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Com'è nata l'idea della rassegna e la collaborazione con il libraio e antiquario Matteuzzi?
«Abbiamo pensato di unire il nostro interesse per il passato, declinandolo in chiave storico-musicale. Carlo Matteuzzi ha aperto gli spazi del suo studio, una biblioteca-laboratorio davvero singolare, dove abbiamo creato un percorso che coinvolge alcune tra le maggiori protagoniste della Lirica a cavallo tra Otto e Novecento».
Qual è la prima sensazione subito dopo l'inizio della rassegna? Come l'hanno accolta i vicentini?
«Mi sembra che la città risponda con entusiasmo e curiosità. La formula scelta è di facile lettura anche per un pubblico non specializzato; è un modo per avvicinare al mondo dell'Opera persone di diversa consuetudine. Purtroppo la musica Lirica in Italia ha perso il sapore popolare di un tempo. Credo sia giusto riportare questo genere ad una dimensione più semplice, fruibile da tutti. Questo non significa assolutamente abbassare il livello; anzi, la questione diventa tanto più stimolante quanto ardua».
Queste donne sono state un esempio di emancipazione femminile per la loro epoca: quale messaggio avevano da dare e questo messaggio è attuale ancora oggi?
«Queste artiste hanno saputo costruire la propria identità nel tempo, lavorando con passione e abnegazione per arrivare ad essere la Malibran, la Viardot e così via. Per molte di loro la musica ha rappresentato il vero amore, una sorta di via salvifica. Il messaggio che dovremmo decifrare è quello di perseguire sempre i propri ideali e il proprio richiamo interiore, assecondando per quanto possibile le proprie inclinazioni».
Che differenze e quali similitudini vede tra quelle donne e il modello femminile oggi in voga nella società dello spettacolo?
«La Lirica è rimasto uno dei pochi ambiti dove non c'è artificio che tenga. Direi che è un terreno davvero poco fertile per professionalità inconsistenti. Studio e tecnica, insieme ad una grande forza di carattere, sono condizioni indispensabili».
