delle interpretazioni, Milano 1986). È in questo senso che Tommaso d’Aquino chiamava la speranza “il presente del futuro”. Questa speranza è offerta a tutti, in particolare a coloro che, in qualunque forma, sono prigionieri o vittime della non giustizia e della non pace. Essa non è mai ego-centrica, ma apre l'individuo agli altri e a Dio (G. Marcel, Homo viator, Roma 1980); vive della consapevolezza che non è la scienza che salva l'uomo, ma l'amore (Benedetto XVI, Spe salvi, 26), e chiede una fedeltà a questa nostra terra e alla città dell'uomo fatto di impegno responsabile e pazientemente tenace, creativo e disciplinato, intelligente e onesto (cfr. D. Bonhöeffer, Etica, Brescia 1995). In virtù di questa speranza affidabile noi possiamo affrontare il nostro presente, anche quello faticoso, che può essere vissuto ed accettato se conduce ad una meta di cui possiamo essere sicuri e che è in grado di giustificare la fatica del cammino. La speranza cristiana ci spalanca così la porta oscura del tempo, del futuro e questo ci rende capaci di vivere ogni oggi con responsabilità e amore (cfr. Spe salvi, 1-2).
Su questa speranza, umana e cristiana, - che il poeta Charles Peguy chiamò “la virtù preferita da Dio” - vorremmo cercare e pensare insieme nella prossima edizione del festival biblico. Per viverne e per condividerla con quanto vorranno e potranno essere con noi.
Cominciamo già da questa serata in cui – dopo la breve presentazione dei quattro “filoni” del festival - saremo aiutati a entrare nel tema grazie alla ripresa poetico-meditativo-musicale della testimonianza di p. David Maria Turoldo che fu consacrato prete in questa basilica di Monte Berico e che della speranza cristiana fu testimone lucido e coraggioso.
Mons. Roberto Tommasi