NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Come dare del tu anche al Monte Bianco

di Giulio Ardinghi

facebookStampa la pagina invia la pagina

Come dare del tu anche al Monte Bianco

“RIVIVE LUI, RIVIVO IO”- L’impresa di rimettere a nuovo l’uso la permanenza e il transito dentro questo rifugio viene descritta da Franco Perlotto come un compito difficile, però piacevole, alle prese con tante grane, ma con il premio della buona riuscita: “La verità è che ho fatto rivivere il rifugio ma mi sono assicurato anche di rivivere io personalmente. Il bello è che non ho avuto un attimo di esitazione quando il CAI di Torino mi ha proposto questa operazione. Un rifugio come questo è la quintessenza del concetto di rifugio alpino. Lo è in tutto e per tutto perché il lavoro che occorre per farlo funzionare, dopo averlo fatto resuscitare, è un lavoro durissimo ed ha come destinatari quelli che alla montagna danno praticamente Come dare del tu anche al Monte Bianco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)tutto. Sto vedendo passare qualsiasi tipo di passaporto, qualsiasi età, uomini e donne. È così che deve funzionare un rifugio specie se come questo si trova arrampicato sul costone di migliore accesso ad una delle pareti più importanti del mondo, con il ghiacciaio che arriva fino a qualche decina di metri dal sommo del monte e con dei meccanismi di accesso che non prevedono funivie o comodità; qui si arriva salendo a piedi dalla valle con un dislivello di 1500 metri portandosi le proprie cose e facendo fatica, indubbiamente. Il brutto è che il rifugio è rimasto senza assistenza per sette anni; non chiuso, perché li rifugi sono sempre lì per trovare un tetto e ripararsi, ma certo senza attività al proprio interno. Oggi posso dire che dopo tanto faticare il ruolo è tornato ad essere quello che deve: qui si può non solo sostare, ma anche mangiare e dormire. Abbiamo faticato molto con l’acqua perché all’inizio c’erano quattro metri di neve da rimuovere, però abbiamo realizzato una cisterna abbastanza grande e il ghiacciaio l’acqua ce la dà. Ora andiamo verso il finale della stagione, la ritengo un’operazione positiva che ha restituito agli alpinisti di tutto il mondo il mezzo migliore per affrontare davvero partendo da zero una parete come le Grandes Jorasses, punta di diamante in assoluto del Bianco. Le difficoltà di questa salita sono grandi, bisogna essere esperti e bravi, Altrimenti in cima non si arriva perché ghiaccio, neve e sassi cadono in continuazione. Infatti si esce da qui verso l’una del mattino proprio per essere verso la cima almeno alle 6. Se ritardi troppo questi tempi poi la paghi…”.

ORA RIVOGLIO EL CAPITAN- La nuova avventura a tu per tu con la montagna, dando del tu anche ad un gigante come il Monte Bianco, risveglia anche altro, molto altro. Perlotto dice che vista la conclusione abbastanza vicina di questa sua prima stazione al Boccalatte-Piolti, ha cominciato ad allargare il pensiero a qualcosa di ulteriore. Che cosa? El Capitan, alta California, duemila metri di strabiombo grigio liscio come un’anguria, un “nemico” già affrontato e vinto tanti anni fa, nel 1986, con la prima assoluta in solitaria lungo quella via il cui nome tradotto in italiano è già tutto un programma: si chiama “paura dell’agguato”. Inevitabile domandargli se se la sente ancora come allora, quando aveva molti capelli in più e qualche chilo in meno: “Cosa vuoi che ti dica. Sono preparato perché la permanenza in rifugio mi ha riabituato alle fatiche e me ne vado su e giù con la mia attrezzatura ogni volta che serve scendere a Courmayeur. Questi 1500 metri di dislivello sono molto salutari da questo punto di vista proprio perché avendo avuto un infarto ed essendo alle soglie dei 60 anni…”. Appunto, ma le condizioni fisiche sono a pareggio rispetto a preparazione e probabilità di riuscita? ”Io dico di sì e non sono uno abituato a prendermi dei rischi oltre le possibilità. Umanamente parlando, e sempre tenendo conto della preparazione che nel frattempo ho ricostruito, non posso non dirmi che avendo superato un infarto ed essendo alle soglie dei 60, non avrò molte altre occasioni di ripetere una delle salite che mi sono piaciute di più, quella de El Capitan, appunto. Se non lo rifaccio adesso, quando lo rifaccio? Tenendo conto che ora il rifugio è funzionante per intero che rimane ancora un mese di stagione utilizzabile, ora posso cominciare a pensare a qualcosa di diverso. Qui ho un contratto di sei anni con il CAI di Torino, con l’intesa che il contratto potrà essere rinnovato per altri sei alla scadenza. Francamente non so se a quella data avrò ancora la possibilità di rinnovare il contratto, ma intanto so che questa avventura andrà bene fino in fondo perché il rifugio effettivamente funziona e l’anno prossimo quando riaprirò non ci sarà certo da rifare tutto il lavoro che è servito quest’anno dopo sette anni di chiusura e non utilizzazione. El Capitan è un ricordo bellissimo, per questo lo voglio rifare, anche se sarò con altri due alpinisti e tutto sarà differente da quella prima volta indimenticabile”.

 



« ritorna

continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar