NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La storia di Nana che divenne Rosina

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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LA REGINA CHE FACEVA LA COLF

Come hai conosciuto Rosina?

LA REGINA CHE FACEVA LA COLF (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)«Marcandola stretta. È successo otto anni fa. Io all’epoca scrivevo per il Corriere del Veneto e avevo saputo che a Schio c’era una signora africana che faceva la colf mentre al suo paese era una regina. Colf in Italia e regina in Ghana: dovevo assolutamente trovarla. Insomma, ho martellato fino a che, presa per stanchezza, mi ha concesso un appuntamento, a patto che fosse presente l’allora assessore al sociale Emilia Laugelli. Quel giorno ci siamo dunque trovati in una sala del Comune di Schio. Si è capito subito che a lei di quell’articolo non interessava nulla. Perché Rosina ha sempre cercato di evitare i riflettori. Parlavo quasi sempre io ma le poche cose che diceva lei erano comunque cariche di significato. Naturalmente l’articolo uscì e da quel giorno per lei iniziò un piccolo tormento, quello dei giornali e delle tv».

Com’è nata l'idea del libro?

«Ho pensato che nonostante fosse una donna silenziosa, avesse in realtà molto da raccontare. Il libro nasce da questa volontà di tradurre in parole le emozioni che lei era capace di accendere senza volerlo. Mi attraeva il suo modo di vivere fuori dagli schemi, questa sua continua fuga dal rumore, dalla corsa. L’ho notato prima a Schio e poi ne ho avuto conferma in Ghana, in quel villaggio dove è regina, in mezzo alla foresta. Il libro è un tentativo di entrare nei misteri del suo mondo semplice. Un mondo che osserva il nostro con gli occhi di una foresta lontana, con i suoi occhi, il suo sguardo. La sua storia può aiutare chi vive lo stress e i disagi di questo nostro mondo a ricondurre tutto a una semplicità che si è persa, a un sorriso come il suo, come il loro, che è più sereno del nostro nonostante non abbiano nulla di tutto ciò che noi consideriamo indispensabile. Credo che in un momento come quello attuale, di profonda crisi dell’occidente, servano occhi come i suoi per ritrovarsi».

Che tipo di donna esce dal tuo libro?

«Le sue peculiarità sono umiltà, pudore, semplicità, eleganza, serenità e loquacità ridotta ai minimi termini, anzi, direi proprio parole distillate con il contagocce. Meglio: lunghi, intensi silenzi. Rosina ama ascoltare e a volte mi sono sorpreso di come anticipasse la risposta quando io non avevo ancora finito la domanda. È una donna che ha dedicato la vita al suo popolo e alla famiglia, considerandola una missione. È profondamente religiosa: se fai bene hai bene, se fai male hai male, è uno dei motti che la guidano».

Che idea ti sei fatto del bel rapporto tra lei e gli scledensi?

«Penso sia un rapporto di grande e reciproco affetto, come confermano le vendite del libro. A Schio è già  un best seller… Credo che gli scledensi abbiano voluto adottarla, ritenendola meritevole di questo aiuto. Con lei sono stati molto generosi e lei li ripaga come sa, con la sua semplicità. Non l’ho mai sentita parlare male di nessuno. Ha sempre un occhio di riguardo nei confronti della gente che conosce e chiede sempre notizie dei suoi amici a Schio. Resta il fatto che è rimasta davvero meravigliata da questa terra, che considera la sua seconda patria. Una terra generosa, alla quale si sente molto legata anche perché a Schio e dintorni ha pur sempre due figlie e parenti».

Sei stato più volte nei luoghi di cui scrivi.

«Quattro volte in quattro anni. La prima volta c’era la novità della foresta, il villaggio di capanne, gente che ci ha accolti come re, essendo amici di Rosina. Eravamo in quattro, con me anche una coppia di Schio, Franco e Berta, amici di Rosina, e Giorgio Festi, che lei nel libro chiama Giorgio della montagna,perché viene da Rovereto e per arrivarci Rosina ricorda di aver attraversato le montagne. Ci hanno vestiti con i loro abiti e ci hanno regalato un’akwaaba, la festa di benvenuto, straordinaria e sorprendente. C’era tutto il villaggio, tamburi, canti, balli, bambini. E noi in mezzo. Ricordo che alcuni bambini, i più piccoli, quando gli andavamo vicino scappavano perché non avevano mai visto un bianco. Ci sono voluti alcuni giorni per calmarli. Ma la maggioranza sorrideva. Mi colpirono soprattutto due cose: l’obbedienza dei bambini e dei ragazzi nei confronti di chi è più anziano e la serenità e la dignità dei vecchi che spesso hanno occhi da bambino. È stato come entrare in un altro mondo, dove la scala di valori è quasi invertita rispetto al nostro».

LA REGINA CHE FACEVA LA COLF (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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