NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Cucina, dove la semplicità sprizza genio

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Cucina, dove la semplicità sprizza genio

Interviene a questo punto il contributo di Antonio Di Lorenzo, caporedattore del Giornale di Vicenza: cultura della gastronomia, affollamento di esposizione mediatica della cose che riguardano la cucina, prospettive per chi affronta la carriera di cuoco.

ANTONIO DI LORENZO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ANTONIO DI LORENZO- C'è un grande aumento dell'interesse per la gastronomia, per il cibo, per la cucina come vera e propria arte del fare. Naturalmente siamo almeno in parte quel che mangiamo ed è ovvio che le ripercussioni tra l'andare a tavola e l'uscirne con soddisfazione sono strettamente correlate. Dobbiamo conoscere quello che mangiamo. Nel Vicentino ci sono 42 confraternite, il che la dice lunga sull'interesse che riscuote la cucina. Nel giro di pochi anni sono diventati una quarantina i prodotti DECO, invenzione di Veronelli che in pochi anni ha coinvolto consumatori e produttori alla ricerca della migliore qualità e tradizione. Sono elementi fondanti di evidente interesse. L'affollarsi di iniziative in questo campo può essere eccessivo. Secondo me vanno bene tutte le esperienze in cui ognuno deve trovare il proprio posizionamento:, Wagner diceva che nella partitura c'è scritto tutto tranne il modo di esecuzione. Per le ricette è la stessa cosa: i libri di cucina hanno grande successo, ma naturalmente si devono interpretare con gusto e curiosità, senza che tutto rimanga nell'ambito della moda o della considerazione superficiale. La cucina è riscoprire il proprio passato e la propria storia. Da lì non si scappa. Il museo vivo e caldo lo troviamo nel nostro piatto Ecco la realtà. Dopo di che c'è la tradizione che determina quel fenomeno di cui siamo testimoni con il boom delle iscrizioni agli istituti alberghieri., Anche qui illusione e realtà vanno separate: 10 anni fa tutti volevano fare il calciatore e se era vero che uno su 17mila diventa un campione è anche vero che uno su tante migliaia diventa un cuoco come Cracco o Alaimo. Quello del cuoco è un lavoro pesante, faticoso, sempre presente festivi compresi a cui ci si avvicina con umiltà impegno voglia di fare. Le fantasie sono altra cosa.

ENRICO DELLE FEMMINE (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ENRICO DELLE FEMMINE- Siamo al secondo anno di alberghiero ed è evidente la crescita: da quattro a otto prime, poi ancora tendenza a crescere, la necessità di porre un limite oltre cui non si può andare, ora la prospettiva di nove prime. Per dire che la tendenza a crescere c'è ed è importante al punto che rispetto alla totalità della scuola fatto il confronto tra le prime classi soltanto quelle dell'alberghiero sono di otto contro sei degli altri due orientamenti tecnico turistico eccetera. La valutazione di Di Lorenzo quando parla di illusioni e realtà è giusto; ritengo che non è solo l'impatto mediatico, pure importante, a far crescere le iscrizioni ma anche una prospettiva di occupazione che è ancora notevole secondo quanto vediamo e poi c'è la differenza tra i tipi di scuola, che per la maggior parte sono legate a sapere fortemente disciplinare con la questione delle competenze ancora in ritardo. Quando vengono ad iscriversi da noi i ragazzi lo fanno perché pensano che il sapere della cucina in un modo o nell'altro si avvicina al loro sapere naturale, informale, all'abitudine magari anche solo del vedere la mamma che prepara la cena. All'impegno culturale non si può rinunciare: come diceva Chemello parlando del figlio aprire a esperienze di studio più ampie serve, ecco perché c'è anche una parte dei nostri studenti di prima che poi si trovano a disagio del prosieguo degli studi e non vanno avanti. Sapere di scienze integrate come nel caso di scienze dell'alimentazione è sapere di una materia complessa che fa essa stessa formazione. L'illusione che si possa raggiungere un risultato senza tener conto di tutto questo è appunto una illusione, ecco perché penso che l'analisi di Di Lorenzo sia corretta e dia un quadro realistico di come stanno effettivamente le cose. Certo che su tutto incide anche l'età in cui si fanno queste scelte verso la scuola superiore: abbiamo più ragazzi perché una parte di loro pensa anche al grado di difficoltà minore della nostra scuola. È sicuramente così, ma l'illusione è proprio questa, pensare che si sappia già tutto su una materia apparentemente domestica e addomesticabile come la cura della cucina che invece in realtà richiede un avvicinamento del tutto diverso e approfondito.

Ma come ci si avvicina all'idea di fare cucina, attraverso la cucina della mamma, il centro di formazione di Ascom, gli ammaestramenti della tradizione nella cucina del nonno diventata poi la cucina del papà, o invece in quale altro modo?

ERNESTO BOSCHIERO- Si impara dappertutto, in famiglia in azienda a contatto con i genitori che ti coinvolgono nell'attività lavorativa, ecc. Ma c'è anche chi arriva da noi attraverso esperienze diverse. Ora stiamo facendo un corso di 200 ore per dare le basi dell'attività a cui partecipa gente che magari ha fatto il liceo e ha deciso di avere un interesse diverso. La tipologia dunque è estremamente varia, non c'è univocità di provenienza né come esperienze precedenti né per età o bagaglio culturale. Qui siamo di fronte ad un lavoro che comporta sacrifici enormi, senza feste, senza orari, eccetera. Lo spirito deve essere di adattamento totale e importante. Non ci si improvvisa a cose del genere ma ci si arriva se si è portati e se si ha una forte motivazione per raggiungere il risultato. Le ragioni per cui uno si mette a fare cucina sono tantissime, i modi di riuscirci, anche. Dopo di che c'è il ventaglio dei prodotti e anche su questo c'è tutta una varietà di esperienze e di studio possibile. È un terreno praticamente senza limiti ed ovviamente Più si ha fantasia meglio ci si trova a proprio agio.

ANTONIO CHEMELLO- Quel che dice Di Lorenzo è verissimo. Mi ricordo che quando ho fatto la scuola alberghiera ogni anno si moltiplicavano le iscrizioni. Sono anche d'accordo con Tomasi, ci si perde per strada perché è un lavoro durissimo: è già un successo pensare che della mia classe all'alberghiero siamo rimasti circa la metà a fare questo mestiere, non di più. Del resto orari e fatica sono un deterrente per chi non è davvero baciato dalla passione di una scelta come questa.

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