NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

La maxiprovincia nel Veneto: chi l’ha capita?

facebookStampa la pagina invia la pagina

La maxiprovincia nel Veneto: chi l’ha capita?

Cominciamo con l’analisi di questa nuova formula: che cos’è la maxiprovincia o la provincia allargata e accorpata ad altre?

La maxiprovincia nel Veneto: chi l’ha capita? (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)LUIGI DALLA VIA- L’accorpamento è ima revisione delle circoscrizioni provinciali perché comporta la riorganizzazione di tutto il sistema statale, prefetture questure comandi vigili del fuoco, ecc. Si vuole ridurre la spesa pubblica e questa è l’esigenza principale. Se si sovrappone il ruolo della Provincia con quello della circoscrizione provinciale non è corretto. In ballo in questo caso c’è anche il ruolo delle città metropolitane. La riorganizzazione va vista dentro tutto il riassetto generale del settore pubblico in Italia a cominciare dai Comuni che dovranno aggregarsi, specie quelli con meno di 5000 abitanti. L’attuale assetto veneto con 582 comuni una Regione e 7 Province è dispersivo: l’altra cosa che voglio dire ora è che l’idea di aggregare le varie province come è stato detto in un primo momento presentava alcuni particolari da chiarire: Belluno da solo, Vicenza da sola Venezia città metropolitana secondo le regole europee e assieme a Padova, poi le altre unite a due a due.

La maxiprovincia nel Veneto: chi l’ha capita? (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)GIGI COPIELLO- Questa novità non è in contraddizione con la storia delle nostre città. Il problema è che governo si aspettava un risparmio di 5miliardi di euro dalla riduzione di tutto il sistema, dalle prefetture alle camere di commercio. Guardate che se ora il discorso è sospeso per la crisi politica, il giorno dopo che c’è un nuovo governo vedrete che tornerà di attualità e se non si ricavano da qui quei miliardi è chiaro che si andrà ad intaccare ancora una volta il sistema economico. Questi cinque miliardi sono scritti nel bilancio 2013 per cui non c’è verso di dimenticarsene: spero però che non si torni sul lavoro e le imprese. Inoltre direi che una cosa è la storia dei Comuni altra cosa è quella delle Province, inventate da Napoleone che le ha disegnate e volute alla maniera francese, mentre ad esempio le diocesi sono state disegnate in altro modo. Ora il problema è un altro: qui ho una delibera del consiglio europeo che testimonia come tutti gli altri paesi procedano diversamente con tre gradi di amministrazione e non quattro. In Europa questo proliferare di burocrazia con tutto quel che c’è dietro non esiste. Ora la dimensione grande e allargata è quella divenuta irrinunciabile: ci siamo accontentati di un nanismo anche in materie di politica e di amministrazione che ha causato danni enormi mentre il cosiddetto nanismo del sistema economico comunque dava un risultato evidente per lo sviluppo.

GIUSEPPE SBALCHIERO- Parto dai dati di fatto. Alla fine degli anni 90 il cosiddetto nanismo delle nostre imprese è stato oggetto di studio da parte di tutto il mondo; poi sono arrivati i guru che hanno detto che piccolo non è più bello ed il miracolo del nord est dovuto alla grande voglia di lavorare è finito,si è dissolto, e i giapponesi e gli americani ci sono rimasti male, disorientati, perché non hanno capito che cosa stava succedendo a questo fenomeno che li aveva così interessati. Le grandi concentrazioni bancarie hanno prodotto il resto del disastro. Il problema di adesso è però intenderci, capire di che cosa stiamo parlando dal momento che ho perfino il dubbio che le grandi aziende non esistano più tranne quelle prodotte dallo Stato, come l’Ilva di Taranto; i Comuni sono la prima rete vicino al cittadino, sappiamo che va rivisto tutto del Comune a cominciare dalle modalità e dalle dimensioni minime di esistenza; ma non per questo dobbiamo perdere l’identità che non si perde peraltro mai come dimostrano i comitati di quattro gatti che bloccano quel che vogliono e quando vogliono. Occorre un po’ meno di provincialismo, più comprensione della nostra vita di italiani in rapporto all’Europa, entità che è venuta dopo, e guardando alla evoluzione che sta arrivando. Cominciamo a sentirci veneti ed italiani e poi pensiamo anche all’Europa.

Ma qual è il difetto di partenza del sistema che non accetta cambiamenti o che si ritrova prigioniero della sua stessa burocrazia? Identità e organizzazione in poche parole: come si manovra per ottenere risultati?

LUIGI DALLA VIA- Identità come valore che va mantenuto, non penserei mai a quartieri messi assieme senza distinzione. D’altra parte bisogna anche ammettere che la nostra provincia è cambiata, accorgerci che dal Summano non si distinguono più i paesi, che c’è ora internet con cui si può lavorare in modo del tutto diverso da prima: tutto è cambiato, i Comuni debbono aggregarsi e avere servizi integrati pur mantenendo sempre la propria identità. Non può essere che ogni piccola variazione dei regolamenti si debbano ancora occupare cinque persone che ognuna per conto proprio esaminano e analizzano interpretando. I Comuni non ce la fanno più a tenere il passo che serve al sistema produttivo. La Regione con la legge 18 ha indicato dimensioni e ambiti ottimali per cercare di mettere assieme una serie di ambiti dimensionati tra i 50 e i 100mila abitanti con una scontata distinzione per la montagna, ma un assieme a cui si chiede che cambi lo scenario. Se questo non si fa i Comuni non riusciranno a dare più risposte adeguate: al di là del’utilizzo sbagliato delle risorse c’è realmente la difficoltà di tenere il passo. Le difficoltà di oggi sono evidenti guardano il Veneto dal satellite perché da lì si capisce perfettamente com’è il territorio che va ordinato e organizzato nella parte pubblica per avere i risultati che ci attendiamo tutti. Il caso contrario non si pone neppure perché ci ritroveremmo tagliati fuori dai ritmi giusti, quelli fortemente richiesti dal sistema produttivo a cominciare dal quadro generale delle regole europee che vogliono il cambiamento.

La maxiprovincia nel Veneto: chi l’ha capita? (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)GIUSEPPE SBALCHIERO- Sul territorio regionale non può esserci infatti la diversità di interpretazione di norme da paese a paese. La Regione deve dare un meccanismo unico ai Comuni: se uno deve aprire una impresa deve avere le stesse condizioni su tutto il territorio regionale fatte salve le differenziazioni ma senza che si vada a incidere sui costi dell’azienda e sui costi dei sottoservizi che affossano proprio i Comuni. Non può esserci una zona industriale ad ogni chilometro, facciamone di meno ma con le stesse regole. La mia seconda riflessione è che se non ci fosse stata questa imprenditoria diffusa che ci ha caratterizzato non ci sarebbe mai stato sviluppo e ricchezza e non ci sarebbe neppure una minima ipotesi di ripartire. Le grandi imprese hanno creato più problemi che soluzioni positive a cominciare dall’agglomerato di lavoratori sbattacchiati di qua e di là a secondo delle esigenze. Non parliamo delle partecipazioni statali che hanno affondato quel che si poteva. Se poi parliamo di macroregioni teniamo conto che nel nordest siamo all’interno di un sistema caratterizzato tra l’altro da due reghini a statuto speciale e dobbiamo chiederci perciò che senso ha questa convivenza. Resto dell’idea che la nostra identità è una faccenda particolare, culturale, mentre altra cosa sono l’economia e la produzione.

GIGI COPIELLO- Che da noi ci siano state le piccole imprese che hanno dato il là allo sviluppo è ovvio e nessuno lo contesta. Ora però siamo molto avanti nel tempo e la discussione sulla dimensione secondo me è superare mentre si è fatto attuale il discorso sulla dimensione giusta dell’impresa, vale a dire la dimensione che ti permette di andare fino in Cina o in Sudamerica a vendere il tuo prodotto. Anche perché quando andiamo all’estero ci ritroviamo a fianco i concorrenti tedeschi che sono sicuramente grandi quasi più dei cinesi. Diciamo anche che qui da noi abbiamo gruppi ancora molto efficienti e grandi come la Diesel, il gruppo Amenduni, ecc. Pongo due problemi. Con vent’anni di ritardo e solo perché ce l’ha imposto il governo qui a Vicenza abbiamo messo assieme AIM e FTV; ma finché stiamo qui ad accorpare piccole realtà Venezia Padova e Rovigo unificano le loro aziende di trasporto pubblico ed è evidente che la dimensione giusta è quella e non la nostra. Altro esempio: Padova con Trieste stanno ormai con i piedi dentro la più grande azienda di distribuzione del gas. Padova è terza in Italia, AIM forse è 14. Il gas si conquista nei mercati internazionali e se hai la taglia giusta vinci, altrimenti non c’è pericolo di trovare una qualsiasi forza contrattuale con risultato relativo. Il nanismo quindi c’è ancora. Ora dobbiamo convincerci che attorno a noi abbiamo il mondo per quanto riguarda il sistema produttivo, mentre per quanto riguarda il pubblico certo siamo immersi nel provincialismo e in spaventoso ritardo. Tra l’altro ricordiamoci che la città metropolitana non è un dibattito nato in Italia ma è arrivato qui come ultimo approdo rispetto a tutto il resto d’Europa. In Germania ad esempio non si parla più di lander che si ritiene una dimensione superata ma si parla al contrario proprio di città metropolitana.

 

« ritorna

continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar