Ma possiamo chiarire che cosa veramente spinge a partire e magari anche a capire come se ne torna?
NICOLETTA PASIN- Poco importante la motivazione che può essere anche il miglioramento personale e professionale. È importante invece la quotidianità di quel che si a fare e che fa crescere e si costruisce con la frequentazione del posto. Per quel che mi riguarda forse volevo anche capire quali sono le mie vere abilità che con i mezzi che abbiamo qui sono indubbiamente facilitate mentre lì è tutto un altro ragionamento. Poi c'è anche la curiosità per questo mondo raccontato mille volte dalle televisioni e di cui tuttavia non sappiamo assolutamente niente prima di andare lì e vedere quelle facce direttamente. La mia preparazione con Emergency è stata indubbiamente utile, con colloqui preliminari e video, e anche con i racconti di chi c'era già stato in quelle zone. Poi ci sono le regole di comportamento che ci hanno dato come protocollo, regole che vanno rispettate in modo ferreo anche perché assieme all'atteggiamento personale e al rispetto per l'ambiente con cui si viene a contatto, l'atteggiamento di ciascuno, intendo, fanno e formano la vera e propria misura di sicurezza. Dopo di che ognuno deve vivere ogni giorno con un bel po' di buonsenso. Quanto al rientro debbo dire che non è stato facile e penso che non lo sia mai per nessuno: ho dovuto dismettere con qualche difficoltà il velo che portavamo nei trasferimenti, o riprendere a trattare con gli uomini, i miei colleghi, quando invece era un'abitudine che avevo quasi dimenticato perché venivo da tutta un'altra realtà. Sono tutte cose che rimangono ben fissate nella mente e con cui bisogna fare i conti, l'importante e fare questi conti sempre con equilibrio.
VINCENZO RIBONI- Una cosa che bisogna dire a proposito delle motivazioni è che non c'è avventura e non ci dovrebbe essere. È invece un qualcosa che viene messo in campo col desiderio di conoscere, magari di arricchirsi con l'esperienza che si va a fare, ma di certo senza leggerezza di intenzioni. Certo che se uno pensa di risolvere i suoi esistenziali non ha capito niente e ha fatto malissimo i suoi conti: se vuole sfuggire a qualcosa quando è lì, sul posto, si ritrova invece con se stesso senza sapere come cavarsela. Le motivazioni debbono essere serie, Nicoletta ha vissuto una prova di sei mesi che hanno richiesto l'adattamento sia all'andata che al ritorno. Non avventura, ma seria capacità di adattarsi alla realtà utilizzando il proprio bagaglio professionale. Nell'ospedale dell'Angola ti rendi conto ad esempio che sei solo sia pure con colleghi che puoi consultare quando vuoi, ma sei nel centro di un territorio che non offre nient'altro che quello che sei andato a fare e ti rivela anche "che cosa in realtà sei andato a fare".
ANTONIO ZULIANI- Chi opera nel campo sanitario si trova davanti alla sfida dei mezzi insufficienti rispetto a quelli a cui è abituato: indubbiamente qui c'è una relativa, possibile frustrazione. Sai che dipende dalla mancanza di attrezzature, ma resta una sfida e sei chiamato a rispondere. I nostri interventi di Croce Rossa presuppongono di dover gestire in poche e con pochi mezzi migliaia di persone disperate e sradicate. Per questo non mandiamo nessuno se non a supporto della consorella locale della Croce Rossa: ne abbiamo 187 sparse per il mondo. Ecco come facciamo. Per dire, in genere andiamo a fare potabilizzazione dell'acqua e lo facciamo anche se le difficoltà sono sempre e comunque fortissime. Ci hanno chiesto ad esempio di andare in Siria dove non avremmo saputo di punto in bianco che cosa fare: abbiamo invece preferito chiedere venissero da noi alcune persone della Mezzaluna da poterle istruire e aiutarle a lavorare in situazioni di emergenza. Così è stato. Il know how in certe condizioni è assolutamente preferibile perché si aiuta a formare una organizzazione locale e a farla crescere più che impegnarsi a sostituire le forze locali.
GIOVANNI CECCHETTO- Le mie motivazioni sono chiare, sono prete e disabile per cui equivoci in campo non ce ne sono. Difficoltà personali? Ho fatto molti viaggi e ho imparato a relazionarmi con l'ambiente accettando le situazioni e cercando di capire con i giusti tempi, ma soprattutto evitando di giudicare. Quando siamo partiti una ventina di anni fa con i sostegni a distanza della Caritas, mi sono sempre trovato a mio agio perché avevo alla spalle questa preparazione remota che ho trasmesso anche a chi era con me, cercando di ritrovarci sempre mai appartati in alberghi o villaggi turistici, ma a contatto diretto con la gente e la realtà dei luoghi. È stato un arricchimento, addirittura posso dire che sia stato qualcosa che mi è stato dato, molto più di quanto io abbia in realtà potuto dare. Io che abito in una casa del Seminario che accoglie stranieri in cerca di sistemazione e provenienti da tutto il mondo so che aver usufruito di questa esperienza in giro per il mondo mi è tornata utile anche qui, proprio con loro. Certo che ci sono situazioni che ti strappano il cuore, ma bisogna ragionare, evitare l'assistenzialismo e proporre invece soluzioni che diano prospettive di sviluppo, con progetti a termine, con tempi precisi ed un progetto rigoroso che permetta di far arrivare poi il risultato. Il risultato è che alla fine del percorso tutta questa gente non deve avere più bisogno di noi perché è stata aiutata nel modo giusto a sapere come orientarsi camminando sulle proprie gambe.