NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Io credo, ma dialogo

Nell’ambito del Festival Biblico apprezzato spettacolo dell’Orchestra di Piazza Vittorio che ha proposto un oratorio dedicato al confronto tra cristiani, musulmani e atei

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Io credo, ma dialogo

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

(foto di Federico Candoni e Alessandro Dalla Pozza)

 

Io credo, ma dialogo (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lo spettacolo di punta del Festival Biblico 2016 a Vicenza è stato l’oratorio (forma musicale di ispirazione religiosa) dal titolo “Credo” dell’Orchestra di Piazza Vittorio, andato in scena in Piazza dei Signori. L’Orchestra di Piazza Vittorio è un progetto musicale fondato a Roma nel 2002 dal musicista casertano Mario Tronco, già componente degli Avion Travel, e dal documentarista Agostino Ferrente. L’orchestra è composta da musicisti provenienti da ogni parte del mondo ed è una delle realtà della musica etnica più celebri e rinomate sia in Italia che all’estero.

 

Stasera fate il “Credo” uno spettacolo a tematica religiosa, ci spieghi.

mario_tronco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Mario Tronco: “È un oratorio interreligioso tra musicisti e uomini che provengono da culture diverse. È il dialogo che l’Orchestra di Piazza Vittorio fa da anni, soprattutto negli interminabili viaggi nel pullman in questi più di 1000 concerti che abbiamo fatto in 14 anni. Un dialogo tra musulmani, cristiani e atei: credere sia come asserzione che come dubbio. “Io credo” può significare “io ci sono” oppure “Io penso”, questo racconta il nostro oratorio".

L’incontro tra i popoli sicuramente porta delle mescolanze interessanti, ma è anche vero che spesso il migrante di 2°- 3° generazione non si sente parte della società che lo ha accolto ma sente un richiamo più forte verso l’ambiente d’origine che però non lo riconosce come autoctono. Si crea quindi un vuoto culturale e identitario che viene riempito con elementi fittizi e artificiali non vissuti nel luogo che li rende autentici. Questa identità borderline quanto influisce nel fare musica, visto che non a caso viene definita “etnica”?

“È molto interessante questa domanda perché è anche il problema dell’etnomusicologia di questo momento. Gli immigrati che vengono qui, anche di 2° e 3° generazione, diventano uomini nuovi e producono una cultura nuova, meticcia che ha creato le cose più interessanti del ‘900, forse le ultime: il jazz e il blues sono il frutto di uomini nuovi che avevano abbandonato le loro terre e che avevano incontrato uomini nuovi in posti come gli Stati Uniti".

La settimana scorsa abbiamo avuto Enrico Rava per il festival del jazz e gli ho chiesto come mai l’immigrazione dall’Europa ha prodotto una cosa in America e un’altra in Sud America e lui mi ha detto che a seconda della dominazione, c’è stata maggiore o minore libertà, quindi il jazz americano è un vago ricordo delle origini. Quanto dell’origine viene perso nel meticciato?

“Viene persa a favore di una nuova. Gli spostamenti migratori creano una novità: somaticamente quando si incrociano le razze, così come le idee e i linguaggi".

Quali sono gli elementi musicali di ogni cultura che attecchiscono maggiormente e che si prestano a una maggiore versatilità? Per esempio al blues si presta di più la musica araba o balcanica?

“Questo problema l’ho risolto all’origine: quando ho pensato a un’orchestra multietnica non ho pensato solo a musicisti lontani geograficamente ma a mondi musicali completamente diversi. Ho cercato musicisti che provenissero dalla musica classica, dal jazz, dal rock, dal rock, dal reggae, dal folk e dalla etnica perché volevo a disposizione una tavolozza di colori enormi, quindi le influenze che ci sono all’interno dell’OPV sono di derivazione proprio trasversale".

Ogni periodo storico ha una forma musicale che lo caratterizza a tal punto che quel genere di musica identifica quel determinato periodo. Oggi mi sembra che l’identificazione sia più spaziale che temporale, e che siamo in un momento di creolizzazione tra generi, che non ce ne sia uno diffuso con un’identità tanto autonoma da poterlo definire come la “musica di questi anni”. Cosa c’è in questo momento?

“Io spero che sia un momento di ricerca che produca in futuro qualcosa di veramente nuovo. La cosa che dice è assolutamente vera: siamo in un momento in cui l’utilizzo della musica è merceologico, quello che si produce non ha i canali giusti per farsi ascoltare; Io mi auguro che succeda proprio grazie alla radicalizzazione degli uomini nuovi che popolano le nostre città".

zappatore (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ci sono dei generi musicali che hanno un carattere predominante sugli altri, magari per efficacia? In Italia la tradizione più radicata e antica è sicuramente quella partenopea, che è di derivazione araba e spagnola. Quanto influisce sul vostro ventaglio sonoro la musica napoletana in quanto italiana?

“La mia provenienza è la mia, quello che cerco di dare di mio all’interno dell’orchestra. Per esempio questa sera il cantante del Mali, insieme a una cantante, eseguono il canto della Madonna dell’Arco, una via di mezzo tra il religioso e il pagano, che è della tradizione napoletana. Anche quando faccio la Regina della Notte, nel nostro “Flauto magico”, è introdotta da “ ’O Zappatore” di Mario Merola perché per me quella della Regina della Notte è una scena madre, così come la è quella dello zappatore. Cerco sempre di far prevalere la mia cultura e mettermi a disposizione degli altri per assimilare".

Io credo, ma dialogo (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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