Piccola digressione sulle tappe arrivate a Vicenza nelle varie edizioni del Giro: chi le ha vinte e come. La statistica naturalmente è di Mauro Dalla Pozza che dice: «Marino è arrivato nel 76 secondo dietro Demeyer. Fu un arrivo difficile perché Marino affrontò la curva della stazione a ruota del belga che però si spaventò è rallentò un attimo. Anche Basso fu costretto a rallentare ma finì verso le transenne esterne e ripartì ma non in tempo per superare l’avversario che era avanti di quattro o cinque metri. Nell’83 ha vinto Rosola un ottimo velocista che poi ha sposato Paola Pezzo, e nell’ultima occasione Mario Cipollini con quella volatona che abbiamo visto nel filmato iniziale della trasmissione. Ci sono anche i premondiali del 96 dove è arrivato Fabio Baldato al secondo posto. Insomma, tutti questi precedenti stanno quasi a significare che a questo punto sarebbe il momento di un vicentino sul gradino più alto del podio».
Torniamo alla tappa: una sella ci pare poco anzi pochissimo. Certo che non è da velocisti, almeno questo dobbiamo dirlo con chiarezza.
MARINO BASSO- Nella mia esperienza c’è il ricordo di volate e di tappe che per i velocisti diventavano possibili se era davvero pianura, senza salite o con poca salita. I velocisti stavano ben coperti fino all’ultimo chilometro, poi però nessuno frenava in vista del traguardo, tutti correvano a tutta, sapendo benissimo che arrivare secondo non conta niente. E allora via con i gomiti, la massima reattività. Qui siamo in altre condizioni anche se debbo dire che ho fatto tanti Tour e tanti Giri e in salita non andavo male. Eppure la differenza c’è ed un velocista che sa di dover impegnare la sua esplosività deve anche saper organizzarsi e non sprecare energie, andare col suo passo, restare nel tempo massimo e pensare a vincere la tappa del giorno dopo, quella più adatta alle sue qualità. Del tutto inutile spremersi per arrivare nei primi cinque, o arrivi primo o non serve a niente. E guarda che sono stato anche maglia Ciclamino al Giro, eppure ti dico che non serve il successo parziale.
CLAUDIO PASQUALIN- A proposito di Basso e di arrivare primi: credo che Bitossi stia ancora sveglio la notte al ricordo di Gap e di quel mondiale perduto negli ultimi dieci metri. Io non ho mai creduto che Basso volesse bruciare Bitossi…
MARINO BASSO- Guarda che io quel percorso l’avevo provato nei giorni prima e avevo visto che era durissimo tutto a saliscendi, 290 chilometri senza un metro di pianura e poi l’arrivo tutto dritto che andava fino a più di 800 metri e sempre i salita. Fatto sta che avevo vicino Merckx, Guimar e altri, Bitossi aveva mezzo chilometro di vantaggio ma si è piantato a 50 metri dal traguardo. Se non partivo io andava Merckx che difatti ci ha anche provato ed ha raggiunto subito Bitossi, ma c’ero anche io che non lo avevo mollato e l’ho superato negli ultimi metri. Bitossi è rimasto indietro e guarda che la fuga di Bitossi era piaciuta a Merckx che me lo aveva anche detto. Poi però l’hanno pagata tutti e due. È stata la mia occasione che un mondiale l’avevo già perso in Inghilterra due anni prima per colpa di due forature negli ultimi chilometri e con la corsa in mano… Se Merckx ha mai sostenuto il contrario io dico che è meglio che stia zitto: lui non ti regalava mai niente, correva verso tutto, anche verso uno striscione del Partito Comunista: quella volta credeva fosse un traguardo volante. Figurati un po’ se posso avere rimpianti dopo tutti questi anni. Tra l’altro avevo studiato tutto per fare quella volata in salita: prima uno scatto da trecento metri, poi gli ultimi 80 metri per arrivare con la ruota davanti: quando è andato Merckx non potevo fare altro che fare quello che ho fatto.
CLAUDIO PASQUALIN- Certo che il mondiale è l’unica corsa che davvero ti cambia la vita. La notte prima mi hai detto che non hai avuto problemi mentre Gimondi non ha dormito…
MARINO BASSO- Proprio così ed è perché io non sentivo la corsa finché non cominciava. Allora sì che ci mettevo tutto e non pensavo ad altro che a vincere. E ne ho vinto tante di tappe. Debbo anche dire che sono stato benedetto dalla sorte perché ho sempre avuto un fisico che non soffriva la lunghezza della fatica: mi servivano tempo e strada per carburare, ma dopo 200 chilometri davo il meglio e la lunghezza della tappa non era un problema, non lo è mai stato.